Ai fini della valutazione della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, il giudice dovrà tener conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo tale che questo abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 15044 del 1 aprile 2014. Incidente sul lavoro. Il datore di lavoro e il legale rappresentante di un impresa venivano condannati dal Tribunale per violazione delle norme di protezione antinfortunistica, in conseguenza della quale un operaio addetto alla rimozione della malta cementizia in eccesso dalle pietre di un arco in muratura altro 3 metri, in assenza della relativa armatura di sostegno, che avrebbe dovuto essere eliminata solo a costruzione ultimata, a causa del cedimento dell’arco, aveva riportato gravi lesioni personali. La Corte d’appello riconosce agli imputati il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, confermando nel resto la decisione impugnata. I due prevenuti ricorrono per cassazione lamentando la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, avendo la corte territoriale pronunciato la condanna degli stessi in relazione al fatto lesivo consistito nella caduta del lavoratore dal ponteggio privo di parapetto, laddove nel capo d’ imputazione originariamente sollevato, era stata contestata una circostanza differente cioè lo smantellamento dell’armatura dell’arco prima dell’ultimazione dei lavori. Il diritto di difesa dell’imputato è tutelato se Il Collegio ritiene il ricorso fondato ammettendo la violazione della correlazione tra accusa e sentenza. Per la Corte tale principio, chiaramente finalizzato alla tutela del diritto di difesa, non è violato qualora la sentenza puntualizzi l’imputazione enunciata formalmente nell’atto di esercizio dell’azione penale con le integrazioni risultanti dagli interrogatori e dagli atti in base ai quali è stato reso in concreto possibile all’imputato di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così da potersi difendere in ordine ad un determinato fatto, inteso come episodio della vita umana. è rispettata la corrispondenza tra chiesto e pronunciato .Il vigore di tali principi, tuttavia, secondo la Corte «è tale da arrestarsi là dove il giudice abbia posto a fondamento della propria decisione la sussistenza di un fatto completamente diverso ed eterogeneo rispetto al fatto descritto nell’imputazione, con la radicale immutazione della stessa nei suoi elementi essenziali, dovendo inevitabilmente ritenersi sussistente la violazione de qua quando nei fatti -rispettivamente descritti e ritenuti non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità». Nel caso di specie, il Collegio osserva che i giudici territoriali avrebbero prospettato un fatto storico del tutto diverso da quello contenuto nell’imputazione. Pertanto l’accertata violazione, ad opera del giudice d’appello, del principio di correlazione tra accusa e sentenza impone di procedere all’annullamento della sentenza impugnata.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 marzo – 1° aprile 2014, numero 15044 Presidente Zecca – Relatore Dell’Utri Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza resa in data 21.10.2009, il tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Corleone, ha condannato P.G. e Pr.Sa. alle pene, rispettivamente, di quattro mesi e di tre mesi e quindici giorni di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, in relazione al reato di lesioni colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di M.S. , in omissis . In particolare, ai due imputati, nelle rispettive qualità di datrice di lavoro dell'operaio infortunato e legale rappresentante dell'impresa appaltatrice, e di direttore tecnico di cantiere e responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi della medesima impresa, era stata contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonché delle norme di protezione antinfortunistica specificamente richiamati nei capi d'imputazione, in conseguenza della quale l'operaio addetto alla rimozione della malta cementizia in eccesso dalle pietre di un arco in muratura alto tre metri, in assenza della relativa armatura di sostegno che avrebbe dovuto essere eliminata solo a costruzione ultimata, a causa del cedimento dell'arco, aveva riportato gravi lesioni personali. Con sentenza in data 24.6.2013, la corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso agli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, confermando nel resto la decisione impugnata. Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati sulla base di quattro motivi di impugnazione. 