“Tutti al mare!”: dimentica i braccioli e, facendo inversione di marcia, uccide un motociclista

La manovra di immettersi sulla carreggiata al fine di effettuare un’inversione della direzione di marcia è antecedente causale rispetto alla collisione che si verifica a causa dell’occupazione della carreggiata destinata al transito di veicoli, perché costituisce violazione delle norme di prudenza e, segnatamente, di quella che impone agli utenti della strada di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 26295, depositata il 22 giugno 2015. Il caso. Una donna stava portando figlio e nipote al mare quando, accorgendosi di aver dimenticato i braccioli a casa, decideva di tornare indietro. Si trovava su un tratto di strada extraurbano a doppio senso di marcia pianeggiante e rettilineo e, pertanto, decideva di invertire la marcia spostandosi con il furgone dalla stessa condotto sull’altra corsia ed approfittare di un varco su un’area sterrata. Dal senso opposto di marcia originariamente percorso dall’imputata, sopraggiungeva però la vittima, un motociclista, che percorreva la strada ad un limite di velocità superiore di 40km/h rispetto a quello previsto e che andava ad urtare rovinosamente sulla fiancata del vano carico del furgone, perdendo il controllo del veicolo e sbattendo prima contro il muro di cinta e poi sulla sede stradale. In primo grado l’imputata veniva assolta. Successivamente, su appello del pm e della parte civile, la Corte territoriale ribaltava la decisione e condannava l’imputata, ritenuto un concorso di colpa della vittima preponderante pari al 60% , concesse le attenuanti generiche giudicate prevalenti sulla contestata aggravante i.e. la violazione delle regole della circolazione stradale , alla pena di 6 mesi di reclusione e al risarcimento della parte civile, in solido con la compagnia assicurativa, concedendo una provvisionale di 40mila euro a cui subordinava la sospensione condizionale della pena. L’antecedente causale. Per la prima sentenza, poiché la manovra di inversione in quel tratto di strada non era vietata, la condotta realizzata era un antecedente della serie causale di per sé non colpevole e che obbligava l’imputata a rimanere ferma per dare precedenza agli altri utenti di converso, la vittima doveva e poteva avvedersi dell’ostacolo ed evitarlo. A giudizio della Corte Suprema, i postulati posti dal Tribunale non sono corretti, in quanto non conformi alla giusta interpretazione delle norme sulla circolazione stradale. Risulta infatti innegabile che l’essersi posta nella posizione di recare intralcio alla circolazione è condotta avente un’efficacia causale, anche se non esclude il concorso di colpa della vittima. La condotta colposa della vittima, tuttavia, non è esclusiva, cioè eccezionale ed imprevedibile e tale, pertanto, da interrompere il nesso causale con la condotta dell’imputata. L’eccesso di velocità non ha efficacia causale esclusiva, ma concorrente. La velocità eccessiva non costituisce elemento imprevedibile ed eccezionale idoneo, da solo, a determinare l’evento è infatti solo una causa concorrente che non esclude il rapporto di causalità. In tema di circolazione stradale è stato affermato che quando un conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio di eventi collisivi, la sopraggiunta condotta colposa di altri conducenti, per quanto sinergica, non vale a ritenere quest’ultima esclusiva nell’eziologia dell’evento, a condizione che rientri nei limiti della prevedibilità. La condotta di altri utenti della strada può dare luogo, in siffatte ipotesi, ad un concorso di colpa nella determinazione dell’evento. Fuori da tali ipotesi, la condotta dell’utente della strada favorito dal diritto di precedenza che sia abnorme, eccezionale ed imprevedibile costituisce fattore causale esclusivo nella causazione del sinistro, in quanto interviene e recide il rapporto causale esistente tra la condotta del conducente del veicolo gravato dall’obbligo di precedenza e l’evento dannoso. Diligenza, prevedibilità, affidamento. Nella circolazione stradale si pretende, come noto, una misura di diligenza massima ciascun utente deve essere in grado di regolare non solo la propria condotta ma anche di controbilanciare la pericolosità intrinseca della circolazione stradale e, quindi, di neutralizzare le conseguenze negative derivanti dalla condotta di altri utenti della strada. Tuttavia, la misura della diligenza e della prudenza trova un limite nella prevedibilità del comportamento imprudente di altri utenti. È solo all’interno di queste coordinate che trova spazio il principio di affidamento. Invero in generale non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate regole precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che altri rimuova la situazione di pericolo o lo prevenga. La velocità non è un evento imprevedibile. La Suprema Corte ha affermato che la velocità, anche se notevolmente superiore ai limiti