L’interposizione di un soggetto che acquisti fittiziamente dal fornitore comunitario e rivenda al reale compratore comporta un palese vantaggio per l’effettivo acquirente questo si trova infatti ad utilizzare fatture alle quali è applicata l’IVA, così da assumere il correlativo diritto maggiorato alla detrazione.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9299, depositata il 27 febbraio 2013. La società cartiera. Una s.r.l. si infila fittiziamente nella filiera di distribuzione di macchinari destinati ad un birrificio. Lo scambio avviene tra un’impresa slovacca ed il birrificio. La s.r.l. risulta però essere formalmente parte di questa rete distributiva ha infatti emesso fatture per aver trasportato i macchinari al birrificio. Ma il trucco viene scoperto e l’amministratore unico della società viene condannato ad un anno di reclusione, per avere emesso fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire al birrificio l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Il progressivo aumento del debito IVA. Il meccanismo è questo un’impresa acquista da una società comunitaria e poi rivende ad un’altra impresa nazionale. Tra uno scambio e l’altro aumenta il debito IVA che si crea via via che le merci sono immesse nel mercato interno . L’amministratore condannato, vistosi rigettato l’appello, ricorre per cassazione, sostenendo che la fornitura dei beni fatturati sia realmente avvenuta, come previsto dal contratto, e che la condanna si è basata sui fatti del procedimento penale in cui è imputato il legale rappresentante del birrificio. Condanna motivata esaustivamente. La Corte, nel rigettare il ricorso, rileva la correttezza delle argomentazioni fornite dai giudici di merito. Indipendentemente dall’altro procedimento penale, le attività di indagine hanno portato al riconoscimento della colpevolezza dell’imputato. Risulta infatti che la società si è comportata proprio come una cartiera, visto che i macchinari sono stati trasportati dalla ditta slovacca fornitrice e che la s.r.l. non è stata in grado di produrre documentazione comprovante il trasporto dei macchinari presso il birrificio. L’intermediazione era fittizia e con scopi fraudolenti. La motivazione dei giudici di merito risulta totalmente esaustiva , visto che ha evidenziato significativi indicatori di una condotta fraudolenta della s.r.l. che, non avendo acquistato realmente dal fornitore comunitario, si è interposta formalmente al solo fine di consentire al proprio cliente di accumulare una considerevole IVA a credito da portare in detrazione . Cliente che appunto si trova ad utilizzare le fatture a cui, pur emanate per operazioni inesistenti, è applicata l’IVA.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 gennaio 27 febbraio 2013, n. 9299 Presidente Fiale Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Tribunale di Cosenza, con sentenza del 24/11/2010, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava C B. colpevole per avere, nella qualità di amministratore unico della EMI s.r.l., emesso fatture per operazioni inesistenti, al fine di consentire alla società Il Mastro Birraio di Calabria s.r.l. l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, e lo condannava alla pena di anni 1 di reclusione. La Corte di Appello di Catanzaro, chiamata a pronunciarsi sull'appello interposto nell'interesse dell'imputato, con sentenza del 9/2/2012, ha confermato il decisum di prime cure. Propone ricorso per cassazione la difesa del B. , con i seguenti motivi - la affermazione di colpevolezza si fonda su una sentenza relativa al processo che vede imputata la legale rappresentante della società Il Mastro Birraio s.r.l., Teresa Mele, con cui la predetta è stata condannata per violazione degli artt. 640 bis, 483 e 640 cod. pen., non ancora passata in giudicato, per cui inutilizzabile ai fini del decidere - carenza della motivazione, non avendo il decidente tenuto conto di alcune risultanze emergenti dagli atti costituenti il compendio probatorio - contraddittorietà della sentenza, in riferimento alla omessa considerazione relativa al fatto che la fornitura dei beni portati dalle fatture, asseritamente riferite ad operazioni inesistenti, è realmente avvenuta, in conformità al contratto sottoscritto dalle parti. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. La argomentazione motivazionale, sviluppata in sentenza in relazione alla concretizzazione del reato contestato e alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto, si palesa del tutto logica e corretta. Osservasi che dal vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l'impugnata pronuncia, è emerso che la Corte distrettuale, preliminarmente, rileva giustamente che le eccezioni e le argomentazioni svolte dalla difesa dell'imputato nei motivi di appello si sono risolte nella riproposizione di questioni già dedotte nel giudizio di primo grado, diffusamente e correttamente riscontrate dal Tribunale, in difetto di confutazioni delle considerazioni sviluppate nella impugnata pronuncia. La sentenza del gup del Tribunale di Cosenza, infatti, ha evidenziato la sussistenza di tutti gli elementi integranti la fattispecie delittuosa in contestazione, individuando i plurimi indicatori del ruolo di cartiera assunto dalla EMI s.r.l., con utilizzazione corretta degli esiti delle attività di indagine, indipendentemente dalla richiamata sentenza del Tribunale di Cosenza, resa nel processo promosso contro il legale rappresentante della società Il Mastro Birraio di Calabria, n. 313/2010. Gli elementi di fatto accertati hanno permesso al giudice di merito di qualificare come cartiera la EMI, con indicazione puntuali degli elementi individualizzanti in tal senso il preventivo per l'acquisto dei macchinari è stato predisposto per la Mastro Birraio di Calabria dalla impresa slovacca i beni sono stati trasportati ed installati dalla stessa ditta slovacca anche la documentazione relativa al loro funzionamento è stata fornita da detta impresa dalla consulenza tecnica del p.m. risulta che il valore effettivo di detti beni oggetto di acquisto era pari al preventivo e non a quello indicato nelle fatture rilasciate dalla EMI quest'ultima società non è stata in grado di produrre documentazione comprovante il trasporto dei macchinari presso la Mastro Birraio di Calabria. Il giudice di merito, a giusta ragione, rileva come una impresa nazionale, la quale operi abitualmente acquistando beni da una impresa comunitaria e rivendendoli ad altro soggetto nazionale, venga ad accumulare un importante e crescente debito d'i.v.a., che si crea via via che le merci sono immesse nel mercato interno è altrettanto certo che, attraverso la interposizione di un soggetto che acquisti fittiziamente dal fornitore comunitario e rivenda al reale compratore, assumendosi, quindi, l'integrale debito di imposta, l'effettivo acquirente si trova ad utilizzare fatture alle quali è applicata l'i.v.a., così da assumere il correlativo diritto alla detrazione ipotesi questa concritezzatasi nel caso in esame. Ad avviso della Corte distrettuale, quanto evidenziato permette di rilevare evidenti risultanze significative di una condotta fraudolenta, basata sulla fittizietà del ruolo rivestito nella filiera della distribuzione dalla EMI, che, infatti, non avendo acquistato realmente dal fornitore comunitario, si è interposta formalmente al solo fine di consentire al proprio cliente, La Mastro Birraio di Calabria, di accumulare una considerevole i.v.a. a credito da portare in detrazione. A fronte di una motivazione totalmente esaustiva, con puntuali richiami agli elementi costituenti la piattaforma probatoria, si scontrano i motivi di annullamento avanzati con il ricorso, che non possono trovare accoglimento perché con essi vengono dedotti motivi in fatto, non proponibili in sede di legittimità perché, peraltro, con gli stessi si tende ad una diversa lettura delle emergenze istruttorie, sulle quali a questa Corte è precluso procede a nuovo esame estimativo. Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il B. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali me al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00.