Nessuna via di fuga per l’oramai ex dipendente dell’Agenzia del Demanio. Definitivo il suo licenziamento. A inchiodarlo è stata la continua prestazione offerta, durante il periodo di malattia, nella panetteria della figlia.
Ufficialmente in malattia per una sindrome ansioso-depressiva manifestatasi dopo un infortunio sul lavoro . Beccato, invece, ad operare quotidianamente nella panetteria della figlia. Legittimo il licenziamento dell’impiegato pubblico. A inchiodarlo, però, non è l’aiuto fornito nell’esercizio commerciale, bensì l’evidente fittizietà del problema di salute utilizzato per non andare in ufficio Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza numero 15465/21, depositata il 3 giugno . Concordi i giudici di merito sacrosanto il licenziamento disciplinare adottato dall’Agenzia del Demanio nei confronti di un lavoratore beccato a «utilizzare un periodo della malattia, conseguente a un infortunio sul lavoro, per svolgere attività lavorativa nella panetteria della figlia , come accertato da una agenzia investigativa privata». In particolare, si è appurato che «il lavoro eseguito dall’uomo presso l’esercizio commerciale non era occasionale ma continuativo e caratterizzato da impegno non meno gravoso di quello proprio delle mansioni di impiegato d’ordine presso la Agenzia del Demanio» esemplificativo un video, girato dall’ investigatore privato , da cui emerge che «l’uomo che lavorava nel negozio era una persona che all’apparenza non aveva alcun disturbo, né fisico né psichico». Rilevante, poi, anche la relazione del consulente tecnico , il quale ha messo per iscritto che «le attestazioni mediche rilasciate sulla esistenza e sulla natura delle patologie del lavoratore, successive all’infortunio, non erano coerenti tra loro» e che «la sindrome ansioso-depressiva, se esistente, era di modesta entità e non collegabile all’infortunio». Irrilevante, invece, secondo i giudici di merito, «la sentenza penale irrevocabile di assoluzione del lavoratore dal reato di truffa ai danni della Agenzia del Demanio». In Cassazione il dipendente pubblico a rischio prova almeno a ridimensionare l’addebito a suo carico. In questa ottica sottolinea, innanzitutto, «il carattere occasionale dell’ attività lavorativa contestagli» e aggiunge che, comunque, contratto alla mano, era prevista «la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, fino ad un massimo di dieci giorni, in caso di svolgimento di altre attività durante lo stato di malattia o di infortunio, incompatibili e di pregiudizio per la guarigione». Il lavoratore poi sostiene che «la malattia era stata sempre comunicata e documentata al datore di lavoro, che non aveva mai accertato le sue effettive condizioni di salute attraverso una verifica fiscale» e aggiunge che «la malattia era stata documentata da un’Azienda sanitaria provinciale, riconosciuta dall’INAIL ed attestata da certificazioni mediche » e precisa ancora che «la documentazione medica prodotta era totalmente coincidente con quella richiamata nella sentenza penale di assoluzione». A queste obiezioni i Giudici di terzo grado ribattono ponendo in evidenza due dati «l’ inesistenza di una patologia determinante la inabilità al lavoro» e «la continuità dell’attività lavorativa svolta dal dipendente pubblico presso l’esercizio commerciale della figlia nel periodo di assenza per malattia». E ciò che risulta decisivo per legittimare il licenziamento è «l’inesistenza della denunciata inabilità al lavoro», sottolineano i Giudici, più che «lo svolgimento da parte del lavoratore di un’altra attività, in costanza della malattia o dell’infortunio, incompatibile e di pregiudizio per la guarigione, fattispecie, quest’ultima, sanzionata dal codice disciplinare con la sospensione dal servizio». Definitivo , quindi, il licenziamento del dipendente dell’Agenzia del Demanio.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 gennaio – 3 giugno 2021, numero 15465 Presidente Tria – Relatore Spena Fatti di causa 1. Con sentenza del 6 febbraio 2019 numero 48 la Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda proposta dalla AGENZIA DEL DEMANIO per la dichiarazione di legittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 2 luglio 2010 a R.R. e respinto la domanda riconvenzionale con la quale il R. impugnava il predetto licenziamento. 2. La Corte territoriale esponeva che il R. era stato licenziato per avere utilizzato un periodo della malattia conseguente all’infortunio sul lavoro subito in data omissis per svolgere attività lavorativa nell’esercizio commerciale di panetteria della figlia, come accertato attraverso una agenzia investigativa privata. 3. Dalla prova testimoniale acquisita nel primo grado era emerso che il lavoro eseguito presso tale esercizio non era occasionale ma continuativo e caratterizzato da impegno non meno gravoso di quello proprio delle mansioni di impiegato d’ordine presso la Agenzia del Demanio. La visione del video girato dal teste mentre il R. lavorava nel negozio mostrava una persona che all’apparenza non aveva alcun disturbo, nè fisico nè psichico. 4. Dalla ctu svolta nel grado di appello era risultato che le attestazioni mediche rilasciate sulla esistenza e la natura delle patologie del R. successive all’infortunio non erano coerenti tra loro e che la sindrome ansioso depressiva, se esistente, era di modesta entità e non collegabile all’infortunio. 5. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione del R. dal reato di truffa ai danni della AGENZIA DEL DEMANIO non aveva efficacia di giudicato nel giudizio sul licenziamento, ai sensi dell’articolo 654 c.p.p., in quanto la AGENZIA non si era costituita parte civile. 6. Il R. non aveva depositato, sebbene a tanto invitato, la documentazione medica citata dal Tribunale penale ed, in particolare, quella proveniente dalla ASP di Messina. 