vigenti, raramente può considerarsi evento imponderabile ed imprevedibile giacché rientra, secondo l’ id quod plerumque accidit , nell’alveo dei comportamenti irregolari insieme alla violazione delle distanze di sicurezza, alla manovre improprie che, quindi, devono essere considerati come possibili perché prevedibili da parte degli altri utenti della strada. Precipitando questo principio nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che la velocità della vittima non presentasse i caratteri di assoluta imprevedibilità e, pertanto, non fosse di per sé sola sufficiente alla produzione dell’evento dannoso. L’eziologia dell’evento, infatti, deve essere ricercata nell’azzardata manovra di inversione di marcia effettuata dalla conducente del furgone, perché antecedente causale senza il quale neppure si sarebbero verificate le condizioni della collisione. Nessun difetto di correlazione tra accusa e sentenza. La difesa ha censurato la sentenza anche in riferimento al fatto che non vi era certezza dell’esecuzione della manovra di retromarcia come rimproverata in imputazione e, ciononostante, si era ritenuta colpevole l’imputata sulla scorta della condotta tenuta in precedenza, vale a dire il fatto di essersi posta sulla carreggiata occupandola al fine di effettuare la manovra di inversione. La Suprema Corte ha ricordato che il principio in parola è violato solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi in rapporto di eterogeneità o incompatibilità sostanziale per trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito rispetto all’accusa, di talché l’imputato si trova di fronte ad un fatto del tutto nuovo rispetto al quale non ha avuto la possibilità di difendersi. Esula dalla violazione del principio, invece, l’ipotesi in cui nei fatti – rispettivamente contestati e ritenuti – possa individuarsi un nucleo comune, specie se di continenza. La condotta di occupare la carreggiata in violazione della disciplina del Codice della Strada, indipendentemente dal riferimento alla specifica manovra di retromarcia, comprende qualsiasi antecedente fattuale che abbia portato il veicolo a determinare la situazione di impegno della sede stradale pertanto, nel caso in esame non può sostenersi che l’imputato non sia stato messo in condizione di difendersi. Il principio nei casi peculiari dei reati colposi. La Corte ha richiamato un consolidato orientamento che specifica che quando si tratta di giudicare reati colposi la correlazione tra accusa e sentenza di condanna è salva quando la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, cioè se fa riferimento alla colpa generica o alla colpa specifica che non sia limitata a singole norme ma ad un complesso normativo, qual è la disciplina della circolazione stradale. In tali casi, infatti, è consentito al giudice aggiungere estremi di comportamento colposo oppure di specificazione della colpa che emergano dagli atti processuali agli elementi di fatto esplicitamente contestati, con salvezza dell’esercizio concreto del diritto di difesa, in quanto non cambia il tema del giudizio. Ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado la prova non è stata rinnovata. La ricorrente ha contestato altresì l’omessa rinnovazione della prova, richiamando l’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretata dalla Corte EDU. Invero, il giudice d’appello che riformi in peius la sentenza di assoluzione è obbligato alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per escutere, in contradditorio con l’imputato, i testimoni a carico quando la prova testimoniale abbia carattere di decisività e il giudice di secondo grado ritenga necessario rivalutare l’attendibilità del teste. La Corte di Cassazione, tuttavia, nel respingere la doglianza, ha evidenziato che la rinnovazione non è necessaria, al contrario, quando il giudice d’appello fondi il proprio diverso convincimento su elementi di prova trascurati dal primo giudice e si limiti a fornire una lettura diversa del compendio probatorio. Tanto ha fatto, secondo il Giudice di legittimità, la Corte territoriale che ha espresso un convincimento radicalmente diverso da quello del primo giudice fondato su una rilettura delle indicazioni desumibili dalle affermazioni dei testi rispetto agli altri argomenti di carattere logico ricavabili dal compendio probatorio e da una lettura coerente e combinata degli stessi, impregiudicato il giudizio circa l’attendibilità dei testi.