Il nesso funzionale tra le dichiarazioni diffamatorie e l’esercizio dell’attività di parlamentare non è evidente: ammissibile il conflitto di attribuzioni

Per l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentare. La Corte Costituzionale ammette il conflitto di attribuzioni tra giudici e Parlamento.

Con le ordinanze nnumero 13 e 14, la Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili i conflitti di attribuzione sollevati da alcuni magistrati nei confronti di Camera e Senato. Due casi analoghi. Con le due ordinanze la Consulta ha deciso sull’ammissibilità di due conflitti di attribuzione sollevati in due giudizi simili nei confronti del Parlamento. Oggetto del contendere è la corretta applicazione dell’articolo 68, comma 1, della nostra Costituzione. Questo prevede, infatti, in tema di immunità parlamentari, che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». La finalità perseguita dalla norma è di garantire ad ogni parlamentare la serenità necessaria per svolgere i propri compiti, senza il timore di dover rendere conto di quanto detto, evitando così indebite pressioni. Le dichiarazioni extra moenia. Tale strumento, però, è stato spesso abusato. La giurisprudenza costituzionale già ha avuto modo di esprimersi circa l’estensione del concetto di «esercizio delle funzioni parlamentari», che è stato correttamente applicato anche ad opinioni espresse al di fuori delle aule parlamentari, extra moenia. E’ richiesto però, in questi casi, ricorsa la Consulta, un particolare nesso funzionale « tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento – al quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità di cui all’articolo 68, primo comma, Cost. – è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentare tra le ultime, sentenze numero 301 del 2010, numero 420, numero 410, numero 134 e numero 171 del 2008, numero 11 e numero 10 del 2000 ». Il caso del Senatore Iannuzzi. È chiamato in Tribunale per rispondere del reato di diffamazione. Con la pubblicazione di un libro ha definito alcuni magistrati «professionisti dell’antimafia», assumendo «che la loro attività sarebbe stata improntata a dolosa faziosità e ad intenti persecutori, e comunque ispirata da finalità illecite attuate mediante comportamenti devianti». Il Senato, non adeguandosi alla relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere, sostiene l’insindacabilità di tali opinioni, essendo state espresse nell’esercizio dell’attività di parlamentare. Il Tribunale nel sollevare il conflitto di attribuzioni, sottolinea che l’insindacabilità, per operare, «necessita che le dichiarazioni siano effettivamente e sostanzialmente corrispondenti ai contenuti di attività tipicamente parlamentari e costituiscano divulgazione o comunicazione all’esterno di atti già compiuti nell’ambito della stretta funzione parlamentare». Così non è stato in questa vicenda. Il caso del Senatore Gasparri. Ai tempi deputato, rilasciando un’intervista ad un giornale, avrebbe leso l’onore di alcuni giudici, poichè «nel commentare il provvedimento del Tribunale del riesame di Napoli, da essi composto, con il quale era stata disposta la custodia cautelare, anziché in carcere, in casa di cura, da cui era poi evaso, di un imputato di gravi fatti di camorra», li ha definiti «irresponsabili» e in una successiva intervista, resa in relazione alla stessa vicenda, ha «aggiunto di aver sospetti non di mera dabbenaggine, ma di loro comportamento illecito». I giudici hanno proposto domanda di risarcimento danni per tali dichiarazioni diffamatorie. Dopo che nei gradi precedenti era stato ritenuto improcedibile, vista la delibera della Camera dei Deputati circa l’insindacabilità di tali opinioni, il caso giunge in Cassazione. La Corte solleva allora conflitto di attribuzione, sottolineando che la «delibera di insindacabilità della Camera dei Deputati, per cui è conflitto, non indica atti parlamentari tipici del deputato anteriori o contestuali alle dichiarazioni del deputato Gasparri, limitandosi ad affermare che le dichiarazioni del parlamentare “si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro paese inerente ai problemi della giustizia e in tale contesto al modo di procedere della magistratura ed alle tematiche della sicurezza”». Conflitti di attribuzione ammissibili. La Corte, vista la legittimazione del Tribunale e della Corte di Cassazione a sollevare il conflitto di attribuzione e viste le loro argomentazioni, dichiara ammissibili i conflitti così sollevati. Quindi, la Corte Costituzionale si esprimerà ancora una volta su cosa debba intendersi con esercizio della funzioni di parlamentare.