7. In ogni caso, non era stata fornita la prova, conformemente a quanto ritenuto dal ctu, della esistenza della presunta patologia psichica vi erano invece indizi significativi dell’inesistenza della patologia che se fosse stata presente, nella intensità segnalata, non avrebbe consentito, soprattutto senza l’ausilio di psicofarmaci, di espletare alcuna attività lavorativa. 8. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza R.R. , articolato in un unico motivo, cui la AGENZIA DEL DEMANIO ha resistito con controricorso. 9. Il PM ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso. 10. Le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo la parte ricorrente ha denunciato - ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nnumero 3 e 5 - violazione dell’articolo 55, comma 3, CCNL di categoria e dell’articolo 2119 c.c Contrasto di giudicato. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. 2. Ha dedotto che nel giudizio di merito non era emerso il carattere non-occasionale dell’attività lavorativa contestagli e che, comunque, era stata violata la disposizione dell’articolo 55, comma 3, lett. c CCNL di categoria, che prevedeva la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, fino ad un massimo di 10 giorni, in caso di svolgimento di altre attività durante lo stato di malattia o di infortunio, incompatibili e di pregiudizio per la guarigione . 3. Si addebita al collegio d’appello di non avere considerato che la malattia era stata sempre comunicata e documentata al datore di lavoro, che non aveva mai accertato le sue effettive condizioni di salute attraverso una verifica fiscale. In particolare, si assume che la malattia era stata documentata dalla ASP di Messina, riconosciuta dall’INAIL ed attestata dalle certificazioni mediche. 4. Si deduce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato di truffa, contestato per i medesimi fatti, con la formula perché il fatto non sussiste , avrebbe efficacia di giudicato nel presente giudizio. 5. Si sostiene che la documentazione medica prodotta, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, era totalmente coincidente con quella richiamata nella sentenza penale di assoluzione. 6. Infine si denuncia come vizio di motivazione l’omesso esame della definizione con sentenza di assoluzione del procedimento penale a proprio carico. 7. Il ricorso è inammissibile. 8. Le censure investono accertamenti di fatto - in particolare, la inesistenza di una patologia determinante la inabilità al lavoro e la continuità dell’attività lavorativa svolta dal R. nel periodo di assenza per malattia presso l’esercizio commerciale della figlia - che avrebbero potuto essere contestati in questa sede con la deduzione di un vizio di motivazione ex articolo 360 c.p.c., numero 5, ovvero con la specifica allegazione di un fatto storico non esaminato nella sentenza impugnata, benché oggetto del contraddittorio ed avente rilievo decisivo. 9. Il ricorso non individua con la necessaria specificità un fatto storico non esaminato nè riporta gli atti da cui esso risultava esistente nè illustra le ragioni della sua decisività rispetto alle argomentazioni poste a base dell’accertamento compiuto dal giudice del merito. 10. In particolare, il ricorrente contesta genericamente la affermazione della Corte territoriale secondo cui egli non aveva prodotto in causa il certificato della ASP di Messina valutato nel giudizio penale, sebbene a tanto invitato con ordinanza interlocutoria, senza trascrivere il contenuto del documento nè indicare la sede processuale della sua eventuale produzione. 10. Le critiche complessivamente svolte sollecitano, piuttosto, questa Corte a compiere un non-consentito riesame del merito. 11. La censura di violazione dell’articolo 55, comma 3, lett. c CCNL di categoria è inammissibile perché non conferente alla ratio decidendi della sentenza impugnata il giudice dell’appello ha confermato il licenziamento sotto il profilo della inesistenza della denunciata inabilità al lavoro e non già per lo svolgimento da parte del R. di altra attività, in costanza della malattia o dell’infortunio, incompatibile e di pregiudizio per la guarigione, fattispecie, quest’ultima, sanzionata dal codice disciplinare con la sospensione dal servizio. 12. La sanzione conservativa prevista dalle parti collettive presuppone, infatti, la effettiva esistenza di uno stato di malattia o di infortunio, che nella fattispecie di causa è stata invece esclusa. 13. La denuncia del vizio di motivazione articolata in riferimento al mancato esame della sentenza di assoluzione resa nella sede penale è inammissibile sia in quanto proposta sotto il profilo del vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria piuttosto che secondo il paradigma di cui al testo vigente dell’articolo 360 c.p.c., numero 5, sia, in ogni caso, per avere il giudice dell’appello esaminato il fatto, ritenendolo non decisivo. 14. La censura di violazione del giudicato reso nella sede penale è parimenti inammissibile. 15. Il ricorso non risponde al canone di specificità di cui all’articolo 366 c.p.c., numero 6, non essendo stato riprodotto il testo integrale della sentenza passata in giudicato ma il solo capo di imputazione ed uno stralcio della motivazione e numero 4, non essendo state indicate le norme asseritamente violate e le ragioni della violazione. 16. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. 17. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17 che ha aggiunto al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto Cass. SU 20 febbraio 2020 numero 4315 . P.Q.M. La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 6.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.