Il commercialista sbaglia e si ravvede, il giudice non ne tiene conto: è travisamento della prova

Costituisce travisamento della prova da ritenersi configurato quando si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia la mancata considerazione della testimonianza di un commercialista, con la quale lo stesso aveva confermato l’errore del proprio ufficio nel generare una delega in compensazione per pagare imposte dirette a fronte della richiesta di utilizzare tale compensazione ai fini del versamento dell’IVA, in quanto una simile circostanza è decisiva ai fini dell’esclusione dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 10 ter D. Lgs. n. 74/2000, consistente nella coscienza e volontà di sottrarsi all’adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2882 del 22 gennaio 2014. Il caso. La Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del tribunale appellata dall’imputato e dal Pubblico Ministero , escludendo la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 13 D. Lgs. n. 74/2000 e concedendo all’imputato le attenuanti generiche, riteneva il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata colpevole del reato di cui all’art. 10 ter D. Lgs. n. 74/2000. In particolare, all’imputato veniva contestato il mancato versamento dell’IVA relativa all’anno 2005, non assumendo rilevanza, ai fini della responsabilità di quello, la successiva dichiarazione anno 2009 fatta all’erario per informarlo dell’errore consistente nell’utilizzo del credito IVA del 2004 in compensazione con altre imposte IRES e IRAP invece che in compensazione con l’IVA del 2005. Tale comunicazione, di contro, avrebbe costituito un semplice escamotage per rimediare ad una situazione dai risvolti di natura penale. Secondo la Corte territoriale, dagli atti del processo, non risultava alcuna disposizione dell’imputato al proprio commercialista con la quale si richiedeva che il predetto credito IVA fosse portato in compensazione con il debito relativo alla medesima imposta dell’anno successivo. Inoltre, veniva ritenuta priva di alcuna efficacia scriminante la circostanza per cui il legale rappresentante della s.r.l. si era avvalso di uno studio professionale per la gestione della propria contabilità, non essendo presente agli atti alcuna delega formale in tal senso. La Corte, tuttavia, accoglieva la richiesta di concessione dei doppi benefici di legge, effettuata in subordine dall’appellante. L’imputato proponeva ricorso in Cassazione, fondato su quattro motivi. Con il primo si deduceva erronea applicazione degli artt. 43 e 47 c.p., nonché dell’art. 10 ter D. Lgs. n. 74/2000, per aver il giudice di secondo grado non rilevato la mancanza dell’elemento psicologico del reato contestato all’imputato, dovendosi questo, al contrario, considerare frutto di un errore di fatto del proprio commercialista, il quale aveva erroneamente utilizzato il credito IVA in compensazione con i debiti IRES e IRAP a fronte della diversa richiesta del proprio cliente finalizzata alla compensazione IVA-IVA . Di tale errore il professionista si era accorto solo nel 2009, a seguito della notifica della cartella di pagamento seguita a sua volta dal versamento delle predette imposte sui redditi, erroneamente compensate . Infatti, secondo la difesa del legale rappresentante, essendo stata superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 10 ter D. Lgs. n. 74/2000 stante il richiamo, ivi presente, al precedente art. 10 bis di soli € 1000,00, costui non avrebbe avuto alcun interesse a caratterizzare di rilevanza penale la propria condotta per una somma così esigua. Da ciò doveva dedursi l’esclusione della punibilità dell’imputato ai sensi dell’art. 47 c.p Con il secondo motivo di ricorso si eccepiva il travisamento, da parte della Corte d’Appello, della prova costituita dalle dichiarazioni rese nel processo di primo grado dal commercialista dell’imputato, il quale aveva riconosciuto il proprio errore, confermando che le reali intenzioni del proprio cliente consistevano nella compensazione tra crediti e debiti IVA. La terza doglianza consisteva nella ritenuta sussistenza del vizio di nullità della sentenza impugnata per divergenza tra la motivazione e il dispositivo, rinvenendosi, in quella, un riferimento alla concessione dei doppi benefici di legge assente, invece, in questo. Il quarto motivo di ricorso poggiava le proprie basi sulla dedotta inammissibilità dell’appello proposto dal P.M., il quale, secondo la difesa, non avrebbe depositato la propria impugnazione nella cancelleria del Tribunale che aveva emesso la sentenza appellata. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e annullato con rinvio la sentenza impugnata. Errare è umano, travisare è illegittimo. La III sezione Penale della Suprema Corte in primis analizza sinteticamente l’ultimo motivo di ricorso, in ragione della sua pregiudizialità rispetto agli altri. Secondo i giudici di legittimità, dall’esame degli atti del giudizio esaminabili in ragione della natura procedurale del vizio dedotto risulta evidente che l’appello del P.M. era stato correttamente depositato presso la cancelleria del giudice di primo grado in ragione del timbro apposto sull’originale dell’atto di appello . Il motivo viene, pertanto, dichiarato inammissibile. Ben altra sorte tocca alla prima e alla seconda doglianza. Il Supremo Collegio aderisce in toto alle prospettazioni della difesa dell’imputato, evidenziando come la Corte d’Appello abbia completamente trascurato di considerare, nel proprio percorso motivazionale, la dichiarazione resa in primo grado dal commercialista del legale rappresentante, con cui il professionista aveva confermato il proprio errore, per effetto del quale il credito IVA era stato portato in compensazione con i debiti IRES e IRAP, contrariamente a quanto richiesto dall’imputato, deciso ad usufruire di una compensazione IVA-IVA. La Corte d’Appello, lungi dal chiarire le ragioni dell’irrilevanza di tale elemento istruttorio, si è invece limitata, secondo la III sezione di legittimità, ad un’apodittica affermazione di insussistenza della prova del benché minimo errore di fatto. Un simile modus motivandi costituisce, per costante giurisprudenza, travisamento della prova, il quale ricorre allorché si inserisca nella motivazione della sentenza una informazione rilevante, in realtà non esistente nel processo, o si ometta del tutto di valutare una risultanza istruttoria decisiva ai fini del giudizio. Tale decisività i giudici di Piazza Cavour rinvengono nella su citata dichiarazione testimoniale del commercialista, la quale potrebbe condurre ad una pronuncia di assoluzione dell’imputato per mancanza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli elemento soggettivo consistente, per quanto riguarda l’art. 10 ter D. Lgs. n. 74 /2000, nella coscienza e volontà dell’omesso versamento, nei termini ivi esplicitati, dell’imposta sul valore aggiunto. Avendo riguardo al terzo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ne dichiara l’assorbimento in ragione della fondatezza della prima e della seconda censura. Naturale conclusione dell’ iter motivazionale della III sezione penale della Suprema Corte è l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con l’obbligo per la Corte d’Appello di Perugia giudice del rinvio in ossequio al combinato disposto degli artt. 623, lett. c c.p.p. e 175 disp. att. c.p.p. di esaminare la prova rappresentata dalla testimonianza del commercialista e di valutarne la rilevanza ai fini del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 novembre 2013 - 22 gennaio 2014, n. 2882 Presidente Squassoni – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. La Corte d'Appello di L'Aquila, adita su appello del Pubblico Ministero e dell'imputato A.G. , con sentenza 15.3.2013, rigettando parzialmente l'impugnazione dell'imputato e in accoglimento di quella del Pubblico Ministero, ha riformato in parte la pronunzia del Tribunale di Chieti, escludendo la circostanza attenuante di cui all'art. 13 del D.Lvo n. 74/2000 e, concesse all'imputato le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in mesi quattro di reclusione. Ha applicato altresì le pene accessorie in relazione al reato di cui all'art. 10 ter, di cui l'imputato era stato ritenuto responsabile per omesso versamento IVA relativa all'anno 2005, quale legale rappresentante della Lamiere Tecnologiche srl . Per giungere a tale conclusione la Corte di merito ha rilevato che l'IVA relativa al 2005 non fu versata nei termini e che la comunicazione del 2009 fatta all'Erario per informarlo dell'errore sulla detrazione di un credito già utilizzato per compensare altre imposte del