Non basta una certificazione per valutare la commerciabilità, serve altro...

La valutazione riguardante la commerciabilità o meno di una società partecipata, ai fini della sussistenza del reato di dichiarazione infedele, non può basarsi esclusivamente sulla certificazione della Camera di Commercio che attesti l’inattività della società, ma occorre un criterio sostanziale, finalizzato cioè ad accertare se vi fosse una struttura operativa idonea, anche potenzialmente, alla produzione o commercializzazione di beni e servizi.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza numero 41686, depositata il 7 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello confermava la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui all’articolo 4 d. lgs. numero 74/2000 dichiarazione infedele , con evasione fiscale, avendo questi, in veste di rappresentante legale della società, indicato elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo, facendo rientrare nella previsione dell’articolo 87 TUIR le cessioni di quote di partecipazione di un’altra società che non svolgeva alcuna attività commerciale. La Corte d’appello fondava la sua decisione richiamando la certificazione della Camera di Commercio da cui risultava che la società partecipata era inattiva, sicché il reato era sussistente. Era sufficiente la certificazione della Camera di Commercio? Ricorreva per cassazione l’imputato, lamentando la carenza motivazionale sull’elemento oggettivo del reato. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe dovuto accertare in concreto se la società partecipata risultasse attiva o meno, non solo sulla base della certificazione della Camera di commercio. Il reato. Il ricorso è fondato. Infatti, la Cassazione specifica che il reato per cui si procede è quello di dichiarazione infedele, che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizzi. La commerciabilità doveva essere valutata con riguardo ad altri criteri. La Corte d’appello nel giustificare lo stato di inattività della società e la mancanza di commercialità della partecipata aveva dato erroneamente rilievo solo alle risultanze pervenute dalla Camera di Commercio, omettendo, quindi, di valutare criticamente i rilievi mossi con l’atto di impugnazione per dimostrare il contrario. La Corte Suprema specifica che i Giudici di merito avrebbero dovuto porsi il problema della commerciabilità attraverso un criterio sostanziale, finalizzato cioè ad accertare se vi fosse una struttura operativa idonea, anche potenzialmente, alla produzione o commercializzazione di beni e servizi, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la circ. numero 7/E del 2013. La Corte annulla con rinvio l’impugnata sentenza.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 giugno – 7 ottobre 2014, numero 41686 Presidente Fiale – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di L'Aquila con sentenza 31.5.2013 ha confermato la colpevolezza di S.P.N. in ordine al reato di dichiarazione infedele articolo 4 D. Lgs. numero 74/2000 con un'evasione fiscale di Euro. 1.252.359. La condotta addebitata all'imputato, nella veste di legale rappresentante della Edilazio srl, era consistita nell'avere, con riferimento all'anno di imposta 2005, indicato elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo, facendo rientrare nella previsione dell'articolo 87 TUIR regime delle c.d. plusvalenze esenti o partecipation exemption le cessioni di quote di partecipazione della Meta srl che non svolgeva alcuna attività commerciale. La Corte d'Appello ha motivato la sua decisione richiamando la certificazione della Camera di Commercio da cui risultava che la predetta società partecipata era inattiva e sulla base di tale elemento ha ritenuto provata la sussistenza del reato fiscale, negando altresì l'applicazione della causa di non punibilità per incertezza sull'interpretazione di norme tributarie, prevista dall'articolo 15 del D. Lgs. numero 74/2000. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato denunziando tre motivi. 2.1. Col primo motivo denunzia ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. b ed e cpp l'inosservanza dell'articolo 87 TUIR nonché la carenza di motivazione sull'elemento oggettivo del reato. Secondo la tesi del ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe dovuto accertare in concreto, sulla base della documentazione in atti e non del solo certificato della CCIA se la società partecipata risultasse attiva o meno e richiama ai riguardo il contenuto della Circolare dell'Agenzia delle Entrate numero 7/E/2013. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell'articolo 4 del D. Lgs. numero 74/2000 e ancora vizio di motivazione rilevando che la Corte ha omesso di motivare sul superamento della soglia di punibilità. Richiama l'accertamento con adesione per un importo al di sotto di detta soglia e ritiene che la Corte di merito avrebbe dovuto spiegare perché riteneva veritiero il quantum di imposta inizialmente accertato. 