Corte Costituzionale, ordinanza 16 gennaio – 6 febbraio 2013, numero 14 Presidente Gallo – Redattore Morelli ORDINANZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 27 febbraio 2001, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Maurizio Gasparri nei confronti dei dottori Gian Paolo Cariello, Donato D’Auria e Giovanna Di Donna, promosso dalla Corte di cassazione con ricorso depositato in cancelleria il 25 giugno 2012 ed iscritto al numero 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2012, fase di ammissibilità. Udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli. Ritenuto che, con ordinanza–ricorso depositata il 24 ottobre 2011, la Corte di cassazione, terza sezione civile, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei Deputati, in riferimento alla deliberazione con la quale l’Assemblea, approvando il 27 febbraio 2001 la relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere doc. IV–quater numero 174 , ha dichiarato la insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Maurizio Gasparri nei confronti dei magistrati Giovanna Di Donna, Donato D’Auria e Gian Paolo Cariello che la Corte ricorrente premette di essere stata investita della impugnazione proposta dai predetti magistrati avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, confermativa della pronuncia di primo grado, con la quale era stata dichiarata improcedibile nei confronti del deputato Gasparri e respinta nei confronti de Il Mattino s.p.a. e del giornalista Paolo Gambescia la domanda di risarcimento danni avanzata in relazione al contenuto ingiurioso e diffamatorio di due interviste pubblicate sul quotidiano Il Mattino nei giorni 18 e 19 marzo 2000 che, nel giudizio di merito, gli attori avevano, in particolare, lamentato che, nella prima intervista, il deputato Gasparri – nel commentare il provvedimento del Tribunale del riesame di Napoli, da essi composto, con il quale era stata disposta la custodia cautelare, anziché in carcere, in casa di cura, da cui era poi evaso, di un imputato di gravi fatti di camorra – li avesse definiti irresponsabili e che nella successiva intervista, resa in relazione alla stessa vicenda, quel deputato avesse aggiunto di aver sospetti non di mera dabbenaggine, ma di loro comportamento illecito che i motivi della impugnazione proposta contro il deputato Gasparri previamente separata da quella relativa agli altri convenuti – con i quali i magistrati hanno denunciato violazione dell’articolo 68 della Costituzione, in relazione alla delibera assembleare, ritenuta ostativa alla procedibilità della loro domanda risarcitoria nella sede di merito – ad avviso della Corte di cassazione, appaiono fondati che infatti, secondo la richiamata, ormai costante, giurisprudenza della Corte costituzionale, per l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento – al quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità di cui all’articolo 68, primo comma, Cost. – è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentare tra le ultime, sentenze numero 301 del 2010, numero 420, numero 410, numero 134 e numero 171 del 2008, numero 11 e numero 10 del 2000 che, viceversa, la delibera di insindacabilità della Camera dei Deputati, per cui è conflitto, non indica atti parlamentari tipici del deputato anteriori o contestuali alle dichiarazioni del deputato Gasparri, limitandosi ad affermare che le dichiarazioni del parlamentare «si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro paese inerente ai problemi della giustizia e in tale contesto al modo di procedere della magistratura ed alle tematiche della sicurezza» e che la fuga dell’imputato di cui trattavasi «fu oggetto anche di iniziative parlamentari di sindacato ispettivo, iniziative che lo stesso deputato Gasparri aveva preannunziato», senza però indicare chi avesse intrapreso tali iniziative peraltro negate dai ricorrenti e quando esse fossero state richieste. Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’articolo 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , a deliberare, senza contradditorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto vi sia «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo e restando impregiudicata ogni ulteriore questione anche in punto di ammissibilità che, sotto il profilo del requisito soggettivo, va riconosciuta la legittimazione della Corte di cassazione a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli che, parimenti, deve essere riconosciuta la legittimazione della Camera dei deputati ad essere parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicazione dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione che, per quanto attiene al profilo oggettivo, la Corte ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza di un esercizio ritenuto illegittimo, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere spettante alla Camera dei deputati di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse dai membri di quel ramo del Parlamento ai sensi dell’articolo 68, primo comma, Cost. che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1 dichiara ammissibile, ai sensi dell’articolo 37 