In materia di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato e la questione attinente al quantum dei beni sottoponibili a sequestro, incidendo sulla legittimità del provvedimento, non attiene alla fase esecutiva.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 21622, depositata il 27 maggio 2014. Il caso. Il tribunale di Catanzaro confermava il sequestro, disposto dal gip presso il tribunale di Lamezia Terme, di somme e beni di un indagato per il reato di cui all’articolo 640-bis c.p. truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche . La Corte di Cassazione annullava poi il provvedimento limitatamente all’individuazione del valore dei beni per equivalenza. In seguito, il tribunale di Catanzaro confermava il decreto di sequestro. L’imputato ricorreva nuovamente in Cassazione, contestando l’affermazione dei giudici di merito in merito all’impossibilità di circoscrivere l’importo del sequestro, poiché, da un lato, il valore dei beni aziendali era stato tratto da consulenze eseguite nell’ambito di una procedura esecutiva promossa avverso la società del ricorrente e, dall’altro, la stessa società era oggetto di una procedura fallimentare, per cui non sarebbero risultati opponibili agli acquirenti dei beni pignorati una serie di formalità, vincoli ed oneri, compresa la trascrizione del sequestro preventivo, con probabile vanificazione della funzione anticipatoria e strumentale rispetto alla confisca per equivalente. Il risultato era, quindi, quello di un valore dei beni sequestrati sproporzionato rispetto all’entità complessiva del profitto conseguito illecitamente. Mancato esame. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che, nella precedente sentenza di annullamento, era stato rilevato il mancato esame dell’eccezione difensiva relativa all’asserita sproporzione tra l’ammontare complessivo dei beni sequestrati ed il valore del profitto. Proporzione. Infatti, in materia di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato e la questione attinente al quantum dei beni sottoponibili a sequestro, incidendo sulla legittimità del provvedimento, non attiene alla fase esecutiva. Impossibilità illogica. Il tribunale di Catanzaro aveva rilevato che il valore totale dei beni sequestrati era di gran lunga superiore rispetto al profitto del reato, ma aveva affermato l’impossibilità di circoscrivere il sequestro, basandosi, da una parte, sulle consulenze eseguite nell’ambito della procedura esecutiva e, dall’altra, sull’inopponibilità, agli acquirenti dei beni pignorati, dei relativi vincoli ed oneri. Per i giudici di legittimità, tuttavia, queste erano argomentazioni illogiche, in quanto insignificante la prima e basata su mere ipotesi la seconda. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 aprile – 27 maggio 2014, numero 21622 Presidente Agrò – Relatore Rotundo Fatto e diritto 1 .-. Con decreto in data 12-2-11 il GIP presso il Tribunale di Lamezia Terme ha disposto il sequestro preventivo di somme e di beni della ditta S.H. srl e, in via subordinata, per equivalente, fino alla concorrenza di euro 2.265.479,62, in relazione al reato di cui agli articolo 81 cpv, 110, 61 numero 7, 640 bis c.p., ascritto a M.G., M.F. e C.R. Avverso tale decreto M.G. ha proposto istanza di riesame innanzi al Tribunale di Catanzaro, che, con ordinanza in data 22-3-11, ha confermato il sequestro. Avverso tale ordinanza il M. ha proposto ricorso innanzi a questa Corte di Cassazione, che, con sentenza in data 22-2-12, ha annullato con rinvio il provvedimento limitatamente alla individuazione del valore dei beni per equivalenza, disponendo trasmettersi gli atti al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame sul punto e rigettando nel resto il ricorso. Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Catanzaro, in data 1-10-13, ha nuovamente confermato il decreto di sequestro. 2 .-. Avverso quest'ultima ordinanza dell'1-10-13 ha presentato nuovamente ricorso per cassazione M.G., chiedendone l'annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione e, in particolare, per il mancato rispetto del principio di diritto affermato da questa Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento. In particolare, il ricorrente sottolinea che nel provvedimento impugnato, dopo essersi dato inizialmente atto che il valore totale dei beni ablati 43.466,71 + 1.216.730,00 + 1.595.710,60 è pari ad euro 2.855.907,31, eccedente il profitto di euro 590.427,69, si conclude tuttavia per la impossibilità di circoscrivere l'importo del sequestro, in quanto, da un