La legittimazione processuale passa ai soci: lo conferma anche la Corte Costituzionale

Estinzione, con effetto immediato, della società cancellata dal Registro delle imprese? La legittimazione processuale passa ai soci.

Con ordinanza numero 198 del 17 luglio 2013, la Consulta ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articolo 2495 c.c. e 328 c.p.c., sollevata con riferimento agli articolo 3, 24 e 111 Cost Il caso. Nel corso di un giudizio civile, a seguito dell’intervenuta estinzione di una società di persone, attrice in primo grado ed appellata, per effetto della cancellazione dal Registro delle imprese, la Corte d’Appello di Milano sollevava questione di legittimità costituzionale delle norme che non prevedono la prosecuzione del processo nei confronti delle società cancellate, sino alla formazione del giudicato. La cancellazione dal Registro delle imprese produce l’estinzione della società. La Corte d’Appello rimettente osserva che, a seguito della riforma societaria, il nuovo articolo 2495 c.c. prevede l’estinzione, con effetto immediato, della società cancellata dal Registro delle imprese e che la Corte di Cassazione, con tre sentenze gemelle del 2010 nnumero 4060, 4061 e 4062 ha affermato che tale norma, benché dettata solo per le società di capitali, è applicabile anche alle società di persone. Le conseguenze sul piano processuale. Il giudice a quo prosegue affermando che la legittimazione passiva del socio illimitatamente responsabile di una s.a.s. non pare riconducibile a un fenomeno di successione universale della società estinta, né sembra ipotizzabile un fenomeno successorio di tipo «necessario». Viene sollevata, dunque, la questione di costituzionalità dell’articolo 2495 c.c. e dell’articolo 328 c.p.c Sì alla legittimazione degli ex soci. Per la Consulta, l’esclusione della configurabilità, di un fenomeno successorio in capo ai soci, ex articolo 110 o 111 c.p.c., risulta affermazione in sé indimostrata. Peraltro, la stessa Cassazione, nelle citate sentenze del 2010, ha sottolineato «la necessità, attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme, di una soluzione unitaria del problema degli effetti [evidentemente anche processuali] della iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di società». E questa diversa interpretazione delle norme è non solo possibile astrattamente, bensì anche corretta e praticabile, come ha dimostrato una recente pronuncia della Cassazione, numero 6070/2013 le Sezioni Unite, affrontando lo stesso thema decidendum della vicenda processuale che ha dato luogo alla rimessione, hanno sottolineato come «la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato articolo 2495 implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio» e che «l’aver ricondotto la fattispecie ad un fenomeno successorio – sia pure connotato da caratteristiche sui generis [] – consente abbastanza agevolmente di ritenere applicabile, quando la cancellazione e la conseguente estinzione della società abbiano avuto luogo in pendenza di una causa di cui la società stessa era parte, la disposizione dell’articolo 110 c.p.c.». La Corte rimettente non ha esplorato diverse e pur praticabili soluzioni ermeneutiche, che avrebbero consentito di superare i dubbi di costituzionalità delle norme da applicare, e tali omissioni rendono manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata. Fonte www.ilfallimentarista.it

Corte Costituzionale, ordinanza 3 – 17 luglio 2013, numero 198 Presidente Gallo – Redattore Grossi Ordinanza Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 2495 del codice civile e dell’articolo 328 del codice di procedura civile, promosso dalla Corte d’appello di Milano nel procedimento vertente tra Bluvacanze s.p.a. e Tabitta Daniela & amp C. s.a.s. ed altra, con ordinanza del 18 aprile 2012, iscritta al numero 178 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 37, prima serie speciale, dell’anno 2012. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi. Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile, la Corte di appello di Milano – essendo stata eccepita l’intervenuta estinzione della società in accomandita semplice, attrice in primo grado ed appellata, per effetto della cancellazione dal registro delle imprese intervenuta in data 8 aprile 2008, antecedente alla proposizione dell’appello – con ordinanza emessa il 18 aprile 2012, ha sollevato, in riferimento agli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articolo 2495 del codice civile e 328 del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono, in caso di estinzione della società per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della società cancellata, sino alla formazione del giudicato» che la rimettente – analizzata l’evoluzione giurisprudenziale in ordine al problema delle conseguenze, sul piano processuale, dell’estinzione di società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese – rileva che le sezioni unite civili della Corte di cassazione nelle sentenze 22 febbraio 2010, numero 4060, numero 4061 e numero 4062 hanno sancito il principio per cui la nuova formulazione dell’articolo 2495, secondo comma, cod. civ., ancorché dettata per le sole società di capitali nel contesto della riforma di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, numero 6 Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, numero 366 , è applicabile anche alle società commerciali di persone sicché la cancellazione della società ne determina l’estinzione, con effetto immediato, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti che la Corte rimettente – ritenuto che, da un lato, l’avvenuta notifica dell’appello alla società dovrebbe considerarsi inesistente «per inesistenza del soggetto notificando», in quanto estinto e che, dall’altro lato, la notifica dell’appello alla liquidatrice della società dovrebbe ritenersi inammissibile, in quanto la responsabilità di questa sarebbe basata su diversi presupposti colpevole condotta del liquidatore , che implicherebbe una domanda nuova in appello – deduce che, nel giudizio a quo, resterebbe dunque da «stabilire se la notifica dell’atto di appello effettuata alla socia accomandataria valga a consentire la prosecuzione del giudizio di primo grado in sede di gravame, impedendo il formarsi di un giudicato ovvero, più correttamente, se il socio accomandatario possa ritenersi “successore” della estinta società, con la conseguenza di assicurare una valida pronuncia in sede di appello sostitutiva, a tutti gli effetti, di quella pronunciata in primo grado nei confronti della società estintasi nelle more fra la sentenza di primo grado e la notificazione dell’atto di appello» che, in merito a ciò, la rimettente esclude che rispetto al socio illimitatamente responsabile di una s.a.s. si possa configurare tanto una ipotesi di successione a titolo universale, difettando i presupposti di cui all’articolo 110 cod. proc. civ., quanto un caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell’articolo 111 cod. proc. civ. che, a causa di ciò contrariamente a quanto accadeva prima della novella dell’articolo 2495 cod. civ. , deriverebbe l’impossibilità di identificare un successore nel processo e nella res litigiosa nel caso di avvenuta cancellazione della società cosa tanto più grave quando il processo debba proseguire nei gradi di impugnazione e quando la società estintasi sia destinataria dell’atto d’impugnazione, in quanto vittoriosa nel precedente grado di giudizio, giacché, sol per effetto della volontaria cancellazione, la società estinta potrebbe agevolmente sottrarsi alle obbligazioni e finanche impedire la valida interposizione di un gravame, provocando in tal modo la formazione del giudicato per inammissibilità dell’impugnazione rivolta ad un soggetto non più esistente che tale impossibilità determina, secondo la rimettente, la violazione a dell’articolo 3 Cost., per disparità di trattamento ed irragionevolezza, per la «evidente [] sperequazione nella gestione delle cause fra persone fisiche e persone giuridiche, potendo il rapporto processuale instauratosi con le persone fisiche trasferirsi in capo agli eredi, al contrario di quanto accade, in virtù del novellato articolo 2495 c.c., in riferimento alle persone giuridiche, rispetto alle quali il rapporto processuale si estingue senza la possibilità dell’esame dei crediti in discussione» b dell’articolo 24 Cost., in quanto viene «concessa la facoltà a una parte di sottrarsi ai propri obblighi con un semplice atto formale di cancellazione dal Registro delle imprese, impedendosi alla parte soccombente, alla stregua dei ricordati principii delle Sezioni Unite, di instaurare un valido rapporto processuale d’impugnazione, adeguando il processo alle modificazioni intervenute nel campo sostanziale» c dell’articolo 111 Cost., poiché «viene costretta una parte processuale ad instaurare un nuovo giudizio, ripercorrendo gradi già esauriti, così determinandosi un indubbio dispendio di energie nella rivalutazione di fatti già in precedenza vagliati e con l’ulteriore conseguenza dell’inevitabile protrarsi della durata del processo» che infine, secondo la rimettente, «in base al diritto vivente non pare possibile fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata del plesso di norme sin qui esaminate, stante l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite sia sull’estinzione della società per intervenuta cancellazione ex articolo 2495 c.c., sia sugli effetti interruttivi dell’estinzione tra un grado e l’altro del processo, allorché come nella specie noti alla parte impugnante» che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della sollevata questione, poiché il giudice a quo non si è dato carico di tentare una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme denunciate, pur possibile nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, ed in particolare alla stregua delle argomentazioni contenute nella stessa richiamata sentenza delle sezioni unite della Cassazione 22 febbraio 2010, numero 4060, la quale, nell’estendere anche alle società di persone la regola della cancellazione prevista dall’articolo 2495 cod. civ., ha però avuto cura di precisare come in questo caso la cancellazione viene ad avere natura solo dichiarativa e non costitutiva come per le società di capitali , da cui discende la possibilità di far constatare anche nel giudizio a quo che nella sostanza la società non poteva ritenersi estinta, nonostante la formale cancellazione dal registro delle imprese che, inoltre, secondo la difesa erariale, la Corte rimettente non ha considerato che sempre la medesima sentenza distingue nettamente la posizione dei creditori sociali di una società di persone rispetto a quelle di capitali e che pertanto, alla luce di tali affermazioni, non si vede come possa pervenirsi alla conclusione secondo cui il socio accomandatario di una s.a.s. non debba considerarsi successore a titolo universale della società. Considerato che la Corte d’appello di Milano censura – per violazione degli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione – gli articolo 2495 del codice civile