della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe, proposto dalla Corte di cassazione nei confronti della Camera dei deputati 2 dispone a che la Cancelleria di questa Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente Corte di cassazione, terza sezione civile b che il ricorso e la presente ordinanza siano, a cura della ricorrente, notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a , per essere successivamente depositati, con prova dell’avvenuta notifica, nella Cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Corte Costituzionale, ordinanza 16 gennaio – 6 febbraio 2013, numero 13 Presidente Gallo – Redattore Grossi ORDINANZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 3 agosto 2010, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse nel libro intitolato «Lo sbirro e lo Stato» dall’onorevole Raffaele Iannuzzi nei confronti del dottor Guido Lo Forte ed altri, promosso dal Tribunale ordinario di Roma, con ricorso depositato in cancelleria il 9 agosto 2012 ed iscritto al numero 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2012, fase di ammissibilità. Udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi. Ritenuto che, con ricorso depositato il 9 agosto 2012, il Giudice monocratico della quinta sezione penale del Tribunale ordinario di Roma, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 3 agosto 2010 Doc. IV-ter, numero 17-A con la quale l’Assemblea ha dichiarato l’insindacabilità delle opinioni espresse da Raffaele Iannuzzi, all’epoca dei fatti senatore della Repubblica, nei confronti di Guido Lo Forte, Giancarlo Caselli, Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci che oggetto del giudizio de quo sono le affermazioni analiticamente trascritte nei singoli capi di imputazione contenute nel libro dello Iannuzzi intitolato «Lo sbirro e lo Stato», pubblicato nel 2008 con il quale l’autore ha tra l’altro riproposto un suo precedente articolo, apparso su «Il Giornale» del 7 novembre 2004 e intitolato «Mafia 13 anni di scontri tra PM e Carabinieri» , che hanno determinato l’instaurazione a carico del predetto del processo per il reato di diffamazione a mezzo stampa, previsto dagli articolo 595, primo, secondo e terzo comma, del codice penale, 13 della legge 8 febbraio 1948, numero 47 Disposizioni sulla stampa , e 61, numero 10, del codice penale, in ragione del fatto che nel contesto della pubblicazione – in cui si afferma, altresì, che le vicende giudiziarie alle quali avevano preso parte, per le loro funzioni, i querelanti erano conseguenza o comunque espressione di una “guerra” promossa dalla Procura di Palermo contro il ROS dei Carabinieri per delegittimare importanti esponenti dell’Arma, con finalità diverse da quella istituzionale – i suddetti magistrati vengono definiti «professionisti dell’antimafia», e si assume che la loro attività sarebbe stata improntata a dolosa faziosità e ad intenti persecutori, e comunque ispirata da finalità illecite attuate mediante comportamenti devianti che – riferite le vicende processuali, nel corso delle quali, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio dello Iannuzzi, il giudice per le indagini preliminari aveva ordinato su eccezione della difesa ed opposizione delle parti civili costituite la trasmissione di copia degli atti al Senato e sospeso il procedimento penale, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, numero 140 Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia dei processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato procedimento poi ripreso una volta trascorso il novantesimo giorno dalla ricezione degli atti da parte del Senato, e quindi definito con il rinvio a giudizio – il ricorrente deduce che, nel frattempo, con la citata delibera del 3 agosto 2010, l’Assemblea del Senato non ha approvato la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari secondo la quale le dichiarazioni in esame non ricadevano nell’ipotesi dell’articolo 68, primo comma, Cost. , e ne ha affermato così l’insindacabilità che – secondo quanto riferito nel ricorso –, a seguito di tale delibera, la difesa dell’imputato ha invocato una pronuncia di non doversi procedere, mentre il pubblico ministero ed il difensore delle parti civili hanno chiesto sollevarsi conflitto di attribuzione ai sensi dell’articolo 134 Cost. che, in accoglimento di quest’ultima richiesta, il ricorrente rileva che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, se è indubbio che la garanzia dell’insindacabilità si estende anche alle dichiarazioni rese da un appartenente al Parlamento della Repubblica fuori dall’ambito parlamentare, è però necessario che sussista un nesso funzionale tra le affermazioni extra moenia e le funzioni in concreto svolte dal parlamentare che ne è stato l’artefice, non essendo sufficiente per qualificare ciò che altrimenti realizzerebbe l’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’articolo 21 Cost. un semplice collegamento di argomento e/o di contesto politico tra l’attività parlamentare e le dichiarazioni rese, le quali viceversa debbono essere riproduttive delle opinioni sostenute in sede parlamentare, al fine di renderle note