Pedone ko, motociclo senza assicurazione. Conducente assolto penalmente, ma obbligato a ripagare la compagnia del Fondo di garanzia

Respinte tutte le obiezioni mosse dal conducente del veicolo. Confermato l’onere di pagare all’impresa designata dal ‘Fondo di garanzia per le vittime della strada’ la somma versata alla persona messa sotto dal motociclo. Assolutamente irrilevante il richiamo alla pronunzia assolutoria emessa in ambito penale.

Pedone messo sotto da un motociclo. E a rendere più complessa la situazione anche la scoperta che sul veicolo manca la ‘copertura’ in materia di responsabilità civile. Conseguenziale l’intervento ‘riparatore’ della compagnia assicurativa designata dal ‘Fondo di garanzia per le vittime della strada’, che può rivalersi sia sul conducente che sulla proprietaria del motociclo. Assolutamente irrilevanti i richiami alla pronuncia assolutoria emessa in ambito penale e al presunto comportamento colposo del pedone. Cassazione, ordinanza n. 2690, Sesta sezione Civile, depositata oggi Assicurazione . Nessun dubbio viene espresso dai giudici, di primo e di secondo grado, di fronte alla richiesta avanzata dalla compagnia assicurativa designata dal ‘Fondo di garanzia per le vittime della strada’ conducente e proprietaria del motociclo – risultato privo di assicurazione per la responsabilità civile – debbono corrispondere la somma versata alla persona investita . A dare forza a questa decisione anche la valutazione del materiale probatorio preso in esame nell’ambito del procedimento penale, nonostante tale procedimento si sia concluso con l’assoluzione nei confronti del conducente del motociclo. Fronte penale . Ma proprio il ‘fronte penale’ viene utilizzato, dalla persona alla guida del motociclo in occasione del fattaccio, per sostenere la tesi della illegittimità della richiesta avanzata dalla compagnia assicurativa. Per l’uomo, difatti, è eccessiva la rilevanza attribuita dal giudice di merito agli elementi di prova raccolti nel corso del giudizio penale , soprattutto tenendo presente che tali prove erano state sconfessate dalla sentenza assolutoria emessa a chiusura di quel procedimento . Senza dimenticare, poi, il comportamento colposo attribuito al pedone Nonostante tutto, però, le obiezioni mosse dall’uomo debbono essere reputate non legittime, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali mostrano di condividere l’ottica adottata nei giudizi di merito. Più in particolare, viene osservato che la sentenza assolutoria, pronunciata all’esito del giudizio penale non era opponibile alla società assicuratrice , anche perché l’assoluzione era stata pronunciata con la formula perché il fatto non costituisce reato” – vista la contraddittorietà del contesto probatorio di riferimento – , e, quindi, inerendo il dubbio all’elemento soggettivo del reato , era consentito al giudice civile valutare i medesimi fatti, già considerati dal giudice penale . Peraltro, aggiungono ancora i giudici, è da considerare esclusa qualsivoglia corresponsabilità della persona investita dal motociclo ciò soprattutto alla luce della semplice considerazione che l’incidente era avvenuto in un contesto in cui, non esistendo attraversamenti pedonali, se non a distanza di oltre 100 metri, non poteva imputarsi al pedone di non averne usufruito, mentre doveva esigersi una condotta particolarmente accorta da parte del guidatore .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 4 dicembre 2013 – 6 febbraio 2014, n. 2690 Presidente Finocchiaro – Relatore Amendola Svolgimento del processo e motivi della decisione È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti. Il relatore, cons. A.A. esaminati gli atti, osserva 1. Con citazione notificata nel settembre 1997 R.A.S. Assicurazioni s.p.a., nella qualità di impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Trani, A.F. e A.D., per ivi sentirli condannare al pagamento in suo favore della somma che essa, a suo volta, aveva corrisposto a D.S., investito da un motociclo condotto dal F., veicolo che, di proprietà dello stesso e della D., era risultato privo di assicurazione per la responsabilità civile. La domanda fu accolta dal giudice adito che, con sentenza del 21 febbraio 2005, condannò i convenuti a pagare alla società assicuratrice l'importo rivendicato in via di regresso, ex art. 29 della legge n. 990 del 1969. 2. Proposto dal F. gravame, la Corte d'appello di Bari, in data 12 novembre 2011, lo ha respinto. Avverso detta pronuncia propone ricorso per la cassazione A.F., formulando cinque motivi. Resiste con controricorso Allianz s.p.a. già Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a. . 3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall'art. 360 bis, inserito dall'art. 47, comma 1, lett. a della legge 18 giugno 2009, n. 69. Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi rigettato. Queste le ragioni. 4. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 101 cod. proc. civ., l'impugnante critica la rilevanza attribuita dal giudice di merito agli elementi di prova raccolti nel corso del giudizio penale, e segnatamente alle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria, prove peraltro sconfessate dalla sentenza assolutoria emessa a chiusura di quel procedimento. Con il secondo mezzo, lamentando violazione dell'art. 652 cod. proc. pen., censura l'affermazione del giudice di merito secondo cui la sentenza assolutoria emessa all'esito del giudizio penale non poteva avere efficacia di giudicato nel processo civile essendo tale effetto collegato solo all'accertamento che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, ovvero che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima. Invece, secondo l'esponente, dalla lettura della motivazione della predetta pronuncia si evincerebbe chiaramente che il giudice penale aveva escluso qualsivoglia responsabilità del F. nella causazione del sinistro. Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 2729 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., l'impugnante contesta l'apprezzamento degli atti di indagine preliminare effettuato dalla Corte barese. Con il quarto motivo deduce violazione dell'art. 190, commi due e quattro del Codice della Strada, nonché dell'art. 2054 cod. civ. Oggetto delle critiche è l'affermazione del giudice di merito secondo cui l'accertamento del comportamento colposo del pedone non è sufficiente a vincere la presunzione di colpa posta a carico del guidatore dal primo comma dell'art. 2054 cod. civ. Ricorda che il pedone che attraversa la carreggiata fuori della zona pedonale è tenuto a dare la precedenza ai veicoli. Con il quinto, lamentando violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., il ricorrente critica il rilievo dato dal giudice di merito alla perizia redatta dal medico incaricato dalla società assicuratrice, ai fini della prova del quantum debeatur. 5. Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate. Valga al riguardo considerare che la Corte territoriale ha motivato il suo convincimento sulla base di un esame analitico e dettagliato di tutte le emergenze istruttorie, ivi compresa la versione dei fatti fornita dal nipote del F., che con lui viaggiava sul motociclo al momento del sinistro. Con specifico riguardo alla sentenza assolutoria pronunciata all'esito del giudizio penale, ha poi osservato, da un lato, che si trattava di decisione non opponibile alla società assicuratrice, e, dall'altro, che l'assoluzione del convenuto era stata pronunciata con la formula perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell'art. 530, secondo comma, cod. proc. pen. di talché, inerendo il dubbio all'elemento soggettivo del reato, era consentito al giudice civile valutare, ai fini della verifica della prova liberatoria richiesta dall'art. 2054 cod. civ., i medesimi fatti già considerati dal giudice penale. 6. Ciò posto, è il caso anzitutto di evidenziare che, pur avendo il giudice di merito affermato l'irrilevanza dell'eventuale condotta colposa del pedone ai fini del superamento della presunzione di responsabilità del conducente stabilita dall'art. 2054 cod. civ., nella sostanza ha poi di fatto escluso qualsivoglia corresponsabilità dell'infortunato nell'eziologia del sinistro. E tanto all'esito di un esame del materiale istruttorio condotto con criteri assolutamente corretti sul piano logico e giuridico. Non a caso, nell'ambito di un tessuto argomentativo ispirato a criteri di comune buon senso, ha ragionevolmente precisato che l'incidente era avvenuto in un contesto in cui, non esistendo attraversamenti pedonali se non a distanza di oltre cento metri, non poteva imputarsi al pedone di non averne usufruito, mentre doveva esigersi una condotta particolarmente accorta da parte del guidatore. 7. Più nel dettaglio, le critiche svolte nel primo, nel terzo e nel quarto motivo di ricorso evocano in maniera affatto surrettizia vizi di violazione di legge, posto che, in realtà, sono volte a far valere una pretesa, erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio motivazionale. In ogni caso la denuncia di malgoverno delle risultanze istruttorie è speciosa e strumentale, mirando esclusivamente a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa a questa Corte. 8. Quanto poi alle censure relative alla valutazione del giudicato penale, formulate nel secondo mezzo, esse sono inammissibili nella misura in cui, ignorando totalmente le affermazioni del giudice di merito in ordine alla sua inopponibilità alla società assicuratrice, non contestano una delle due rationes decidendi della decisione impugnata. Vale allora il principio per cui, qualora questa si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una sola di esse, rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa confr. Cass. civ. 14 febbraio 2012, n. 2108 . 9. A ciò aggiungasi che, per quanto riportato nello stesso ricorso, il giudice penale mandò assolto il F. ai sensi dell'art. 530, secondo comma, cod. proc. pen., per la contraddittorietà del contesto probatorio di riferimento. Ne deriva che la sentenza della Corte d'appello di Bari è conforme al principio di diritto, costante nella giurisprudenza di legittimità, per cui, ai sensi dell'art. 652 nell'ambito del giudizio civile di danni e dell'art. 654 nell'ambito di altri giudizi civili cod. proc. pen., il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. confr. Cass. civ. 11 febbraio 2011, n. 3376 Cass. civ. 9 marzo 2010, n. 5676 . 10. Infine l'ultimo motivo, contestando l'ammontare dell'importo riconosciuto a titolo risarcitorio all'attore, e cioè in sostanza il quantum debeatur, pone una questione nuova. Ne deriva che il ricorrente aveva l'onere non solo di allegarne l'avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518 Cass. civ. l°, 31 agosto 2007, n. 18440 . Sennonché siffatti oneri, nella fattispecie, sono rimasti del tutto inadempiuti . Il collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali il ricorrente non ha, del resto, neppure replicato. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 5.000,00 di cui euro 200,00 per esborsi , oltre IVA e CPA, come per legge.