e 328 del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono, in caso di estinzione della società per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della società cancellata, sino alla formazione del giudicato» che l’articolo 2495 cod. civ., come sostituito dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, numero 6 Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, numero 366 , sotto la rubrica «Cancellazione delle società» materia precedentemente regolata dall’articolo 2456 cod. civ. , prevede che «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese» primo comma e che, «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società» secondo comma che, a sua volta, l’articolo 328 cod. proc. civ. Decorrenza dei termini contro gli eredi della parte defunta stabilisce che «Se, durante la decorrenza del termine di cui all’articolo 325 [che regola i termini per le impugnazioni], sopravviene alcuno degli eventi previsti nell’articolo 299 [morte o perdita della capacità delle parti o dei rispettivi rappresentanti legali], il termine stesso è interrotto e il nuovo decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata» primo comma che «Tale rinnovazione può essere fatta agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell’ultimo domicilio del defunto» e che, «Se dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza si verifica alcuno degli eventi previsti nell’articolo 299, il termine di cui all’articolo precedente è prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell’evento» che la Corte rimettente – sul rilievo che le richiamate sentenze 22 febbraio 2010, numero 4060, numero 4061 e numero 4062 delle sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno sancito il principio per cui la nuova formulazione dell’articolo 2495, secondo comma, cod. civ., ancorché dettata per le sole società di capitali, è applicabile anche alle società commerciali di persone sicché la cancellazione dal registro delle imprese determina, con effetto immediato, l’estinzione delle società medesime, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti – afferma la rilevanza della questione, in quanto nel giudizio a quo si pone il problema delle conseguenze, sul piano processuale, della «estinzione della s.a.s. appellata per effetto della cancellazione dal registro delle imprese intervenuta in tempo precedente alla proposizione dell’appello» che, realizzatosi un evento interruttivo, la rimettente ritiene che resti da «stabilire se la notifica dell’atto di appello effettuata alla socia accomandataria valga a consentire la prosecuzione del giudizio di primo grado in sede di gravame, impedendo il formarsi di un giudicato ovvero, più correttamente, se il socio accomandatario possa ritenersi “successore” della estinta società, con la conseguenza di assicurare una valida pronuncia in sede di appello sostitutiva, a tutti gli effetti, di quella pronunciata in primo grado nei confronti della società estintasi nelle more fra la sentenza di primo grado e la notificazione dell’atto di appello» che, peraltro, per il giudice a quo – atteso che l’articolo 2495 cod. civ. nulla dispone con riguardo alle liti pendenti e che «la legittimazione passiva del socio illimitatamente responsabile di una s.a.s. non pare riconducibile a un fenomeno di successione universale in locum et ius della società estinta [] e neppure sembra ipotizzabile un fenomeno successorio di tipo “necessario”» – «difetterebbero [] i presupposti di cui all’articolo 110 c.p.c.», nonché quelli di una successione a titolo particolare nel diritto controverso ex articolo 111 cod. proc. civ. che, da ciò, deriverebbe la lesione degli evocati parametri, per l’impossibilità di identificare un successore nel processo e nella res litigiosa, giacché per effetto della volontaria cancellazione la società estinta potrebbe agevolmente sottrarsi alle obbligazioni e finanche impedire la valida interposizione di un gravame, provocando in tal modo la formazione del giudicato per inammissibilità dell’impugnazione rivolta ad un soggetto non più esistente che dalla prospettazione della questione con specifico riferimento alla interpretazione posta a premessa dei sollevati dubbi di incostituzionalità e dalla formulazione del petitum, si appalesano gravi profili di inammissibilità della questione che la Corte d’appello fonda i sollevati dubbi di costituzionalità sull’assunto che – quanto alle conseguenze sul piano processuale della cancellazione dal registro delle imprese delle società anche di persone , dopo la riforma organica del diritto societario attuata dal decreto legislativo numero 6 del 2003 – «la legittimazione passiva del socio illimitatamente responsabile di una s.a.s. non pare riconducibile a un fenomeno di successione universale in locum et ius della società estinta [] e neppure sembra ipotizzabile un fenomeno successorio di tipo “necessario”» che, tuttavia, la non altrimenti motivata esclusione della configurabilità, nella specie, di una successione nel processo ai sensi dell’articolo 110 cod. proc. civ., ovvero dell’articolo 111 cod. proc. civ. che il giudice a quo fa derivare dalla «inaccettabilità di una concezione antropomorfica della soggettività giuridica, e delle società in particolare» , appare affermazione in sé indimostrata e, pertanto, inidonea a sottrarre il rimettente dal dovere di sperimentare la possibilità di dare alle norme impugnate un significato se possibile diverso, tale da renderle compatibili con gli evocati parametri costituzionali ordinanza numero 102 del 2012 , in ossequio al principio secondo cui una disposizione di legge può essere dichiarata costituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione sentenza numero 356 del 1996 ordinanza numero 194 del 2012 che, d’altronde, le stesse sezioni unite civili della Corte di cassazione, nelle ricordate sentenze del 2010, sottolineano la «necessità, attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme, di una “soluzione unitaria” del problema degli effetti [evidentemente anche processuali] della iscrizione della cancellazione di tutti i tipi di società o imprese collettive, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società» che, peraltro, non solo l’ipotizzabilità, bensì la concreta praticabilità di una diversa interpretazione nello stesso senso auspicato dalla rimettente risulta essere operazione ermeneutica possibile, come confermato dalle sopravvenute pronunce con cui le sezioni unite civili della Corte di cassazione 12 marzo 2013, numero 6070 e numero 6071 , hanno affrontato lo stesso thema decidendum oggetto del presente scrutinio, riguardante gli effetti della cancellazione della società di persone nei processi in corso nei quali essa è costituita, e la legittimazione degli ex soci di una società commerciale nel caso di attribuzione di beni riferiti a rapporto giuridico non esaurito nel momento della estinzione per cancellazione che, infatti, le medesime sezioni unite, da un lato, osservano come «ipotizzare [] che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti, perciò, la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di esso pendenti per l’accertamento di debiti sociali tuttora insoddisfatti significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori» e, dall’altro lato, sottolineano come, «anche per non vulnerare il diritto di difesa tutelato dall’articolo 24 Cost.», «la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato articolo 2495 implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio, che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica» che ancora, secondo il giudice di legittimità, «l’aver ricondotto la fattispecie ad un fenomeno successorio – sia pure connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società – consente abbastanza agevolmente di ritenere applicabile, quando la cancellazione e la conseguente estinzione della società abbiano avuto luogo in pendenza di una causa di cui la società stessa era parte, la disposizione dell’articolo 110 c.p.c. come già affermato anche da Cass. 6 giugno 2012, numero 9110 », poiché «tale disposizione contempla, infatti, non solo la “morte” come tale riferibile unicamente alle persone fisiche , ma altresì qualsiasi “altra causa” per la quale la parte venga meno, e dunque risulta idonea a ricomprendere anche l’ipotesi dell’estinzione dell’ente collettivo» e che, «se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’articolo 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci» che la non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione di diverse, pur praticabili, soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte al proposto dubbio di costituzionalità integrano omissioni tali da rendere manifestamente inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale ordinanze numero 304 e numero 102 del 2012 , ridondando anche in termini di insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione ordinanze numero 240 e numero 126 del 2012 , e configurandosi, di fatto, quale improprio tentativo di ottenere un avallo interpretativo da parte della Corte sentenza numero 21 del 2013 che ulteriore profilo di inammissibilità è rappresentato dalla specifica formulazione del petitum, diretto ad ottenere la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme de quibus, «nella parte in cui non prevedono, in caso di estinzione della società per effetto di volontaria cancellazione dal registro delle imprese, che il processo prosegua o sia proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della società cancellata, sino alla formazione del giudicato» che un tale intervento – che neppure si configurerebbe come soluzione costituzionalmente imposta, in considerazione della variegata configurabilità delle possibili ricadute della pronuncia sulla disciplina de qua – appare all’evidenza diretto a sterilizzare, sul piano processuale, gli effetti immediatamente estintivi della società derivanti dalla cancellazione ai sensi del nuovo testo dell’articolo 2495 cod. civ., mediante un sostanziale ripristino del sistema anteriore alla riforma del 2003, per il quale secondo la «unanime scelta ermeneutica dei giudici di legittimità» di allora «la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di una società commerciale, di persone o di capitali [] non produceva l’estinzione della società stessa, in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, per cui permaneva la legittimazione processuale di essa e il processo già iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle persone che già la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento alle fasi di impugnazione» Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza numero 4060 del 2010 che, di conseguenza, la sollevata questione è manifestamente inammissibile. Visti gli articolo 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, numero 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articolo 2495 del codice civile e 328 del codice di procedura civile, sollevata – in riferimento agli articolo 3, 24 e 111 della Costituzione – dalla Corte d’appello di Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.