Il conduttore non può far valere in appello un titolo diverso da quello dedotto in primo grado

Quando la parte ha agito per far valere la prelazione legale del conduttore, in base all’art. 38, l. n. 392/1978, senza richiamare un titolo diverso, la domanda intesa a far valere un titolo di prelazione di carattere negoziale è nuova e, quindi, preclusa in grado di appello.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5016/14, depositata il 4 marzo. Il fatto. Con ricorso proposto ex art. 447 bis c.p.c., un ricorrente, in proprio e nella qualità di socio accomandatario di una società, chiede il riconoscimento della titolarità del diritto di prelazione di cui all’art. 38 legge n. 392/1978. A sostegno della domanda decuce la sussistenza di uno scritto del 2006, attraverso il quale la proprietaria dell’immobile in questione, sorella del ricorrente, nonché socia accomandante della summenzionata società, lo invitava ad esercitare il diritto di prelazione pur contestandone il fondamento, ovvero la sussitenza del rapporto di locazione. Si costituiva in giudizio la proprietaria, la quale nel richiedere l’integrale rigetto della domanda procedeva alla chiamata in causa di un terzo soggetto, individuato in altra società anch’essa destinataria della predetta comunicazione affinchè l’adito Tribunale stabilisse, se del caso, l’ordine di precedenza nell’esercizio del diritto di prelazione. Quest’ultima rivendicava a sé il diritto di prelazione di cui all’art. 38, in considerazione della sua presunta qualità di conduttore dell’immobile in questione, derivante, a sua volta, da contratto di sub-locazione da essa stipulato con il ricorrente. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte dal ricorrente e dal terzo interventore, le rigettava entrambe, con una decisione che veniva integralmente confermata in grado di appello, sul presupposto che nessuno degli appellanti rivestiva la qualità di conduttore dell’immobile. Avverso la suddetta sentenza del giudice di appello gli appellanti proponevano, separatamente, ricorso per cassazione entrambi sostanzialmente deducendo una violazione dell’art. 437 c.p.c., sul rilievo dell’erronea interpretazione, operata dalla Corte territoriale, che aveva qualificato come nuova la domanda con la quale si era agito per il riconoscimento di un titolo di carattere negoziale, costituito dalla proposta avanzata con la richiamata comunicazione del 2006 un’erronea qualificazione del contratto intervenuto tra la proprietaria e il conduttore nell’anno 2000, cui era stato attribuito, dalla Corte territoriale, il valore di preliminare di compravendita e non contratto di locazione. Domanda nuova? In particolare gli Ermellini osservano come la Corte di appello fosse correttamente pervenuta alla conclusione che le parti, dinanzi al giudice di prime cure, avevano sempre agito sulla base della pretesa sussitenza del diritto di prelazione legale del conduttore, di cui all’art. 38, senza mai richiamare un titolo diverso, con la conseguenza che la domanda intesa a far valere un titolo di prelazione di carattere negoziale era nuova e, quindi, preclusa in grado di appello . Il divieto di proporre domande fondate su di un fatto diverso da quello originariamente dedotto in giudizio. I Supremi Giudici sottolineano come, nel caso di specie, entrambi gli appellanti, nell’ambito del giudizio di primo grado, avevano manifestato in maniera chiara il loro desiderio di agire nell’esercizio del diritto di prelazione riconosciuto dalla legge n. 392/78, da tanto derivava che l’ulteriore pretesa di far valere, per la prima volta in grado di appello, un diritto di prelazione negoziale, derivante dalla menzionata comunicazione del 2006, era da ritenere inammissibile, siccome costituente domanda fondata su di un fatto diverso da quello originariamente dedotto in giudizio. Inammissibilità in sede di legittimità di una nuova interpretazione della volontà negoziale. Quanto alla presunta violazione dei principi di ermeneutica contrattuale, la Suprema Corte, richiamando un orientamento di legittimità già consolidatosi sulla scorta di numerose altre pronunce afferma, in tema di interpretazione del contratto, che la medesima, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche , per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati . Nel caso di specie - osserva la Corte - le censure mosse nel ricorso, lungi dal prospettare un’effettiva violazione delle regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362 ss. c.c., mirano proprio a sollecitare una diversa interpretazione del contratto intercorso tra le parti nel 2000, peraltro correttamente qualificato come preliminare di vendita e non contratto di locazione.