Precaria delusa, lettera aperta sul giornale contro l’azienda: nessuna diffamazione

Critiche durissime, senza dubbio, quelle espresse da una ex dipendente di una cooperativa, ma esse vanno contestualizzate rispetto a un fenomeno più ampio, ossia le agitazioni che attraversano il settore del commercio cittadino. Evidente l’attualità del problema, e, per questo, l’interesse pubblico, ossia la necessità che venga data ampia informazione sull’argomento.

apporto di lavoro interrotto bruscamente? Frustrazione e delusione per la scelta aziendale? Prendere carta e penna e raccontare la propria vicenda può aiutare Non solo come valvola di sfogo a livello psicologico, sia chiaro. Perché è assolutamente legittimo anche chiedere e, se possibile, ottenere la pubblicazione del proprio racconto su un quotidiano il malumore espresso, anche in maniera forte, contro l’azienda non è valutabile come diffamazione. Per buona sorte anche del direttore responsabile del quotidiano Cassazione, sentenza numero 15443, Terza sezione Civile, depositata oggi . Cooperativa, ma non troppo Contesto di riferimento, da non trascurare, è quello di un’onda lunga di «agitazioni sindacali» nel «settore del commercio» di una città, prontamente riportate da un quotidiano. All’interno di quel contesto, poi, si inserisce la lettera buttata giù da una ex dipendente – precaria – di un’azienda, che opera «nel settore della grande distribuzione, gestendo numerosi ipermercati e supermercati», lettera ricca di critiche dure, lettera che riporta il trattamento ricevuto dall’azienda, lettera che – ecco il passaggio decisivo – viene pubblicata integralmente dal quotidiano. E, naturalmente, i titoli utilizzati sono forti, a grande capacità di impatto “Non tutto oro ciò che è Coop se hai un contratto a termine” e “Clima di paura tra i precari”. Pronta la reazione dei vertici aziendali, che citano per diffamazione il direttore responsabile della testata, chiedendo anche un adeguato «risarcimento dei danni». Quale la risposta della giustizia? Negativa, per l’azienda, in primo grado, positiva, invece, in secondo grado, laddove i giudici di Appello riconoscono un «risarcimento» pari a 25mila euro. Critica . Ma tale prospettiva viene completamente ribaltata dai giudici della Cassazione, i quali ritengono legittime le osservazioni mosse dai legali del direttore e della testata, osservazioni fondate sul fatto che «la missiva era stata riportata nelle pagine dedicate alle agitazioni sindacali, le quali avevano interessato tutto il settore del commercio» e che «il diritto di critica sindacale puà essere esercitato anche con toni aspri, purché la critica non si risolva in un attacco personale». Ebbene, ammettono i giudici, è evidente che l’immagine dell’azienda, che emerge dalla lettera, è poco edificante è l’immagine, difatti, di un’azienda che «pur professando ideali mutualistici, sarebbe tesa allo sfruttamento dei dipendenti aventi rapporti di lavoro precario». Senza dimenticare, poi, i «ricatti morali» denunciati dalla lavoratrice, ossia i continui riferimenti alla prossima scadenza del contratto, valutabili come «strumento di pressione derivante dalla precarietà del rapporto di lavoro». Ma, viene poi aggiunto dai giudici, non si può trascurare il ‘contesto’, ossia le «agitazioni sindacali» nel settore del «commercio cittadino» –agitazioni oggetto di inchiesta giornalistica –, e soprattutto il fatto che la ex dipendente abbia espresso, con quella lettera, la propria «delusione, senza trascendere in offese sul piano personale nei confronti dei dirigenti», raccontando la propria «infelice esperienza lavorativa presso la cooperativa». Ciò conduce a ritenere che «la lettera in questione era di straordinaria attualità nel momento storico» – i giudici, ovviamente, si riferiscono all’epoca dei fatti, ma il pensiero vola, inevitabilmente, anche all’attualità e alle difficoltà di migliaia di lavoratori precari – e che la questione fosse di lapalissiano «interesse pubblico», tanto da «far prevalere il diritto di informare del giornalista sulla posizione soggettiva dei singoli datori di lavoro». Completamente opposto, quindi, il quadro tracciato in Cassazione rispetto a quello delineato in Appello proprio per questo, i giudici del Palazzaccio non solo accolgono il ricorso proposto dal direttore responsabile e dalla testata, ma, decidendo nel merito, azzerano, in maniera definitiva, ogni ipotesi di «diffamazione».