credito, così come il versamento integrativo delle somme relative ad IRES e IRAP, costituiva un escamotage per rimediare ad una situazione che avrebbe avuto risvolti penali. Secondo la Corte di merito non era affatto erronea la compensazione del credito IVA 2004 con l'IRES e IRAP 2005, ma rispose ad una scelta effettuata dal gestore della contabilità societaria, non esistendo agli atti nessuna disposizione con cui l'A. indicò al commercialista di utilizzare il credito di imposta solo per compensare l'IVA del 2005 di conseguenza il consulente non fece nessun errore di diritto e che si trattò di errore di fatto nel senso che si fece ciò che in realtà non si voleva non risultava dimostrato in alcun modo. Ha rilevato inoltre che in mancanza di una delega formale non aveva nessun rilievo scriminante il fatto che il legale rappresentante della società si fosse rivolto ad uno studio professionale per la gestione della contabilità e delle incombenze tributarie. Ha poi ritenuto di accogliere la richiesta di concessione dei doppi benefici di legge, formulata in subordine dall'appellante. Esaminando l'appello del pubblico ministero, ha ritenuto che correttamente dovesse escludersi l'attenuante speciale, non risultando provato che il debito IVA 2005 e le relative sanzioni vennero pagate dalla società dell'imputato. Conseguentemente, ha disposto le pene accessorie. 2. L'A. tramite il difensore ricorre per cassazione deducendo quattro motivi. Considerato in diritto 1. Evidenti ragioni di priorità logica inducono il Collegio a partire dall'esame del quarto motivo di ricorso, con cui si deduce l'inosservanza degli artt. 591 e 582 cpp per omessa presentazione dell'impugnazione del Pubblico Ministero nella cancelleria del giudice Tribunale di Chieti che aveva emesso il provvedimento impugnato, mancando qualunque attestazione in tal senso. Il motivo è infondato. Certamente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procuratore della Repubblica, che non intenda avvalersi della possibilità - offerta a tutte le parti dall'art. 583 - di spedire l'atto di appello, proposto in materia cautelare, a mezzo telegramma o raccomandata, deve - a pena di inammissibilità - presentarlo nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza, perché solo le parti private ed i loro difensori hanno, ai sensi del secondo comma dell'art. 582 cod. proc. pen., la possibilità di presentare l'impugnazione anche nel luogo in cui essi si trovano cfr. Sez. 2, Sentenza n. 38504 del 13/10/2010 Cc. dep. 02/11/2010 Rv. 248917 Sez. 4, Sentenza n. 15674 del 10/02/2004 Cc. dep. 02/04/2004 Rv. 228046 Sez. 4, Sentenza n. 3265 del 01/06/2000 Cc. dep. 10/08/2000 Rv. 217128 . Nel caso di specie, però, dagli atti del giudizio - il cui esame è senz'altro consentito in ragione della natura procedurale del vizio dedotto - risulta che l'appello è stato depositato presso la cancelleria del giudice a quo in data 23.6.2010, come da timbro apposto sull'originale dell'atto. L'impugnazione era, dunque, ammissibile. 2.1 Passando all'esame degli altri motivi di ricorso rileva la Corte che con il primo di essi di denunzia la nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 43 e 47 cp nonché 10 ter del D. Lvo n. 74/2000 e 2 del DPR n. 322/1998. Afferma il ricorrente che il superamento della soglia di punibilità per poco più di 1.000,00 Euro era stato determinato da un errore materiale del proprio commercialista e che quindi la propria condotta non era sorretta da coscienza e volontà. Infatti, a fronte di un debito IVA di Euro 51.181,00 quindi di poco superiore alla soglia di punibilità , la società Lamiere Tecnologiche srl di cui egli era il legale rappresentante vantava un credito IVA di Euro 16.781,00 sempre nel 2005 e che tale credito era stato utilizzato erroneamente dal commercialista per compensare l'IRES e l'IRAP nonostante la volontà della società fosse nel senso di impiegare l'importo per compensare parzialmente il debito IVA. Osserva che dopo la notifica della cartella di pagamento si era venuti a scoprire detto errore e pertanto il commercialista aveva provveduto nel 2009 a presentare una dichiarazione integrativa predisponendo ed eseguendo il pagamento degli importi delle imposte sui redditi erroneamente compensati col credito IVA. In tal modo - prosegue il ricorrente - il debito IVA per il 2005 da versare entro il 27.12.2006 si riduceva da Euro 51.181,00 a Euro 34.400,00, per effetto, appunto, di compensazione parziale. Mancando quindi l'elemento soggettivo del reato, oltre che quello oggettivo, la punibilità doveva essere esclusa ai sensi dell'art. 47 cp, anche perché sarebbe illogico ritenere che l'imputato, per appena 1.000,00 Euro, abbia deciso di dare rilievo penale alla propria condotta. 