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 gennaio – 4 marzo 2014, n. 5016 Presidente Amatucci – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 447-bis cod. proc. civ. davanti al Tribunale di Arezzo, Sezione distaccata di Sansepolcro, B.G. , in proprio e nella qualità di socio accomandatario della s.a.s. Vittoria, chiedeva che gli fosse riconosciuta la titolarità del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392, in relazione ad un immobile sito a Sansepolcro e a lui offerto in vendita dalla sorella B.F. con comunicazione notificata il 16 novembre 2006. A sostegno della domanda dichiarava che lo scritto ora richiamato, proveniente da M.V. , procuratore speciale della sorella, dava atto che l'immobile offerto in vendita era occupato senza titolo da B.G. , ovvero dalla s.a.s. Vittoria, ovvero dalla s.a.s. Piero e che a nessuno di costoro spettava il diritto di prelazione di cui al citato art. 38, sicché la B.F. invitava ad esercitare la prelazione, pur contestandone il fondamento”. Il ricorrente B.G. , ponendo in evidenza il carattere ambiguo della comunicazione, dichiarava tuttavia di aver diritto alla prelazione sia in proprio che nella qualità di socio accomandatario della s.a.s. Vittoria. Si costituiva in giudizio M.V. il quale, nel sollecitare il rigetto della domanda, chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa la s.a.s. Piero, affinché il Tribunale stabilisse, se del caso, l'ordine di precedenza nel diritto di prelazione. Si costituiva in giudizio anche la s.a.s. Piero, che rivendicava a sé il diritto di prelazione di cui all'art. 38, in considerazione della sua qualità di conduttore dell'immobile in forza di un contratto concluso con la s.a.s. Vittoria. Il Tribunale, con sentenza del 28 maggio 2007, rigettava tutte le domande, ordinava la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale e compensava integralmente tra le parti le spese di lite. 2. La sentenza veniva appellata in via principale da B.G. , in proprio e nella qualità di socio accomandatario della s.a.s. Vittoria, e in via incidentale dalla s.a.s. Piero si costituiva M.V. , nella qualità di procuratore speciale di B.F. . La Corte d'appello di Firenze, con pronuncia dell'8 febbraio 2010, rigettava sia l'appello principale che quello incidentale, confermava la sentenza impugnata e condannava gli appellanti, in misura di metà per ciascuno, al pagamento delle spese del grado nei confronti di M.V. . Osservava la Corte territoriale che entrambi gli appellanti avevano manifestato in modo chiaro, nel giudizio di primo grado, il loro desiderio di agire nell'esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della legge n. 392 del 1978 da tanto derivava che l'ulteriore pretesa di far valere un diritto di prelazione negoziale, risultante dalla menzionata comunicazione del 16 novembre 2006, era da ritenere inammissibile, siccome costituente domanda fondata su di un fatto diverso da quello originario e, come tale, inammissibile in grado di appello. Ciò premesso, la Corte fiorentina rilevava che nessuno degli appellanti era nelle condizioni per poter esercitare la prelazione stabilita dalla legge. Né il B. né la s.a.s. Vittoria, infatti, rivestivano la qualità di conduttori dell'immobile in questione, il quale apparteneva pacificamente in proprietà esclusiva a B.F. la quale, benché socia accomandante, non l'aveva mai conferito nel patrimonio della società Vittoria. Quanto al rapporto tra i due fratelli B. , la Corte osservava che la scrittura privata del 9 agosto 2000, stipulata tra i medesimi ed avente ad oggetto quell'immobile, costituiva, in realtà, un preliminare di compravendita e non di locazione, e doveva ritenersi risolto di diritto in data precedente a quella di esercizio del diritto di prelazione. Analogamente, secondo la Corte territoriale, non poteva considerarsi conduttrice dell'immobile neppure la s.a.s. Piero, benché affittuaria dell'azienda in base a contratto stipulato con la società Vittoria, in quanto la costituzione di un contratto di locazione o sublocazione doveva essere esclusa in radice per il fatto che la società Vittoria non era, a sua volta, conduttore. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Firenze propongono separati ricorsi B.G. , in proprio e nella qualità di socio accomandatario della s.a.s. Vittoria, con atto affidato a due motivi, e la s.a.s. Piero, di Piero Tricca & amp C., con atto affidato a quattro motivi. Resiste con due separati controricorsi M.V. , nella qualità di procuratore speciale di B.F. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso B.G. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 437 cod. proc. civ., sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente qualificato come nuova la domanda con la quale egli aveva agito per il riconoscimento del titolo di prelazione negoziale. Osserva il ricorrente che la comunicazione notificata in data 16 novembre 2006 faceva riferimento all'art. 38 della legge n. 392 del 1978, la cui applicabilità veniva però negata”. La domanda proposta in primo grado si basava, comunque, sulla comunicazione ricevuta, sicché in appello era stata solo formulata una diversa prospettazione della medesima domanda”. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978. Rileva il B. che egli e la propria sorella F. erano soci al cinquanta per cento della s.a.s. Vittoria, nella quale la sorella aveva conferito l'immobile oggetto di prelazione. Il successivo atto del 9 agosto 2000 non aveva - come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello - natura di compravendita, bensì di locazione, il che comporta che sussisterebbe il diritto di prelazione anche sulla base dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978. 3. Con il primo motivo di ricorso la s.a.s. Piero lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 437 cod. proc. civ., oltre a motivazione omessa, contraddittoria ed insufficiente. Si rileva, analogamente a quanto già dedotto nel primo motivo del ricorso B. , che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere nuova la domanda per il riconoscimento del diritto di prelazione sulla base della proposta contrattuale avanzata da B.F. con la comunicazione in precedenza richiamata. La s.a.s. Piero specifica di aver concretamente esercitato il diritto di prelazione offertole dalla sig.ra B. ” fin dal giudizio di primo grado, così da diventare titolare dell'immobile, avendo tempestivamente dato risposta positiva alla predetta comunicazione del 16 novembre 2006. 4. Con il secondo motivo di ricorso la s.a.s. Piero lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. e 1571 cod. civ., nonché dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978, oltre ad omessa o insufficiente motivazione. Secondo la società ricorrente, la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che tra B.G. e F. non fosse stato stipulato un contratto di locazione relativo all'immobile oggetto di prelazione. Il contratto del 9 agosto 2000, infatti, prevedeva che, in caso di risoluzione del preliminare, rimanesse il contratto di locazione da tanto consegue che la società Piero aveva titolo per esercitare il diritto di prelazione, derivante a sua volta dal contratto da essa stipulato con B.G. e/o con la s.a.s. Vittoria. 5. Vanno trattati congiuntamente il primo motivo del ricorso B. ed il primo motivo del ricorso della s.a.s. Piero, i quali pongono il medesimo problema. Essi sono entrambi infondati. La Corte d'appello di Firenze ha preso in esame il comportamento delle parti ed il tipo di domanda che era stato dalle medesime avanzato nel giudizio di primo grado v. p. 10 della sentenza ed è pervenuta alla conclusione che esse avevano sempre agito per far valere la prelazione legale del conduttore, in base all'art. 38 della legge n. 392 del 1978, senza richiamare un titolo diverso con la conseguenza che la domanda intesa a far valere un titolo di prelazione di carattere negoziale era nuova e, quindi, preclusa in grado di appello. A fronte di simile limpida e corretta motivazione, gli odierni ricorsi compiono una contestazione che non supera la soglia della genericità. Il ricorrente B. si limita ad affermare in modo apodittico di aver esercitato fin dal primo grado la domanda di prelazione sulla base della comunicazione del 16 novembre 2006, mentre la società Piero, pur sviluppando l'argomento con maggiore ampiezza, non aggiunge significativi elementi, riportando le proprie conclusioni relative al giudizio di primo grado, senza mettere in alcun modo questa Corte nella condizione di verificare l'esattezza dell'assunto. Mancando ogni dimostrazione a supporto del motivo, il medesimo è infondato. 6. Vanno poi trattati insieme anche il secondo motivo del ricorso B. ed il secondo motivo del ricorso della società Piero, i quali pure pongono il medesimo problema. Essi sono entrambi infondati. In tema di interpretazione del contratto, questa Corte ha in più occasioni affermato che la medesima, consistendo in un'operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un' indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche per cui non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati sentenze 27 marzo 2007, n. 7500, e 30 aprile 2010, n. 10554 . Analogamente, si è detto che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra sentenze 20 novembre 2009, n. 24539, e 18 novembre 2013, n. 25861 . Alla luce di tali precedenti - che costituiscono pacifico orientamento di questa Corte cui la presente pronuncia presta piena adesione - è evidente che i due motivi di ricorso in esame, lungi dal prospettare un'effettiva violazione delle regole in tema di ermeneutica contrattuale, pongono, in realtà, altrettante censure di vizio di motivazione, finalizzate ad ottenere una diversa interpretazione del contratto intercorso tra le parti. Il che non è possibile in questa sede, avendo la Corte di merito esaminato la questione in modo puntuale, pervenendo alla conclusione, con motivazione correttamente argomentata e priva di vizi logici v. sentenza, p. 11 , che la scrittura del 9 agosto 2000 tra i due fratelli B. aveva natura di contratto preliminare di vendita e non di contratto di locazione. 7. Con il terzo motivo di ricorso la s.a.s. Piero lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978 e dell'art. 2253 cod. civ., oltre ad omessa o insufficiente motivazione. Si osserva, al riguardo, che la Corte d'appello ha escluso che B.F. avesse conferito l'immobile oggetto di prelazione nel patrimonio della s.a.s. Vittoria tale valutazione sarebbe errata, poiché l'istruttoria svolta ha dimostrato che il conferimento c'era stato, tanto che la società Vittoria ha sempre avuto in quell'immobile la propria sede, come risultava anche dalle visure della locale camera di commercio. 7.1. Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata, con accertamento di merito adeguatamente motivato e privo di vizi logici, ha osservato che l'immobile oggetto di contestazione non era stato oggetto di conferimento, da parte di B.F. , nel patrimonio sociale della società Vittoria, non essendovene alcuna traccia nell'atto costitutivo. A fronte di tale ricostruzione, che non offre il fianco a censure, la parte ricorrente si limita ad osservare - con una considerazione di per sé priva di alcuna decisiva valenza - che la società Vittoria ha sempre avuto la propria sede sociale all'interno dei locali di cui trattasi” il che, come ben si comprende, non è un elemento significativo al fine di demolire l'impianto sul quale si regge la motivazione della sentenza impugnata. 8. Con il quarto motivo di ricorso la s.a.s. Piero lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 4 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ., osservando che la Corte d'appello avrebbe sbagliato nel confermare la compensazione delle spese quanto al giudizio di primo grado e nel porre il cinquanta per cento di quelle di secondo grado a carico della s.a.s. Piero, mentre avrebbe dovuto porle a carico esclusivo delle altre parti. 8.1. Il motivo è infondato. Esso, infatti, non può ritenersi un vero e proprio motivo di ricorso. Le parti oggi ricorrenti sono rimaste soccombenti in primo e secondo grado, mentre il M. è risultato vincitore, sicché porre le spese almeno del grado di appello a carico dei soccombenti, metà per ciascuno, è un'ovvia applicazione del principio di soccombenza. 9. L'esame nel merito del ricorso proposto da B.G. in proprio esime questa Corte dall'obbligo di affrontare anche l'eccezione preliminare, proposta nel controricorso, secondo cui egli, non essendo più socio accomandatario della società Vittoria fin dal 2009, non avrebbe alcun titolo per proporre il ricorso a nome di quest'ultima. 10. In conclusione, entrambi i ricorsi sono rigettati. A tale pronuncia segue la condanna di ciascuna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. La condanna è da intendere come solidale fra B.G. e la s.a.s. Vittoria. P.Q.M. La Corte pronunciando sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi e condanna ciascuna delle parti ricorrenti B. e Vittoria s.a.a. in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, a favore del controricorrente, per la resistenza a ciascuno dei ricorsi, in complessivi Euro 4.100, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.