ai cittadini che pertanto, ad avviso del giudice a quo, la garanzia costituzionale della insindacabilità non opera sulla base di un mero collegamento con lo status di parlamentare in sé considerato diversamente trasformandosi l’istituto previsto dall’articolo 68 Cost. in un ingiustificato privilegio personale incompatibile con il principio di eguaglianza e con il diritto di accesso alla giustizia da parte dei cittadini lesi dalle dichiarazioni , ma necessita che le dichiarazioni siano effettivamente e sostanzialmente corrispondenti ai contenuti di attività tipicamente parlamentari e costituiscano divulgazione o comunicazione all’esterno di atti già compiuti nell’ambito della stretta funzione parlamentare che, ciò premesso, il ricorrente osserva sia che il disegno di legge avente ad oggetto la «Istituzione di una commissione di inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia» A.S. 2292 delle XIV legislatura – indicato dal medesimo Iannuzzi, nel corso della sua audizione da parte della Giunta per le autorizzazioni, quale attività parlamentare alla quale le opinioni espresse nel libro sarebbero funzionalmente collegate – riguarda il tema di carattere generale della gestione dei pentiti e delle conseguenze delle dichiarazioni da loro rese sia che neppure nella relazione che accompagna il disegno di legge vi è qualsivoglia riferimento alle specifiche vicende giudiziarie, cui viceversa si riferiscono le accuse contenute nel libro che dunque, secondo il ricorrente – dato anche l’ampio lasso di tempo intercorrente tra la presentazione del disegno di legge 23 giugno 2003 e la pubblicazione del libro risalente al febbraio 2008 , tale da farne escludere il carattere divulgativo –, la condotta addebitabile all’imputato esulerebbe dall’esercizio delle funzioni parlamentari, non presentando alcun legame con atti parlamentari, anche nella loro accezione più ampia che, peraltro, per il giudice a quo, non ricorre come invece eccepito dalla difesa dell’imputato alcuna ipotesi di bis in idem per il fatto che il libro «Lo sbirro e lo Stato» riproduce anche un articolo già pubblicato nel 2004 sul quotidiano «Il Giornale» – in relazione al quale si era svolto altro procedimento penale, avanti al Tribunale di Milano, a carico del senatore Iannuzzi, per il reato di diffamazione col mezzo della stampa, e sul cui contenuto il Senato aveva deliberato l’insindacabilità delle opinioni espresse dall’autore delibera da cui era conseguita la proposizione di altro conflitto di attribuzione, ammesso da questa Corte, ma poi dichiarato improcedibile per tardivo deposito dell’atto introduttivo notificato, con successivo proscioglimento, ad opera del GIP, del senatore dal reato ascrittogli –, giacché oggetto dell’attuale procedimento non sono le affermazioni contenute nell’articolo del 2004, ma quelle riportate nel libro del 2008, il contenuto del quale non si esaurisce nel precedente scritto che, in conclusione, il giudice a quo sospeso il processo chiede che la Corte, «dichiari ammissibile il presente conflitto», «dichiari che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione della condotta addebitabile al senatore Iannuzzi in quanto estranea alla previsione di cui all’articolo 68 Cost.» e, di conseguenza, «annulli la delibera del Senato della Repubblica adottata il 3 agosto 2010». Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’articolo 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, numero 87 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale , a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto vi sia la «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo e restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità che, sotto il profilo del requisito soggettivo, va riconosciuta la legittimazione del Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Roma quinta sezione penale a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli che, parimenti, deve essere riconosciuta la legittimazione del Senato della Repubblica cui apparteneva l’imputato all’epoca dei fatti ad essere parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione che, per quanto attiene al profilo oggettivo, il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza di un esercizio ritenuto illegittimo, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere spettante al Senato della Repubblica di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse da un membro di quel ramo del Parlamento ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara ammissibile, ai sensi dell’articolo 37 della legge 11 marzo 1953, numero 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe, proposto dal Giudice monocratico della quinta sezione penale del Tribunale ordinario di Roma, nei confronti del Senato della Repubblica dispone a che la cancelleria della Corte costituzionale dia immediata comunicazione della presente ordinanza al predetto giudice, che ha proposto il conflitto di attribuzione b che il ricorso e la presente ordinanza siano notificati, a cura del ricorrente, al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a , per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.