2.2 Con un secondo motivo si denunzia la nullità ò della sentenza per violazione degli artt. 187, 192 e 194 cpp nonché l'omessa motivazione e/o travisamento dei fatti la Corte d'Appello, a dire del ricorrente, avrebbe completamente tralasciato di considerare la deposizione resa dal commercialista dott. R. il quale aveva ammesso che per un errore del proprio ufficio il credito IVA di Euro 16.871,00 era stato utilizzato in compensazione con il debito relativo alle imposte dirette e che l'intenzione della società era invece quella di utilizzare detto credito per compensare il debito IVA scaturente dalle liquidazioni mensili dell'anno 2005. Secondo il ricorrente, dunque, la prova dell'errore di fatto era stata fornita nel giudizio, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito. 2.3 Col terzo motivo il ricorrente deduce la nullità ai sensi dell'art. 606 lett. c cpp e la contraddittorietà della motivazione per divergenza tra dispositivo e motivazione osservando che nella parte motiva conteneva il riferimento alla concessione dei doppi benefici di legge, mentre invece nel dispositivo nulla si afferma e rileva che - trattandosi di pronuncia emessa con motivazione contestuale - non era possibile accertare la reale volontà del giudice, per cui il provvedimento doveva considerarsi assolutamente anomalo e quindi soggetto ad annullamento con rinvio. I primi due motivi sono fondati. Il vizio della motivazione deducibile in cassazione ai sensi del testo novellato dell'art. 606 lett. e cod. proc. pen. può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati, con la conseguenza che assume rilievo il travisamento della prova, da ritenersi configurato quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia cfr. tra le varie, Sez. 7, Ordinanza n. 27518 del 11/05/2006 Cc. dep. 02/08/2006 Rv. 234604 Sez. 2, Sentenza n. 13994 del 23/03/2006 Cc. dep. 20/04/2006 Rv. 233460 . Nel caso di specie, già col secondo motivo di appello era stato dedotto l'errore del commercialista precisandosi che la circostanza era stata confermata in aula dal medesimo il quale aveva dichiarato che il proprio ufficio per errore aveva generato una delega in compensazione utilizzando i 16.781 Euro del credito relativo all'anno precedente per pagare imposte dirette relative al 2004, e che nella relazione a firma del dott. R. si affermava l'intenzione della società di utilizzare il credito di Euro 16.781,00 indicato in dichiarazione per compensare il debito IVA scaturente dalle dichiarazioni mensili dell'anno 2005. La circostanza era senz'altro decisiva perché finalizzata ad escludere l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 10 ter del D.Lvo n. 74/2000, che è costituito dalla coscienza e volontà dell'agente di sottrarsi all'adempimento dell'obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo. La Corte d'Appello, però, senza prendere in esame tale circostanza, ha affermato che non è stato dimostrato in alcun modo l'errore di fatto nel senso che si fece ciò che in realtà non si voleva , incorrendo in tal modo nel vizio di travisamento della prova la sentenza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia che esaminerà la prova rappresentata dalla dichiarazione del commercialista e ne valuterà la rilevanza. Resta logicamente assorbita la trattazione del restante motivo il terzo , anche se è opportuno chiarire in ogni caso che la regola generale secondo cui, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui l'esame della motivazione stessa consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice, sì da condurre alla conclusione che la divergenza dipende da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19462 del 20/02/2013 Ud. dep. 06/05/2013 Rv. 255478 sez. 5, Sentenza n. 8363 del 17/01/2013 Ud. dep. 20/02/2013 Rv. 254820 Sez. 6, Sentenza n. 25704 del 23/05/2003 Cc. dep. 12/06/2003 Rv. 226048 . P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia.