Nessun dubbio sulla qualificazione dei comportamenti tenuti da una madre, che, in tre diverse occasioni, si è allontanata temporaneamente dal figlio. Ma ciò che emerge, anche da questi episodi, è la immaturità della donna e l’incapacità di sostenere progetti di vita. Per garantire lo sviluppo del minore unica soluzione è l’adozione.
Rapporto affettivo indiscutibile tra madre e figlio, ma ciò può anche non bastare per evitare la strada dell’adozione Decisivi, difatti, sono i black-out della donna, capace di abbandonare per ben tre volte, seppur momentaneamente, il minore Cassazione, sentenza numero 10721, Prima sezione Civile, depositata oggi . Fase di crescita. Fondamentale è tutelare lo «svolgimento armonico e compiuto della personalità» del minore. E proprio a questo principio si richiamano i giudici, sia in Tribunale che in Corte d’Appello, per legittimare la dichiarazione di adottabilità di un minore, dichiarazione ovviamente contestata dalla madre del ragazzo. Ciò che salta agli occhi, in questa vicenda, ad avviso dei giudici, è il comportamento tenuto dalla donna, accusata di aver lasciato solo, a più riprese, il figlio. Inevitabile, sempre per i giudici, il richiamo alle ipotesi della «situazione di abbandono» e della carenza di «assistenza morale e materiale», e, soprattutto, inevitabile la contestazione della «violazione degli obblighi genitoriali nei confronti dei figli». Segnali. Secondo la donna, però, il provvedimento adottato è eccessivo. Perché, afferma, non si è trattato di «abbandoni» ma di semplici «allontanamenti temporanei». Questa ottica, però, viene ritenuta non condivisibile dai giudici della Cassazione, i quali mostrano di apprezzare e far proprio il ragionamento adottato in Corte d’Appello, riconoscendo, cioè, che si è trattato di «allontanamenti temporanei», ma conferendo a questi comportamenti un significato chiaro. Detto in parole povere, è evidente «la totale immaturità, instabilità e conseguente inaffidabilità» della donna nei confronti del minore. Per questo, «pur sussistendo un rapporto affettivo tra madre e figlio», la donna è da valutare come «incapace di assumere progetti di vita», con evidenti ripercussioni sul minore. Di fronte a tale quadro, unica soluzione, chiariscono i giudici della Cassazione, è la adozione. Anche perché unica alternativa «sarebbe stata una continuata permanenza presso ‘case famiglia’, assolutamente nociva per il suo sano sviluppo psico-fisico».
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 febbraio – 8 maggio 2013, numero 10721 Presidente Carnevale – Relatore Dogliotti Svolgimento del processo Con sentenza in data 29/9/2011 il Tribunale per i Minorenni di Potenza dichiarava l’adottabilità del minore M.A. Proponeva appello la madre, M.M. Si costituiva in giudizio la curatrice del minore, chiedendo la conferma della sentenza impugnata. La Corte d’Appello di Potenza, con sentenza in data 3/4-12/4/2012, confermava la pronuncia del Tribunale per i Minorenni. Ricorre per cassazione la M. Resiste, con controricorso, la curatrice del minore. Motivi della decisione Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli articolo 1 e 8 L. 184/1983, non sussistendo i presupposti della situazione di abbandono. Con il secondo, vizio di motivazione in ordine a tali presupposti. Con il terzo, vizio di motivazione per mancata ammissione di prova testimoniale e documentale. Non si ravvisa violazione alcuna di legge. Va precisato che l’articolo 1 L. 184 introduce bensì il principio per cui il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, ma, all’evidenza, si tratterà di quella originaria, fino a che il suo inserimento in essa non sia di grave e irreversibile impedimento allo svolgimento armonico e compiuto della sua personalità. Quanto alla situazione di abbandono, l’articolo 8 tratta, come noto, di “assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi ”. Al riguardo, la giurisprudenza pervenuta risultati sostanzialmente univoci per tutte, Cass. numero 117 del 2006 4545 del 2010 violazione degli obblighi genitoriali nei confronti dei figli, “grave ed irreversibile”, con riferimento a quel particolare minore. In sostanza la ricorrente introduce profili e valutazioni di fatto, in contrasto con le indicazioni della sentenza impugnata, sorretta da motivazione adeguata e non illogica. Tale sente richiama e riporta il contenuto della pronuncia di primo grado, ma si fa poi carico delle censure dell’appellante, ad esse rispondendo punto per punto. Afferma la ricorrente che i “tre abbandoni” del figlio minore da parte sua, di cui alla sentenza impugnata, che recepisce la ricostruzione effettuata da quella di primo grado, sono in realtà allontanamenti temporanei. In verità, così li considera, al di là della terminologia usata, anche il giudice a quo, che peraltro evidenzia la totale immaturità, instabilità e conseguente inaffidabilità della madre del minore. La Corte territoriale fa proprie, come si diceva, le argomentazioni del giudice di primo grado, per cui, pur sussistendo un rapporto affettivo tra madre figlie, essa, è risultata incapace di assumere progetti di vita, e proseguire in essi, nonostante l’assiduo sostegno dei servizi sociali. L’alternativa all’adozione sarebbe stata - secondo la sentenza impugnata - una continuata permanenza del minore presso case famiglia, assolutamente nociva “per il suo sano sviluppo psicofisico”. Dal contesto motivazionale emerge altresì la valutazione del giudice a quo circa la sufficiente attività istruttoria si richiama la sentenza di primo grado, con frequenti riferimenti alle relazioni dei responsabili di casa famiglia, sul rapporto tra minore e madre, e dei servizi sociali , e quindi la superfluità di ammissione di prove testimoniali o di acquisizione di nuovi documenti. Vanno pertanto rigettati i tre motivi del ricorso, in quanto infondati, e, conseguentemente, il ricorso stesso. La natura della causa richiede la compensazione delle spese tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso dichiara compensate le spese del presente giudizio.