La fattispecie contravvenzionale prevista dall’articolo 10-bis, d. lgs. numero 286/1998, che punisce l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la direttiva europea sui rimpatri che ha l’obiettivo di agevolare e assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di un valido titolo di permanenza.
È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 8347 del 21 febbraio 2014. Senza permesso di soggiorno. Il Giudice di Pace di Prato dichiarava un soggetto di nazionalità cinese responsabile del reato previsto dall’articolo 10-bis, d. lgs. numero 286/1998 TU Imm. . L’illegittima permanenza nel territorio dello Stato risultava verificata a seguito di un controllo nel corso del quale l’imputato veniva trovato sprovvisto di documenti e di permesso di soggiorno. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze propone ricorso per cassazione, lamentando la contrarietà dell’incriminazione ai principi e criteri contenuti nella direttiva europea 115/2008/CE sui rimpatri la previsione di una sanzione penale pecuniaria per l’ingresso e il trattenimento illegale, data la sua possibile sostituzione con l’espulsione, violerebbe il criterio di gradualità cui la direttiva è ispirata, nonché l’obbligo di favorire il rimpatrio volontario. Normativa italiana in linea con la direttiva europea. Il ricorso è infondato «la fattispecie contravvenzionale prevista dall’articolo 10-bis, d. lgs. numero 286/2008, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui rimpatri direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, numero 115 , non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’articolo 7, par. 1, della medesima che, nel porre un termine compreso tra i 7 e i 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato». La stessa Corte di Giustizia ha affermato che lì dove via sia una espulsione disposta senza una previa verifica delle condizioni che possono giustificare la deroga alla generale priorità della procedura di allontanamento volontario il giudice interno ha l’obbligo di disapplicare la normativa nazionale. Nel casi di specie, il Giudice di pace ha inflitto esclusivamente la sanzione pecuniaria e da ciò non può derivare una violazione della citata direttiva. Superato il veglio di compatibilità costituzionale. Il citato articolo 10-bis ha, inoltre, superato il vaglio di compatibilità costituzionale il Giudice delle Leggi ha precisato che la norma punisce uno specifico comportamento – il «fare ingresso» o il «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione della legge – non una «condizione personale e sociale», quella di straniero clandestino. Clandestinità. La condizione di clandestinità è, quindi, la conseguenza della condotta penalmente illecita e la rilevanza penale è collegata alla lesione di un bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori. Si tratta di un bene “strumentale”, per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di rilievo costituzionale. Perciò, non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse. Alla luce di quanto detto, il ricorso si deve respingere.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 novembre 2013 – 21 febbraio 2014, numero 8347 Presidente Zampetti – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. In data 3 maggio 2011 il Giudice di Pace di Prato dichiarava S.J.H. soggetto di nazionalità cinese responsabile del reato previsto e punito dall'articolo 10 bis d.Lgs. 286 del 1998 e succ. mod. TU imm. , per fatto constatato il 20.11.2009, e lo condannava alla pena di Euro 3.500,00 di ammenda, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche. L'illegittima permanenza nel territorio dello Stato risulta verificata a seguito di controllo operato dalle forze dell'ordine in Prato, nel corso del quale si accertava che S.J.H. era privo di documenti e di permesso di soggiorno. Tale condizione viene ritenuta tale da giustificare pienamente l'affermazione di penale responsabilità sia sotto il profilo della condotta - essendo illegittimo l'ingresso e il successivo trattenimento - che sotto il profilo del correlato elemento psicologico. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze, denunziando erronea applicazione della legge penale. In sintesi, nel ricorso si rappresenta che l'incriminazione di cui all'articolo 10 bis TU imm. risulterebbe contraria ai principi e criteri contenuti nella direttiva Europea 115/2008/CE sui reimpatri, ed in quanto tale andrebbe disapplicata. Nell'illustrare i contenuti della direttiva si evidenzia che la previsione di una sanzione penale pecuniaria per l'ingresso e il trattenimento illegale, data la sua possibile sostituzione con l'espulsione, violerebbe il criterio di gradualità cui la direttiva è ispirata, nonché l'obbligo di favorire il reimpatrio volontario. Inoltre, nel caso in esame, la constatata irreperibilità