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 aprile – 20 giugno 2013, numero 15443 Presidente Berruti – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 8 novembre 1999 la Coop Estense s.c.r.l. conveniva in giudizio A.M. e la Finegil Editoriale Spa davanti al Tribunale di Mantova e, premettendo di operare nel settore della grande distribuzione gestendo numerosi ipermercati e supermercati in Emilia Romagna ed in Puglia, esponeva che, nell’edizione del 20 giugno 1999 del quotidiano locale “La Gazzetta di Modena”, sotto il titolo principale “Non tutto oro ciò che è Coop se hai un contratto a termine” e quello secondario di “Clima di paura tra i precari”, in forma di lettera pervenuta alla redazione, era stato pubblicato uno scritto dalla connotazione diffamatoria. Ciò premesso chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni nella somma di lire 500.000.000, oltre alla riparazione pecuniaria di cui all’articolo 12 legge numero 47/1948 ed alla pubblicazione della sentenza. In esito al giudizio, in cui si costituivano i convenuti contestando la pretesa attrice, il Tribunale adito respingeva la domanda compensando le spese. Avverso tale decisione la Coop Estense proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui si costituivamo gli appellati resistendo al gravame, la Corte di Appello di Brescia con sentenza depositata in data 7 settembre 2006 condannava A.M., quale direttore responsabile, e la Finegil Editoriale, quale editrice, in solido al risarcimento dei danni in favore dell’appellante nella misura di € 25.000,00 oltre interessi legali dal 20 giugno 1999 sul capitale via via, rivalutato assumendo a valore iniziale quello di € 21.477,66 ordinava la pubblicazione per estratto della sentenza sul periodico “il Consumatore” e sul quotidiano “Il resto del Carlino” condannava gli appellati in solido alla rifusione delle spese dei due gradi di merito. Avverso la detta sentenza i soccombenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Resiste con controricorso la Coop Estense. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione Con l’unica doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 51 cp in relazione all’ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, i ricorrenti deducono che la Corte di Appello avrebbe erroneamente attribuito una valenza diffamatoria al contenuto della lettera, inviata da un’ex dipendente della Coop Estense, pubblicata nell’edizione del 20 giugno 1999 del quotidiano locale “La Gazzetta di Modena”. Il giudice di merito, invero, avrebbe trascurato in primo luogo che la missiva era stata riportata nelle pagine dedicate alle agitazioni sindacali, le quali nel giugno 1999 avevano interessato tutto il settore del commercio, ed, in secondo luogo, che il diritto di critica sindacale può essere esercitato anche con toni aspri purché la critica non si risolva - e nella specie, ciò non era accaduto - in un attacco personale, diretto ad incidere nella sfera privata del soggetto offeso, oppure in una contumelia lesiva dell’onorabilità dell’avversario. La doglianza è fondata e merita accoglimento. Al riguardo, torna opportuno premettere che le ragioni della decisione impugnata si fondano essenzialmente sulla considerazione che il titolo principale dell’articolo “Non tutto oro ciò che è Coop se hai un contratto a termine” e quello secondario di “Clima di paura tra i precari” conferirebbero all’articolo nel suo complesso una valenza diffamatoria. In particolare, il titolo principale creerebbe all’esterno l’immagine di un’azienda che, pur professando ideali mutualistici, sarebbe tesa allo sfruttamento dei dipendenti aventi rapporti di lavoro precario il titolo secondario indurrebbe ad ipotizzare un uso spregiudicato dei contratti a termine da parte della Cooperativa. Inoltre, l’espressione “ricatti morali” - che l’autrice della lettera nel corpo della stessa assume essere stati perpetrati a suoi danni con l’uso di frasi “Non vuoi fare il cambio di orario? Ma lo sai che ti scade il contratto tra un po’? Vuoi le ferie? Lo sai che ti scade il contratto?, oltre ad essere di per sé spregiativa e diffamatoria, farebbe pensare all’uso disinvolto di uno strumento di pressione derivante dalla precarietà del rapporto di lavoro. Gli argomenti, posti dalla Corte di merito, a base della decisione, non meritano di essere condivisi. A riguardo, come è stato evidenziato in ricorso, deve rilevarsi che la Corte di merito ha tralasciato di prendere in considerazione un aspetto della vicenda, di non poco conto, costituito dal fatto che la lettera, datata 19 giugno 1999, era stata pubblicata nell’ambito delle pagine dedicate alle agitazioni sindacali che in quel periodo giugno 1999 investivano tutto il settore del commercio cittadino. La lettera infatti proveniva da un’ex dipendente di una Cooperativa la Coop Estense , la quale - peraltro con un tono accorato che ne rivelava soprattutto la delusione, senza trascendere in offese sul piano personale nei confronti dei dirigenti e senza formulare accuse che non fossero strettamente attinenti alla sua situazione di lavoratrice precaria - descriveva la sua infelice esperienza lavorativa presso la Cooperativa. Tale circostanza, peraltro, veniva opportunamente evidenziata nell’“occhiello” dell’articolo con l’espressione “una lettera segnala i problemi che vivono i lavoratori del settore”. Ora, la premessa svolta appare utile nella misura in cui serve a sottolineare che la lettera in questione era di straordinaria attualità nel momento storico, in cui fu pubblicata, essendo per l’appunto in corso una specifica inchiesta giornalistica relativa alle agitazioni sindacali in atto. Ed invero, la qualità dei soggetti coinvolti, il contenuto della lettera ed il generale contesto di conflittualità sindacale, in cui la missiva inviata si inseriva, offrivano indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione, tali da far prevalere il diritto di informare del giornalista sulla posizione soggettiva dei singoli datori di lavoro. Del resto, come ha già avuto modo di statuire questa Corte, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, qualora la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita articolo 21 Cost. bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente dell’esercizio del diritto di critica Cass numero 25/2009 . Giova aggiungere che, in materia, non sussiste una generica prevalenza del diritto all’onore sul diritto di critica, in quanto ogni critica alla persona può incidere sulla sua reputazione del resto, negare il diritto di critica solo perché lesivo della reputazione di taluno significherebbe negare il diritto di libera manifestazione del pensiero. Pertanto, il diritto di critica può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell’onore Cass. numero 4545/2012, numero 12420/08 . Ne consegue che in applicazione di questo principio il ricorso per cassazione, siccome fondato, deve essere accolto e che la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata. Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari, ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto dell’appello proposto dalla Cooperativa Estense Soc. Coop a r.l L’alternarsi delle decisioni di merito, evidenziando l’obbiettiva controvertibilità della questione trattata, giustifica la compensazione delle spese, riguardo ai due gradi di merito. Le spese del giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. numero 140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, rigetta la domanda proposta dalla Cooperativa Estense Soc. Coop a r.l. Compensa le spese dei gradi di merito. Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore di ciascuno dei ricorrenti in complessivi € 4.700,00 di cui € 4.500,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed € 200,00 per esborsi, oltre il contributo unificato.