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 – 22 giugno 2015, numero 26295 Presidente Romis – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9/1/2014 la Corte d'appello di Palermo, accogliendo l'appello del PM e della parte civile, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dichiarava P.D. colpevole del delitto di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in relazione al sinistro occorso lungo la strada di omissis , in conseguenza del quale perdeva la vita E.G. . L'incidente si era verificato in pieno giorno in un tratto stradale extraurbano, a doppio senso di marcia, largo mediamente 7,60 m, pianeggiante e rettilineo, allorquando il motociclo Ducati 750 condotto dall'E. , che procedeva in direzione del centro abitato ad una velocità di 80-90 km/h, superiore al limite di 40 km/h previsto in quel tratto, urtava con la fiancata destra l'angolo posteriore destro del vano carico del furgone Nissan Primastar condotto dalla P. , il quale si trovava in posizione quasi trasversale rispetto al senso di marcia in conseguenza dell'urto il giovane motociclista perdeva il controllo del veicolo e andava rovinosamente a sbattere sul muro di cinta latistante e poi sulla sede stradale. Il furgone si trovava in quella posizione in quanto impegnato in una manovra di inversione di marcia. La sua conducente, infatti, che poco prima stava percorrendo la strada in direzione opposta verso la località balneare di omissis insieme con il figlio e il nipote di 5 e 11 anni, essendosi accorta di aver dimenticato a casa i braccioli da mare del proprio bambino e avendo deciso di tornare a casa per prenderli, aveva intrapreso la predetta manovra ritenendo di poter a tal fine sfruttare un varco sterrato tra i muretti a secco presenti sul lato opposto della carreggiata. I carabinieri intervenuti sul luogo dell'incidente avevano rinvenuto il mezzo con la parte anteriore in tale area sterrata e con la rimanente occludere, quasi ortogonalmente, la parte della carreggiata stradale percorsa da chi, come l'E. , sopraggiungeva da ponente. Ciò premesso, osservava la Corte che l'argomento posto a base della sentenza assolutoria - secondo cui non vi era prova che al momento della collisione il furgone si stesse muovendo in retromarcia per completare la manovra di inversione e non fosse piuttosto fermo come sostenuto dall'imputata - era da considerarsi inconferente, posto che, anche in tale ultima ipotesi, la condotta della P. palesava, comunque, profili di colpa in collegamento causale con l'evento. Quella posta in essere era, infatti, una manovra intrinsecamente pericolosa che, per quanto non specificamente vietata, richiedeva particolari accortezze e precauzioni e poteva peraltro essere evitata, stante l'esistenza pochi chilometri più avanti di una rotatoria che avrebbe consentito di effettuare l'inversione di marcia in tutta sicurezza. A maggior ragione errata si era rivelata la scelta di operare la manovra in quel tratto stretto e costeggiato da muretti a secco e l'idea di sfruttare a tal fine un varco sterrato, dimostratosi in realtà angusto e impraticabile. Per di più era emerso che l'imputata aveva affrontato una siffatta manovra addirittura conversando con i minori che erano con lei per decidere la loro destinazione finale, rallentando così le operazioni nell'incertezza se effettivamente tornare indietro oppure riprendere la marcia verso il mare, con la conseguenza di prolungare l'ingombro della carreggiata. Tutto ciò in violazione della norma di cui all'articolo 140 cod. strada che impone agli utenti della strada di comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio alla circolazione e da salvaguardare in ogni caso la sicurezza stradale. Soggiungeva, peraltro, la Corte territoriale, che la colpa dell'imputata era individuabile anche alla stregua del percorso argomentativo seguito dal primo giudice, ritenendo al riguardo non condivisibile il convincimento di quest'ultimo circa la mancanza di prova del fatto che al momento della collisione essa si stesse muovendo in retromarcia. Rilevava, infatti, che all'opposto convincimento conducevano i seguenti elementi la leva del cambio del furgone era stata trovata inserita nella posizione di retromarcia l'imputata stessa, nel corso del suo esame, aveva riferito che voleva svoltare in quella piazzola sterrata per tornare a casa e che, scorte le pietre che ostruivano il percorso, aveva dovuto cambiare programma le ruote anteriori risultavano sterzate verso sinistra, sicché null'altro era possibile fare se non tornare indietro per togliersi da quella difficile posizione l'imputata aveva affermato che in quel frangente stava guardando alla sua sinistra i veicoli percorrenti la corsia opposta a quella della vittima, sicché può presumersi che la stessa non avesse individuato potenziali fattori di rischio provenienti dalla direzione di ponente ed avesse ritenuto erroneamente di avere via libera per operare la retromarcia. Soprattutto, secondo la Corte, militava nel senso predetto il seguente argomento di carattere logico era emerso pacificamente che, nel mezzo della intrapresa manovra, il furgone rimase fermo essendo gli occupanti impegnati a discutere se ultimare l'inversione di marcia o se proseguire verso il mare pur in mancanza dei braccioli ciò posto era illogico, secondo la Corte, ritenere che ciò fosse accaduto quando il furgone si trovava nella posizione in cui fu poi rinvenuto dai carabinieri subito dopo