dell'imputato ha impedito la dovuta analisi e considerazione della sua condizione personale e delle ragioni per cui il soggetto si sarebbe trattenuto, nonché la verifica del tempo di permanenza, anche in tal caso violando l'obbligo di verifica in concreto del livello di pericolosità al fine di rendere possibile una espulsione coatta. Né può ipotizzarsi che la mancanza di un provvedimento di espulsione rende legittima l'affermazione di responsabilità, trattandosi - in ogni caso - dell'inserimento anomalo di una sanzione penale sempre sostituibile con l'espulsione in un procedimento di verifica della regolarità della permanenza che non può prevedere - pena il sostanziale aggiramento della direttiva - una simile eventualità. Si rappresenta, in subordine, la necessità di sollevare questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea a fini di verifica della compatibilità tra l'attuale testo di legge e i contenuti della citata direttiva. Si osserva, infine, che non è stata operata verifica circa l'improcedibilità per sopravvenuta espulsione dell'imputato. 3. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Circa il denunziato contrasto tra la previsione incriminatrice di cui all'articolo 10-bis T.U. imm. nel suo attuale testo e i contenuti della direttiva 2008/115/CE va precisato che questa Corte in più decisioni lo ha ritenuto insussistente tra le altre, Sez. I numero 951 del 22.11.2011, Gueye, Rv 251671 affermando che “la fattispecie contravvenzionale prevista dall'articolo 10-bis d.lgs. numero 286 del 1998, che punisce l'ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva Europea sui rimpatri direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, numero 115 , non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l'uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l'articolo 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato”. Sul punto si è inoltre di recente registrato l'intervento risolutivo della Corte di Giustizia con la decisione del 6.12.2012 sulla domanda di pronunzia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Rovigo nel procedimento a carico di M.S. . In particolare, la Corte ha escluso - per quanto qui rileva - che le disposizioni della direttiva impediscano di sanzionare il soggiorno irregolare con una pena pecuniaria sostituibile in astratto con la pena dell'espulsione, affermando invece che lì dove vi sia - ma ciò non è accaduto nel caso in esame - una espulsione disposta senza una previa verifica delle condizioni che possono giustificare la deroga alla generale priorità della procedura di allontanamento volontario pericolo di fuga, pericolo per l'ordine pubblico, la sicurezza o la sicurezza nazionale, previo rigetto per manifesta infondatezza o fraudolenza di una precedente domanda di soggiorno il giudice interno ha l'obbligo di disapplicare la normativa nazionale. Ora, nel caso in esame il Giudice di Pace ha inflitto esclusivamente la sanzione pecuniaria e da ciò non può derivare vulnus ai contenuti della citata direttiva. Va inoltre ricordato che la norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato - articolo 10-bis d.lgs. numero 286 del 1998 - ha di recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale il Giudice delle leggi, con sentenza numero 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una “condizione personale e sociale” - quella, cioè, di straniero “clandestino” o, più propriamente, “irregolare” - e non criminalizza un “modo di essere” della persona. Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal “fare ingresso” e dal “trattenersi” nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge. Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea il varcare illegalmente i confini nazionali e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale. La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la rilevanza penale si correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell'interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo si tratta di un bene strumentale , per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici finali di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di categoria , capace di accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998. Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha dunque sancito la compatibilità della norma qui in rilievo con alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli articolo 2 e 3. Va inoltre osservato, sempre in riferimento al caso di specie, che non sono emerse particolari condizioni personali ostative alla applicazione della norma incriminatrice e che tali condizioni non possono essere meramente ipotizzate, neanche sotto il profilo della condizione di procedibilità, il che esclude che la decisione possa, su tali aspetti, ritenersi viziata. P.Q.M. Rigetta il ricorso.