Fissato a 950 euro mensili il contributo dell’ex marito per il mantenimento dei figli nati dall’unione coniugale ormai sciolta. Quantum confermato, nonostante l’uomo abbia richiamato il carico economico provocato dalla sua nuova famiglia di fatto, caratterizzata anche dalla presenza di un figlio. Obiezione possibile, ma, in questo caso, risulta decisivo il contributo economico e patrimoniale offerto, nella nuova famiglia, dalla compagna dell’uomo.
“Chiusa una porta, si apre un portone”. ‘Perla di saggezza’ che, in sostanza, invita ad aver fiducia, a sperare sempre in meglio, a credere possibili passi avanti anche quando la situazione sembra complicata Ma questa filosofia di vita non è di facile applicazione quando la “porta chiusa” è un divorzio, e il “portone che si apre” è una nuova famiglia di fatto perché è complicato, per l’uomo, richiamare le nuove incombenze familiari per ottenere l’alleggerimento dei propri oneri nei confronti dei figli nati dall’oramai dissolto matrimonio. Cassazione, sentenza numero 23090, sezione Prima Civile, depositata oggi Contributo. Dissolto ufficialmente il matrimonio, separate oramai le strade di uomo e donna, resta, come strascico, l’onere a carico dell’ex marito «contributo mensile di 950 euro per il mantenimento dei figli». Su questo punto concordano le valutazioni dei giudici del Tribunale e dei giudici della Corte d’Appello, tenendo presenti le «capacità reddituali» dell’uomo e della donna e, soprattutto, le «necessità di spesa legate alle condizioni di salute dei figli». Secondo l’uomo, però, l’obbligo fissato dai giudici è eccessivamente gravoso, soprattutto perché egli, intanto, si è rifatto una vita, formando «una nuova famiglia», col relativo, connesso «obbligo di mantenimento gravante a suo carico», soprattutto alla luce del «figlio nato dalla» sua nuova «famiglia di fatto». Vecchio e nuovo. Di facile lettura, e di facile comprensione, l’obiezione mossa dall’uomo rispetto alla pronunzia ‘firmata’ dalla Corte d’Appello. Ma quell’obiezione, ribattono i giudici della Cassazione, non può trovare accoglimento, innanzitutto perché non è stato «affatto affermato un principio contrario in tema di diritto al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio in relazione a quelli nati in un precedente matrimonio». Anzi, è stato attentamente preso in esame il «mutamento delle condizioni economiche» dell’uomo, mutamento frutto della «formazione di una nuova famiglia», ma, aggiungono i giudici, tale elemento è stato considerato irrilevante. Perché? Per una ragione semplicissima «il nuovo nucleo familiare gode anche delle risorse della compagna» dell’uomo, la quale «risulta aver percepito nell’anno solare un reddito netto di circa 22.600 euro, oltre ad essere proprietaria, al 100 per cento, di due immobili, di cui uno ceduto in locazione, e di ulteriori quattro immobili, al 33 per cento». Di conseguenza, è possibile il richiamo ai ‘carichi’ provocati dalla nuova famiglia per provare a vedere ‘ridotti’ gli oneri legati all’oramai dissolto matrimonio, ma esso può avere sostanza e fondamento soprattutto se la nuova famiglia sia poggiata, metaforicamente, solo sulle spalle dell’uomo.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 settembre – 10 ottobre 2013, numero 23090 Presidente Carnevale – Relatore Bisogni Rilevato che 1. Il Tribunale di Siracusa, con sentenza numero 581/04, ha dichiarato cessati gli effetti civili del matrimonio fra P.A. e M.G. e ha imposto un contributo mensile di 950 euro a carico dell’A. a titolo di contributo per il mantenimento dei figli. 2. Ha proposto appello P.A. chiedendo la rideterminazione dall’assegno e rilevando, nella sentenza del Tribunale di Siracusa, la sottovalutazione dalle capacità reddituali della G. e la sopravvalutazione delle necessità di spesa legate alle condizioni di salute dei figli. 3. Si è costituita la G. e ha chiesto il rigetto dell’appello principale di cui ha eccepito l’inammissibilità per tardività e l’infondatezza in relazione alla effettiva disparità dei redditi dei due ex coniugi. Ha proposto appello incidentale insistendo per l’accoglimento della domanda di restituzione di beni mobili in possesso dell’A. 4. La Corte di appello di Catania, con sentenza numero 1253/07, ha respinto entrambi gli appelli e compensato le spese. 5. Ricorro per cassazione P.A. affidandosi a due motivi di impugnazione, illustrati con memoria difensiva, con i quali deduce a la violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 della legge numero 898/1970 oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Il ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte dei giudici di merito dell’obbligo di mantenimento gravante a suo carico in conseguenza dalla formazione di una nuova famiglia b la violazione e falsa applicazione dell’articolo 188 c.p.c. e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo o controverso del giudizio costituito dalla mancata produzione e acquisizione della dichiarazione dei redditi dalla G. relativa all’anno 2006. 6. Si difende con controricorso M.G. Ritenuto che 7. Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili. 8. I quesiti di diritto sono palesemente inidonei a soddisfare i requisiti richiesti dall’articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla controversia. Infatti il primo quesito relativo al primo motivo di ricorso “voglia la Corte Suprema di Cassazione statuire in merito al diritto del figlio nato da una famiglia di fatto ad avere lo stesso livello di mantenimento dei figli nati dal matrimonio e affidati all’altro coniuge e stabilito dal decidente con un provvedimento giudiziario, stabilendo l’obbligo del giudice nel determinare l’importo dell’assegno di mantenimento alla comparazione tra il livello di mantenimento dei primi e del secondo” , al di là dalla stessa incongruenza formale della formulazione come richiesta di statuizione di un principio astratto, si presenta palesemente asimmetrico rispetto alle ragioni del decadere della sentenza impugnata cha non ha affatto affermato un principio contrario in tema di diritto al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio in relazione a quelli nati in un precedente matrimonio. Né può ritenersi ammissibile la richiesta, in un giudizio che ha per oggetto il mantenimento dei figli nati dal matrimonio, di una statuizione sulla misura del mantenimento del figlio nato successivamente alla separazione da un’altra relazione, trattandosi di una richiesta palesemente estranea all’oggetto del decidere ed estranea altresì alle stesse possibilità di pronuncia del giudice rispetto a un soggetto attualmente convivente con il padre. Né infine può ritenersi che la Corte di appello abbia affamato l’irrilevanza del mutamento delle condizioni economiche del soggetto obbligato in dipendenza alla formazione di una nuova famiglia dato che i giudici dell’appello non solo non hanno affatto affermato tale irrilevanza ma si sono fatti carico nella motivazione di valutare specificamente tale aspetto e di rilevare a tale proposito che il nuovo nucleo familiare gode anche delle risorse della compagna di P.A. che risulta aver percepito nell’anno solare 2005 un reddito netto di circa 22.600,00 euro, oltre ad essere proprietaria al 100% di due immobili, di cui uno ceduto in locazione, e di ulteriori quattro immobili al 33%. 9. Il secondo quesito di diritto relativo al secondo motivo di ricorso “Voglia la Suprema Corte statuire se costituisca fatto decisivo la produzione nel giudizio de quo dell’ultima dichiarazione dei redditi di una delle parti e se il giudice sia tenuto a prendere in considerazione l’omissione ai fini della decisione e di motivare adeguatamente in caso di rigetto della domanda antistataria” pone alla Corte una richiesta di pronuncia sulla rilevanza di un’attività istruttoria che è prettamente di competenza del giudice di merito o che peraltro non involge alcun profilo di violazione di legge da parte del giudice di merito. 10. Quanto alle censure alla motivazione la Corte rileva che il ricorrente non ha proposto la sintesi di cui all’articolo 366 bis c.p.c. e ha mosso delle argomentazioni del tutto generiche o apodittiche che risultano peraltro smentite dalle considerazioni svolte al precedente punto 8 . 11. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 1.200 euro, oltre euro 200 per spese.