2.3. Col terzo ed ultimo motivo si deduce infine il vizio di motivazione sulla causa di non punibilità di cui all'articolo 15 del D. Lgs. numero 74/2000 incertezza interpretativa sulle norme tributarie nonché sull'elemento psicologico del reato, richiamando a tal fine le Circolari delle Entrate numero 154/2000 e 50/2001. Osserva che non a caso l'Ufficio Finanziario in sede di accertamento con adesione, non ha fatto applicazione delle sanzioni pecuniarie proprio per la complessità della questione. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell'articolo 606 ultimo comma cpp perché introduce una violazione di legge l'inosservanza dell'articolo 4 sotto il profilo del mancato superamento della soglia di punibilità di cui non è traccia nell'atto di appello che, invece, si soffermava esclusivamente sui tema della cXommercialità della società partecipata al fini della applicazione del regime di esenzione delle plusvalenze ex articolo 87 comma 1 lett. d TUIR e sull'assenza dell'elemento psicologico in considerazione delle difficoltà interpretative del sistema della PEX. 2. Gli altri motivi di ricorso sono invece fondati. Il reato per il quale si procede è quello di dichiarazione infedele contemplato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, articolo 4, che prevede che, fuori dei casi di dichiarazione fraudolenta di cui agli articolo 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, Indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi. La condotta quindi consiste nella dichiarazione non veritiera id est infedele ed è penalmente rilevante quando vi sia il congiunto superamento delle soglie di punibilità previste dalle lettere a e b . Nella fattispecie che ci occupa, la Corte d'Appello - per giustificare lo stato di inattività della Meta srl e, dunque, la mancanza della “commercialità della società partecipata, cioè di un requisito previsto dall'articolo 87, comma 1, lettera d, del TUIR per l'applicazione della partecipation exemption, regime invocato invece dalla difesa per negare l'esistenza in dichiarazione di elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo - ha dato rilievo unico e decisivo alle risultanze della Certificazione della Camera di Commercio omettendo di valutare criticamente i rilievi mossi con l'atto di impugnazione per dimostrare il contrario e precisamente il fatto che la Meta srl si fosse occupata del fallimento del Marina del Porto Turistico di Porto San Giorgio attraverso attività di gestione della controllata spa Marina di Porto San Giorgio, a sua volta assuntrice del concordato fallimentare della società fallita l'approdo spa . A fronte dello specifico rilievo, la Corte d'Appello, con una motivazione apodittica si è limitata a rilevare che la gestione di un fallimento attraverso un'altra società controllata non può ritenersi svolgimento in modo stabile e professionale di attività commerciale, mentre invece avrebbe dovuto porsi il problema della commercialità attraverso un criterio sostanziale, finalizzato cioè ad accertare se vi fosse una struttura operativa idonea, anche potenzialmente, alla produzione e/o commercializzazione di beni o di servizi, come peraltro chiarito dall'Agenzia delle Entrate con la Circolare numero 7/E dei 29.3.2013 Ulteriori chiarimenti in tema di partidpation exemption - articolo 87 del TUIR . A ciò aggiungasi che la sentenza neppure precisa a quale periodo si riferisse la certificazione camerale posta a fondamento della decisione, laddove la cessione delle quote di partecipazione avvenne in data 11.11.2004, mentre l'articolo 87, comma 2, del TUIR dispone che i requisiti di cui al comma 1, lettere c e d , devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso c.d. Periodo di riferimento triennale ai fini del requisito della commercialità . Altra vistosa carenza motivazionale sta nell'avere fondato il diniego della causa di non punibilità ancora una volta sulla sola certificazione della Camera di Commercio in ordine allo stato di inattività della Meta srl, senza considerare gli altri elementi che pure erano stati addotti nell'atto di appello, tra cui il dato documentale rappresentato dall'atto di adesione numero RA 4430200185/2010 ove, tra l'altro, l'Agenzia delle Entrate riconosceva la complessità dell'istituto della Partecipation Exemption e l'obiettiva condizione di Incertezza interpretativa, giustificando in tal modo la mancata applicazione di sanzioni. Si rende necessario un riesame della vicenda che tenga conto degli elementi sopra indicati e pertanto la sentenza deve essere annullata con rinvio. P.Q.M. annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte d'Appello di Perugia.