2.1. - Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge, con particolare riguardo alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, avendo la corte territoriale pronunciato la condanna degli imputati in relazione al fatto lesivo consistito nella caduta del lavoratore da un ponteggio privo di parapetto, laddove nel capo d'imputazione originariamente sollevato nei confronti degli imputati, agli stessi era stata contestata la circostanza per cui l'armatura allestita per la costruzione dell'arco cui l'operaio infortunato era addetto, era stata smantellata prima del completamento dei lavori, con il conseguente crollo dell'arco ch'ebbe a investire il lavoratore cagionandogli le lesioni patite. Sotto altro profilo, gli imputati si dolgono del travisamento dei fatti in cui sarebbero incorsi i giudici del merito, avendo questi ultimi mancato di individuare con certezza la causa del crollo dell'arco cui l'operaio infortunato era addetto, essendo rimasta esclusa, sul piano probatorio, la violazione della norma antinfortunistica concernente l'obbligo dell'armatura dell'arco prima dell'ultimazione dei lavori di costruzione, essendosi verificato, l'infortunio oggetto dell'odierno giudizio, in epoca successiva al completamento dei lavori. 2.2. - Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto sussistente l'aggravante della lesione personale grave ai danni del lavoratore infortunato, con la conseguente erronea affermazione della sussistenza delle condizioni di procedibilità a carico degli imputati, avendo la persona offesa omesso di presentare alcuna querela in relazione all'accertamento della responsabilità penale per le lesioni lievi effettivamente e concretamente patite. A tale riguardo, gli imputati censurano la sentenza impugnata laddove ha utilizzato, al fine di accertare la natura delle lesioni e la durata della malattia sofferta dalla persona offesa, la perizia d'ufficio disposta in sede dibattimentale, in contrasto con la disciplina del giudizio abbreviato nella specie celebrato, incompatibile con l'acquisizione di detta integrazione istruttoria, nella specie avvenuta anche attraverso l'esame di documentazione originariamente non presente nel fascicolo del pubblico ministero. 2.3. - Con il terzo motivo, il ricorrente censura la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nell'omettere la verifica del difetto delle condizioni di procedibilità nei confronti di Pr.Sa. , atteso che in relazione allo stesso in quanto non destinatario, per legge, dell'obbligo di osservanza dei precetti per la prevenzione degli infortuni sul lavoro , l'imputazione per il reato di lesioni personali colpose, sia pure gravi o gravissime, avrebbe potuto essere sollevata esclusivamente a seguito di querela della persona offesa nella specie mancante . 2.4. - Con l'ultimo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge, avendo la corte territoriale omesso di motivare adeguatamente in ordine al riscontro dell'effettiva applicazione della diminuzione della pena inflitta gli imputati per effetto della scelta del rito abbreviato. 2.5. - All'odierna udienza, la parte civile ha depositato le proprie conclusioni scritte, invocando il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 3. - Dev'essere riconosciuta la fondatezza del primo motivo di ricorso proposto dagli imputati con riguardo alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Al riguardo, converrà rimarcare, in termini generali e nel solco del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità come, nel verificare la mancata corrispondenza tra l'accusa contestata e il fatto ritenuto nella decisione del giudice, occorra riferirsi all'operatività di criteri non formali o meccanicistici, valendo al riguardo la decisività del principio che impone nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato il riscontro dell'avvenuto rispetto dei diritti della difesa, nel senso che l'imputato abbia avuto, in concreto, la possibilità di difendersi da ogni profilo dell'addebito e tanto, a prescindere dalla differente configurazione formale, in termini com-missivi od omissivi, della condotta contestata cfr. Cass., Sez. 4, numero 41674/2004, Rv. 229893 Cass., Sez. 4, numero 7026/2002, Rv. 223747 . Tale evenienza, in particolare, ricorre in tutti casi in cui dell'addebito si sia concretamente trattato nelle varie fasi del processo, ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato a evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa v. Cass., Sez. 5, numero 23288/2010, Rv. 247761 Cass., Sez. 6, numero 20118/2010, Rv. 247330 Cass., Sez. 2, numero 11082/2000, Rv. 217222 Cass., Sez. 2, numero 5329/2000, Rv. 215903 . In breve, il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui all'articolo 521 c.p.p., finalizzato alla salvaguardia del diritto di difesa, non è violato qualora la sentenza puntua-lizzi l'imputazione enunciata formalmente nell'atto di esercizio dell'azione penale