l'incidente, la quale ostruiva per oltre il 50% l'intera sede stradale e integralmente la se mi carreggiata percorsa dall'E. era piuttosto ragionevole ipotizzare che il breve conciliabolo tra gli occupanti del veicolo fosse avvenuto quando questo si trovava quasi per intero nella piazzola sterrata e che solo successivamente esso si fosse mosso in retromarcia per immettersi nella strada pubblica, così da fermarsi nel punto in cui venne poi rinvenuto dagli agenti. Osservava al riguardo che il contro argomento proposto dalla difesa, secondo cui il furgone era stato trovato in quella posizione in quanto sospintovi dal violento urto laterale con il motociclo, si palesava infondato e, comunque, irrazionale, sia perché non erano stati trovati segni di vernice della moto sulla carrozzeria dell'angolo posteriore destro del furgone ciò a conferma che l'urto era avvenuto di striscio , sia comunque perché non era possibile ipotizzare che in tal modo l'autocarro avesse potuto subire un apprezzabile spostamento o addirittura una sorta di rotazione. Convergenti indicazioni in tal senso erano infine desumibili, secondo i giudici di secondo grado, anche dalle deposizioni dei testi P. e G. , i quali, quel giorno, si stavano dirigendo anche loro verso la predetta località balneare a bordo di uno scooter e avevano pertanto assistito all'incidente da una distanza di circa 200/300 m. Essi, infatti, avevano affermato di aver visto il furgone invadere con la parte posteriore solo metà della corsia percorsa dal motociclista il P. poi, visionando le fotografie esibitegli che ritraevano la posizione del furgone dopo l'incidente, aveva precisato che, rispetto alla posizione mostrata da quella foto, quella da lui direttamente percepita era più avanzata verso il varco sterrato posto al margine della carreggiata. Lette tali affermazioni unitamente a quella, resa da entrambi i testi, secondo cui al momento dell'impatto il furgone era fermo, se ne ricavava - secondo la Corte - che detto mezzo aveva operato un movimento all'indietro occupando ulteriormente la sede stradale in retromarcia. Osservava infine la Corte che, soltanto ipotizzando la suddetta manovra di retromarcia, la dinamica dell'incidente troverebbe una logica e compiuta spiegazione. Se infatti il furgone fosse rimasto fermo, come sostenuto dalla difesa, il motociclista avrebbe avuto a disposizione uno spazio più che sufficiente per scartare senza pericoli l'ostacolo ciò spiegherebbe perché non siano state rinvenute tracce di frenata o di sbandamento, potendosi ipotizzare che l'E. , proprio per aver in lontananza visto il furgone fermo nella posizione predetta, abbia ritenuto di poterlo scansare senza neppure decelerare, confidando sia pure imprudentemente su uno spazio di manovra sufficiente soltanto un'improvvisa retromarcia, anche di pochi decimetri, spiegava quindi il motivo per cui lo spazio libero nella sede viaria si sia invece rivelato insufficiente tanto da rendere inevitabile la collisione viene in tal senso richiamata in sentenza la relazione del consulente tecnico del PM secondo cui, a ritenere vera la versione dell'accaduto resa dall'imputata, si dovrebbe ipotizzare, irragionevolmente, un errore di distrazione del motociclista - tale da non farlo accorgere della presenza dell'autocarro che occupava trasversalmente quasi mezza carreggiata - o, addirittura, una sorta di intenzione suicida . In ragione di ciò riteneva, pertanto, la Corte, ascrivibile all'imputata anche la violazione delle norme dettate dall'articolo 145, comma 6, e 154, comma 3 lett. c , cod. strada, per essersi immessa nella strada pubblica, in retromarcia, senza dare la precedenza al ciclomotore. Reputava peraltro configurabile in capo alla stessa vittima, per la grave violazione del limite di velocità, un concorso di colpa, nella misura preponderante del 60%, ragione per cui concedeva all'imputata le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante e la condannava alla pena di sei mesi di reclusione oltre che, in solido con la responsabile civile Fondiaria Sai S.p.A., al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile E.F. e al pagamento in favore della stessa di una provvisionale di Euro 40.000, al cui pagamento, entro il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato, subordinava il concesso beneficio della sospensione condizionale della pena. 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputata, per mezzo del proprio difensore, sulla base di cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, per difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza di condanna, nella parte in cui la stessa è fondata, indipendentemente dall'accertamento positivo dell'esecuzione della manovra di retromarcia per la quale si muoveva rimprovero in imputazione, sulla condotta di guida tenuta in precedenza e, in particolare, sulla manovra di inversione compiuta e sulla successiva fermata del veicolo nella posizione in cui è stato attinto dalla motocicletta. Rileva che in realtà l'ipotesi accusatoria faceva specifico riferimento alla manovra di retromarcia e che a tale contestazione la Corte territoriale avrebbe dovuto rigorosamente attenersi nel rispetto del diritto di difesa. Contesta al riguardo l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui si tratterebbe di “elementi emersi nel corso del dibattimento di primo grado, peraltro proposti in larga misura dalla stessa difesa e rispetto ai quali si è ampiamente formato il contraddittorio fin dal primo grado di giudizio”, osservando di contro che, mai, nel corso dell'istruzione dibattimentale, si è posto un problema di causalità della citata inversione rispetto al sinistro e tantomeno esso è stato posto dalla difesa, come dimostra il fatto che lo stesso giudice di primo grado non ne ha fatto cenno nell'iter argomentativo che ha condotto alla sua decisione. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di penale responsabilità, in quanto fondata su tale antecedente condotta di guida. Premesso che questa si colloca in una fase del tutto arretrata rispetto al momento dell'incidente ed ha al più valore descrittivo del contesto in cui il sinistro è maturato, deduce che comunque la stessa non ha violato alcuna regola cautelare posto che, ai sensi dell'articolo 157 cod. strada, è consentito nelle strade extraurbane, ove non sia presente alcuna corsia d'emergenza, accostarsi sul margine estremo destro della carreggiata e li arrestare temporaneamente il veicolo, senza che possano assumere alcun rilievo le ragioni che determinano a tale fermata. Né, secondo la ricorrente, può ravvisarsi violazione della norma cautelare di cui all'articolo 140 cod. strada, trattandosi di fermata eseguita a elevata distanza dall'uscita della curva precedente, su un tratto di strada di natura rettilinea, in condizioni di visibilità ideali e in assenza, al momento del sinistro, di altri veicoli che ingombrassero la restante parte della carreggiata. 2.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte d'appello attribuito efficacia causale esclusiva alia condotta assolutamente spericolata della stessa vittima, in quanto consapevolmente e volontariamente votata al rischio. 2.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione per travisamento di prova e violazione dell'articolo 533 cod. proc. penumero , in relazione alla affermazione secondo la quale l'imputata ebbe nell'occorso a spostarsi in retromarcia nei momenti immediatamente antecedenti sinistro. Rileva che l'affermazione secondo cui tale circostanza sarebbe confermata anche dalle deposizioni dei testi P. e G. non trova rispondenza nei relativi verbali, posto che i suddetti testi non hanno mai parlato di una manovra di retromarcia del furgone prima dell'impatto e hanno anzi al contrario sempre affermato di aver visto il furgone fermo. Censura al riguardo anche l'argomento tratto in sentenza dal difforme ricordo riferito dai testi circa la posizione del furgone quale raffigurata nelle foto ad essi esibite, rispetto a quella da essi percepita e ricordata, richiamando al riguardo le plausibili spiegazioni date dal giudice di primo grado, solo parzialmente esaminate dalla Corte e dalla stessa pertanto rigettate con motivazione carente. Soggiunge che è altresì frutto di travisamento di prova l'affermata insussistenza di segni di vernice della moto sulla carrozzeria del furgone, il contrario desumendosi dalla relazione del consulente tecnico del PM. Lamenta, infine, violazione dell'articolo 6 CEDU per avere la Corte omesso di procedere alla rinnovazione della prova, siccome ritenuto necessario dalla Corte di Strasburgo in ipotesi di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado. Soggiunge che tali vizi e carenze argomentative non consentono di ritenere soddisfatto l'onere di motivazione rafforzata imposto in caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado e comportano violazione del criterio di giudizio dettato dall'articolo 533, comma 1, cod. proc. penumero , non potendosi ritenere dimostrata l'insostenibilità e l'irragionevolezza della opposta valutazione espressa dal primo giudice. 2.5. Con il quinto motivo, infine, deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte d'appello omesso di rilevare la irregolarità della costituzione di parte civile e/o comunque di provvedere alla esclusione della stessa, per effetto dell'anteriore esercizio dell'azione di danno in sede civile. Considerato in diritto 3. È infondato il primo motivo di ricorso. Il principio di correlazione tra accusa e sentenza, per pacifica giurisprudenza, è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto la possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovino in rapporto di continenza cfr., tra le tante, Sez. 4, numero 16422 del 29/01/2007, Di Vincenzo, non massimata . Ciò è, nella specie, consentito affermare atteso che il profilo di colpa specifica accertato in sentenza è certamente riconoscibile nella descrizione dell'addebito quale contenuta in imputazione. Non può, infatti, dubitarsi che il rimprovero, testualmente ricavabile dal imputazione, di aver impegnato la carreggiata stradale in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in sé, indipendentemente dal precedente specifico riferimento alla manovra di retromarcia, comprende qualsiasi antecedente fattuale che abbia portato il mezzo a determinare quella situazione di impegno della sede stradale, la quale pertanto ben può considerarsi tema di giudizio del quale l'imputato deve ritenersi investito in relazione ai suoi oneri e interessi difensivi. Appare in ogni caso dirimente il rilievo che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa se si fa, in altri termini, riferimento alla colpa generica ovvero a profili di colpa specifica non limitati a singole norme ma ad un intero complesso normativo, come accade nella specie attraverso il generico richiamo alla disciplina della circolazione stradale , essendo in tal caso consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa v. ex multis Sez. 4, numero 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 260161 Sez. 4, numero 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902 . 4. È altresì infondato il secondo motivo di ricorso. Come s'è già detto esaminando il primo motivo, la manovra eseguita dall'imputata, consistita nell'immettersi, con il furgone da essa condotto, nel ristretto varco sterrato presente sul margine opposto della carreggiata, al fine di invertire la direzione di marcia, lungi dal potersi considerare mero antecedente slegato dal successivo sviluppo dei fatti, costituisce ragione determinante dell'essersi il furgone trovato nella posizione che ha cagionato il sinistro, tale da impegnare - come incontestabilmente evidenziato in sentenza, sulla base degli accertamenti operati - per metà l'intera carreggiata e interamente la parte di essa destinata al transito dei veicoli diretti verso il centro, direzione percorsa dalla vittima. Ciò detto sul piano della rilevanza causale di tale manovra rispetto all'evento, non può poi dubitarsi che la stessa costituisca palese violazione delle norme di prudenza e segnatamente di quella basilare, correttamente richiamata dalla Corte territoriale, posta dall'articolo 140 cod. strada che, come già ricordato, fa obbligo agli utenti della strada di comportarsi “ in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale ”. Né di contro può, nel descritto contesto fattuale, rilevare il richiamo alla previsione di cui all'articolo 157 cod. strada che, lungi dal confortare la tesi della correttezza della manovra descritta, ne evidenzia esso stesso un ulteriore profilo di illiceità. Ai sensi infatti del terzo comma di tale disposizione, “ fuori dei centri abitati, i veicoli in sosta o in fermata devono essere collocati fuori della carreggiata In caso di impossibilità, la fermata e la sosta devono essere effettuate il più vicino possibile al margine destro della carreggiata, parallelamente ad esso e secondo il senso di marcia” . Prescrizioni con ogni evidenza tutt'altro che rispettate nel caso di specie, essendo pacifico che l'ingombrante furgone condotto dall'imputata, lungi dal porsi più vicino possibile al margine destro della carreggiata “ parallelamente ad esso e secondo il senso di marcia ”, si è posto trasversalmente alla carreggiata ostruendola con la sua parte posteriore per metà e quindi impegnando per intero la parte di essa destinata al transito dei veicoli provenienti dalla sua destra, quale il motociclo condotto dalla vittima. Peraltro l'inconferenza di tale richiamo è in radice dimostrata dal fatto che le dichiarazioni stesse dell'imputata e, comunque, il tipo di manovra posta in essere, lungi dall'evocare una fermata ai margini della strada, attestano l'intenzione di una inversione di marcia, imprudentemente intrapresa in un tratto che, per la sua limitata larghezza, non consentiva fosse fatta in sicurezza e, peraltro, all'esito di una erronea valutazione delle caratteristiche del varco esistente sul margine opposto che all'uopo si intendeva sfruttare. In tale contesto, norma di riferimento è semmai da considerare, oltre al già sopra richiamato articolo 140 cod. strada, quella dettata dal primo comma dell'articolo 154 cod. strada a mente del quale “ i conducenti che intendono eseguire una manovra per invertire il senso di marcia o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono a assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi ” prescrizioni tutte che, per le ragioni dette, e in più per le incertezze e disattenzioni mostrate nel corso della manovra, devono ritenersi palesemente violate. 5. È altresì infondato il terzo motivo di ricorso. Incensurabile appare infatti sul piano della motivazione, e conforme ai principi di diritto applicabili alla fattispecie, l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui “la velocità di marcia dell'E. , per quanto eccessiva, non può considerarsi elemento imprevedibile ed eccezionale idoneo da solo determinare l'evento, bensì come causa concorrente che, ai sensi del primo comma dell'articolo 41 c.p., non esclude il rapporto di causalità” . Varrà al riguardo rammentare che, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, quando il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio dei successivi eventi collisivi, l'eventuale condotta colposa eccessiva velocità, mancato rispetto della distanza di sicurezza dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento tutte le volte in cui non sia qualificabile come atipica ed eccezionale ma sia collocabile nell'ambito della prevedibilità. Essa potrà al più essere considerata alla stregua di un concorso colposo nella determinazione dell'evento v. Sez. 4, numero 10676 del 11/02/2010, Esposito, Rv. 246422 . Solo quando la condotta dell’utente della strada favorito dal diritto di precedenza assuma i caratteri dell'abnormità, eccezionalità ed imprevedibilità, essa diviene fattore causale esclusivo della produzione dell'incidente andando a frapporsi nel rapporto causale esistente fra la condotta colposa del veicolo gravato dall'obbligo di precedenza e l'evento dannoso, recidendolo, ed assurgendo a causa esclusiva del sinistro stradale, non potendosi formulare in tal caso alcun addebito di colpa al conducente gravato dalla regola di condotta in quanto l'incidente non è non causalmente riconducibile ad essa. Né può ritenersi escluso il nesso causale con l'evento dannoso in ragione dell'affidamento riposto nel comportamento del conducente antagonista, ovvero nell'aspettativa che questi possa essere in grado di fronteggiare le conseguenze dell'altrui illecita condotta. In tema di rapporto di causalità non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate regole precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a prevenirlo in tal caso, difatti, l'omessa attivazione dell'altro non si configura come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento Sez. 4, numero 38671 del 28/09/2009, Pradolin, Rv. 244886 . La misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare la intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, peraltro assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in espansione, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l'obbligo di preoccuparsi delle possibili irregolarità di comportamento di terze persone. Il principio dell'affidamento dunque, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell'opposto principio, secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità v. ex multis Sez. 4, numero 27350 del 23/05/2013, Feliziani, non massimata Sez. 4, numero 17481 del 14/02/2008, Notarnicola, non mass. . È in altre parole prescritta non solo l'astensione dalla proprie imprudenze ma anche l'obbligo di prevedere e neutralizzare le disattenzioni altrui con un comportamento di particolare prudenza che sia idoneo a fronteggiare le insidie della altrui inosservanze. Proprio in ragione di tali principi, la velocità, per quanto elevata e notevolmente superiore ai limiti in concreto vigenti, raramente può ritenersi evento imponderabile ed imprevedibile, rientrando invece nel novero di quei comportamenti irregolari, insieme all'inosservanza delle distanze di sicurezza o alle manovre improprie in caso di incidenti stradali o di altri impedimenti, che si verificano nella circolazione stradale con estrema frequenza e che pertanto devono essere messi in contro dal conducente del veicolo antagonista v. Sez. 4, numero 12224 del 19/06/2006, dep. 2007, Cordella, Rv. 236185 . Alla stregua di tali considerazioni le censure mosse dalla ricorrente appaiono del tutto prive di fondamento posto che la velocità del motociclista, per quanto elevata, non presenta i caratteri di assoluta imprevedibilità, come sopra illustrato, e non può ritenersi di per sé sola sufficiente alla produzione dell'evento dannoso, la cui eziologia deve essere invece ricercata nell'azzardata manovra di inversione di marcia effettuata dal ricorrente, senza la quale non si sarebbero neppure verificate le condizioni della collisione. 6. Le considerazioni che precedono, valendo comunque a confermare la correttezza del primo dei due alternativi fondamenti motivazionali del impugnata decisione, assorbono e rendono ultroneo l'esame degli ulteriori motivi, impingenti il secondo di tali percorsi argomentativi. Rimane anche confutato l'assunto del ricorrente secondo cui la Corte non avrebbe soddisfatto il particolare onere motivazionale imposto in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, rinvenendosi in sentenza ampia ed esaustiva considerazione delle motivazioni poste a fondamento della sentenza di primo grado, nella quale non si rinvengono comunque argomenti di segno opposto idonei a porre in dubbio la correttezza del diverso approdo dei giudici di secondo grado. Con riferimento al detto primo fondamento motivazionale la sentenza di primo grado osserva invero che a la manovra di inversione in quel tratto non era vietata, quindi l'aver posto in essere un antecedente della serie causale non è di per sé colpevole b il fatto di essersi posta in quella condizione obbligava l'imputata solo a rimanere ferma per dare precedenza agli altri utenti c tanto risulta aver fatto seconda parte della motivazione, dedicata alla questione della retromarcia, su cui appresso si tornerà v. par. 7 d la vittima poteva e doveva avvedersi dell'ostacolo ed evitarlo. Il primo di tali postulati si appalesa però non conforme ad una corretta interpretazione delle norme in tema di circolazione stradale, quali sopra richiamate e per le ragioni già illustrate. Giova in tal senso evidenziare che la giurisprudenza richiamata dal primo giudice a supporto della accolta tesi in realtà non la convalida affatto ma anzi la contrasta. In particolare il precedente di Sez. 4, numero 24079 del 14/04/2004, Silvestri, rv. 228591, è citato a sproposito, poiché questo afferma soltanto che la condotta pericolosa dell'utente fermo a margine della strada in quel caso la vittima non esclude il concorso di colpa dell'utente favorito in quanto prevedibile, ma non afferma certo che quella condotta non possa considerarsi colpevole. Le affermazioni sub b e d si appalesano poi destituite di fondamento o comunque inconferenti, posto che i quanto alla prima, indipendentemente dalla condotta successivamente tenuta dall'imputata una volta postasi nella pericolosa posizione descritta, resta innegabile l'efficacia causale dell'essersi per l'appunto messa in condizioni di creare intralcio alla circolazione ii quanto alla seconda, essa vale a descrivere solo il fondamento della colpa della vittima, che però per le ragioni dette non può considerarsi esclusiva, ossia eccezionale e imprevedibile, tale da interrompere il nesso causale con la condotta dell'imputata. 7. Può comunque ad abundantiam rilevarsi che anche il secondo fondamento motivazionale si appalesa anch'esso ampiamente argomentato ed esente da censure. In particolare, la vantazione al riguardo della Corte non può ritenersi inficiata dalla mancata rinnovazione dell'esame dei testi P. e G. palesandosi ai riguardo non pertinente il richiamo al principio affermato dalla sentenza della Corte Europea del 5 luglio 2011 resa nel caso Dan c/ Moldavia, circa la necessità di risentire i testi nel caso di ribaltamento di sentenza assolutoria in sentenza di condanna. Secondo tale principio, invero, il giudice di appello, qualora intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, è obbligato in base all'articolo 6 CEDU - così come interpretato dalla Corte di Strasburgo - alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per escutere, nel contraddittorio con l'imputato, i testimoni a carico, “ quando la prova testimoniale abbia carattere di decisività ed il giudice di appello avverta la necessità di rivalutare l'attendibilità del teste ” v., in tal senso, Sez. 5, numero 47106 del 25/09/2013, Donato, Rv. 257585 . La rinnovazione non è, invece, necessaria quando il giudice d'appello fondi il proprio convincimento su altri elementi di prova trascurati dal primo giudice e si limiti a fornire una lettura coerente e logica del compendio probatorio non valutato nella sua interezza nella decisione impugnata cfr. Sez. 3, numero 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867 Sez. 5, numero 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843 Sez. 5, numero 8423 del 16/10/2013, dep. 2014, Caracciolo, Rv. 258945 . Nel caso di specie il convincimento espresso sul detto tema dalla Corte d'appello, difforme da quello del giudice di primo grado, si rivela per l'appunto fondato, più che su una diversa ponderazione dell'attendibilità dei testi P. e G. , su una rilettura delle indicazioni desumibili dalle loro affermazioni -inalterate nel loro contenuto - rispetto agli altri argomenti di carattere logico desumibili dagli altri elementi e da una coerente e plausibile lettura combinata degli stessi. 8. Quanto infine alla dedotta violazione delle norme in tema di costituzione di parte civile, l'allegazione appare generica e comunque infondata. La parte civile risulta infatti regolarmente costituita in primo grado. La precedente instaurazione di controversia civile non rende, poi, invalida né priva di effetti la successiva costituzione in sede penale, per l'esercizio dell'azione di danno fondata sul medesimo fatto, producendo questa semmai l'effetto opposto di determinare la rinuncia agli atti del giudizio civile articolo 75 cod. proc. penumero , non risultando prospettata né tanto meno documentata la maturazione del termine ultimo previsto dalla citata norma per il trasferimento dell'azione civile nel processo penale. 9. Il ricorso va pertanto rigettato, conseguendone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.