lato, il valore dei beni aziendali era stato tratto da consulenze eseguite nell'ambito di una procedura esecutiva promossa avverso la S.H. srl, e, dall'altro, l'anzidetta società era contestualmente oggetto della procedura fallimentare numero 24/2010 e non sarebbero risultati opponibili agli acquirenti dei beni pignorati tutta una serie formalità, vincoli ed oneri, ivi compresa la trascrizione del sequestro preventivo oggetto di riesame, con probabile vanificazione della funzione anticipatoria e strumentale rispetto alla confisca per equivalente. Ad avviso del ricorrente, si tratterebbe di una motivazione assolutamente illogica ed irragionevole, basata su argomenti ipotetici e futuribili. L'unico dato certo sarebbe, invece, che il sequestro è stato emesso fino alla concorrenza di euro 2.265.479,62 e che il valore dei beni sequestrati sarebbe del tutto sproporzionato rispetto all'entità complessiva del profitto, che si assume illecitamente conseguito per effetto delle condotte di reato. Ciò sarebbe dimostrato anche a prescindere dal valore delle quote societarie sequestrate, in quanto il valore dell'immobile e del terreno ove sorge l'azienda sarebbe stato quantificato in una consulenza tecnica di ufficio disposta dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Lamezia Terme in euro 3.256.950 e già da solo eccederebbe il presunto profitto del reato. 2 .-. Il ricorso è fondato. Questa Corte, nella precedente sentenza di annullamento del 22-2-12, ha rilevato che dalla lettura del provvedimento impugnato emergeva che il Tribunale aveva omesso di esaminare nel merito l'eccezione difensiva relativa alla asserita sproporzione tra l'ammontare complessivo dei beni sequestrati e il valore del profitto. E si trattava - si legge in quella sentenza di annullamento - di una lacuna di particolare gravità, posto che la giurisprudenza di legittimità aveva già affermato, proprio in tema di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato e che la questione attinente al quantum dei beni sottoponibili a sequestro, incidendo sulla legittimità del provvedimento, non attiene alla fase esecutiva Sez. 6, Sentenza numero 45504 del 23/11/2010, Rv. 248956, Marini . Nel disciplinare il sequestro per equivalente, infatti, il legislatore ha esplicitamente previsto che esso colpisca soltanto beni per un valore corrispondente al profitto conseguito dall'imputato, volendo, con ciò, escludere un sequestro indiscriminato dei suoi beni di valore eccedente il profitto del reato, stabilendo così un rapporto di congruità tra il profitto conseguito ed il valore dei beni sottoposti a vincolo e suscettibili di confisca Sez. U, Sentenza numero 26654 del 27/03/2008, Rv. 239926, Fisia Italimpianti Spa e altri . Ne derivava che il Tribunale era tenuto ad affrontare la questione concernente il quantum dei beni sottoponibili nel caso concreto a sequestro, motivo per cui, non avendo il primo giudice provveduto in tal senso, si imponeva l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. Ebbene il Tribunale di Catanzaro, in sede di rinvio, nel provvedimento oggetto dell'attuale impugnazione, dopo essersi soffermato sulla questione e avere dato atto che il valore totale dei beni ablati 43.466,71 + 1.216.730,00 + 1.595.710,60 era pari ad euro 2.855.907,31, eccedente il profitto di euro 590.427,69, ha concluso, come si è visto, per la impossibilità di circoscrivere l'importo del sequestro, motivando laconicamente con due considerazioni, e cioè, da un lato, il fatto che il valore dei beni aziendali era stato tratto da consulenze eseguite nell'ambito di una procedura esecutiva promossa avverso la S.H. srl e, dall'altro, la risultanza che l'anzidetta società era contestualmente oggetto della procedura fallimentare numero 24/2010 e non sarebbero risultati opponibili agli acquirenti dei beni pignorati tutta una serie formalità, vincoli ed oneri, ivi compresa la trascrizione del sequestro preventivo oggetto di riesame, con probabile vanificazione della funzione anticipatoria e strumentale rispetto alla confisca per equivalente. Si tratta di argomentazioni del tutto ultronee e insignificanti la prima e assolutamente illogiche oltre che basate su mere ipotesi e su possibili future evenienze la seconda . Ne deriva che il Tribunale non ha sostanzialmente colmato le lacune motivazionali a suo tempo indicate da questa Corte. 3 .-. Si impone, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame sui punti carenti di motivazione già individuati, al Tribunale di Catanzaro. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.