con le integrazioni risultanti dagli interrogatori e dagli altri atti in base ai quali è stato reso in concreto possibile all'imputato di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così da potersi difendere in ordine a un determinato fatto, inteso come episodio della vita umana v. Cass., Sez. 4, numero 41663/2005, Rv. 232423 Cass., Sez. 6, numero 9213/1996, Rv. 206208 . Ai fini della valutazione di detta correlazione, occorrerà dunque tener conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione v. Cass., Sez. 3, numero 15655/2008, Rv. 239866 . Il vigore di tali principi, tuttavia, è tale da arrestarsi là dove il giudice abbia posto a fondamento della propria decisione la sussistenza di un fatto completamente diverso ed eterogeneo rispetto al fatto descritto nell'imputazione, con la radicale immutazione della stessa nei suoi elementi essenziali v. Cass., Sez. 1, numero 6302/1999, Rv. 213459 Cass., Sez. 6, numero 2642/1999, Rv. 212803 , dovendo inevitabilmente ritenersi sussistente la violazione de qua quando nei fatti -rispettivamente descritti e ritenuti - non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità Cass., Sez. 6, numero 81/2008, Rv. 242368 . Nel caso di specie, il giudice di primo grado - in consonanza con le indicazioni contenute nel capo d'imputazione sollevato nei confronti degli odierni ricorrenti - è pervenuto all'accertamento della responsabilità penale degli imputati per avere gli stessi omesso di adottare le necessarie cautele idonee ad impedire la verificazione del fatto lesivo sofferto dalla persona offesa, costituito dal crollo dell'arco in pietra viva in prossimità del quale il lavoratore era intento all'esecuzione di opere di rifinitura consistenti nella rimozione, con martello e scalpello, della malta cementizia in eccesso. In particolare, agli imputati è stata rimproverata ciascuno in correlazione alle funzioni corrispondenti al proprio ruolo la mancata raccomandazione e l'omesso controllo sul rispetto della regola cautelare nella specie violata che impone la necessità di procedere in modo progressivo dall'alto verso il basso alla rimozione dell'armatura di sostegno di manufatti quali archi, volte, etc., in cemento armato o muratura di ogni genere , coordinandone l'esecuzione in corrispondenza con l'avanzamento delle varie fasi di lavoro, sì da impedire ogni possibile rischio d'infortunio a carico delle persone chiamate all'esecuzione di opere sul ridetto manufatto cfr. articolo 64 d.p.r. numero 164/56 . Viceversa, la corte d'appello, inspiegabilmente trascurando la causa dell'infortunio occorso ai danni del lavoratore offeso, così come descritta e ricostruita dal giudice di primo grado con riguardo al crollo dell'arco in pietra in prossimità del quale la persona offesa si trovava al lavoro , ha proceduto alla conferma della responsabilità penale degli imputati ascrivendo agli stessi la verificazione di un fatto radicalmente diverso da quello posto dal primo giudice a fondamento della propria decisione, segnatamente costituito dall'omessa assicurazione della regolarità del ponteggio sul quale il lavoratore era intento all'esecuzione della propria attività ponteggio dal quale il M. sarebbe caduto provocandosi le lesioni denunciate a causa dell'assenza di parapetti di protezione. Osserva il collegio come, in relazione alla rilevata discrasia tra il nucleo dei fatti rilevanti considerati nelle diverse decisioni dei giudici di merito tra il crollo dell'arco e la caduta dal ponteggio, quali alternative cause delle lesioni patite dal lavoratore infortunato non sia prospettabile la mera individuazione di un diverso ed eventualmente aggiunto profilo di colpa rinvenibile nel comportamento degli imputati, trattandosi bensì della configurazione di un fatto storico del tutto diverso, radicalmente modificato nella considerazione delle relative componenti materiali, rispetto alla cui contestazione la corte d'appello ha integralmente omesso di evidenziare le modalità dell'eventuale rispetto o dell'avvenuta conservazione dell'integrità delle prerogative di difesa inderogabilmente spettanti agli accusati. L'accertata violazione, ad opera del giudice d'appello, del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'articolo 521 c.p.p. impone pertanto di procedere alla pronuncia dell'annullamento della sentenza impugnata, rimanendo in tal senso assorbita la valutazione degli ulteriori profili di criticità sollevati dagli odierni ricorrenti, potendo prospettarsi l'eventuale esame circa la sussistenza delle condizioni di procedibilità nei confronti degli imputati solo a seguito della concreta precisazione del fatto agli stessi addebitato. P.Q.M. la Corte Suprema di Cassazione, annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame.