Deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di cui all’articolo 616 c.p.p. in favore della Cassa delle ammende, il ricorso in Cassazione i cui motivi si basino su una non provata decorrenza del termine di prescrizione del reato diversa da quella indicata nell’imputazione e sull’allegazione di prove documentali di epoca anteriore al giudizio di primo grado, ma prodotte per la prima volta davanti ai giudici di legittimità.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza numero 19028 depositata il 2 maggio 2013. Il caso. Il tribunale di Massa - sezione distaccata di Pontremoli, con sentenza del 13 luglio 2012, aveva ritenuto l’amministratore delegato ed il presidente del consiglio di amministrazione di una società per azioni colpevoli, in concorso tra loro, della contravvenzione di cui all’articolo 18 bis , co. 2, D. Lgs. numero 66/2003, per aver avviato, in violazione delle disposizioni di cui all’articolo 14, co. 1 del decreto citato, una loro dipendente al lavoro notturno senza sottoporre la stessa ad una preventiva visita medica. Gli imputati proponevano ricorso per cassazione fondato su due doglianze. La prima inerente all’individuazione del tempus commissi delicti effettuata dal giudice di primo grado, il quale avrebbe immotivatamente postdatato il momento di commissione del reato in questione al periodo intercorrente tra il maggio 2009 ed il settembre 2010 periodo nel quale la dipendente era rientrata al lavoro a seguito di assenza per malattia , invece di collocare correttamente la consumazione della contravvenzione nel marzo del 2005 all’atto dell’assunzione della dipendente medesima . Il tutto con la conseguenza del mancato spirare del termine quinquennale di prescrizione delle contravvenzioni ex articolo 157 e 161 c.p La seconda arricchita da un motivo aggiunto depositato in prossimità dell’udienza di discussione basata sulla sussistenza di due distinte deleghe di funzioni in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, con le quali la posizione di garanzia degli imputati sarebbe stata trasferita in capo ad altri soggetti, con conseguente venir meno della loro responsabilità. I documenti attestanti tali deleghe di funzioni datate rispettivamente febbraio 2009 e giugno 2007 venivano depositati per la prima volta unitamente al ricorso in Cassazione. Rispetto al primo di essi gli imputati giustificavano il deposito tardivo in ragione dell’irrilevanza della delega ivi contenuta rispetto alla data di commissione del reato indicata nell’imputazione ottobre 2007 , essendo quella risalente al febbraio 2009. La necessità di procedere al suo deposito, quindi, sarebbe sorta solo al momento della pronuncia del giudice di prime cure, il quale, come supra riferito, aveva spostato, sempre secondo la difesa degli imputati, in avanti il tempus della contravvenzione. Se non allora, quando? La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai due imputati. Avendo riguardo al primo motivo di impugnazione, i giudici di legittimità hanno evidenziato come le asserzioni della difesa degli imputati in merito all’erronea decorrenza del termine di prescrizione del reato ritenuta dal Tribunale di Massa – sezione distaccata di Pontremoli fossero del tutto sprovviste di qualsiasi supporto probatorio. Era necessario, cioè, che fossero quantomeno allegati gli elementi dai quali le argomentazioni difensive traevano la loro forza affinché si potessero mettere in discussione le determinazioni del giudice di primo grado rispetto al verificarsi o meno della prescrizione. In disparte l’assenza, nel provvedimento impugnato, di qualsiasi postdatazione al 2009 o al 2010, il Supremo Collegio richiama, infatti, il proprio costante orientamento interpretativo, per il quale una decorrenza del termine di prescrizione diversa da quella risultante dagli atti del procedimento nella vicenda in esame, da identificarsi con la data di accertamento della contravvenzione, cioè l’ottobre 2007 deve poggiare su solide e complete basi fattuali e giuridiche. Al contrario, i ricorrenti si erano limitati a generiche affermazioni riguardanti un differente, e antecedente, momento di consumazione del reato l’assunzione della dipendente affermazioni che soccombono, secondo i giudici di Piazza Cavour, di fronte alla concretezza del tempus commissi delicti indicato in imputazione corrispondente alla data di accertamento del reato . Chi tardi deposita, male ricorre . Medesima sorte è toccata al secondo motivo di ricorso. La Corte di Cassazione ha evidenziato l’illegittimità del deposito di documenti di epoca anteriore al giudizio di primo grado per la prima volta in quello di legittimità. Non hanno convinto le asserzioni della difesa degli imputati in merito alle ragioni di tale condotta processuale. Qualsiasi prova documentale che possa portare ad un esonero di responsabilità penale deve essere prodotta nei giudizi di merito, a maggior ragione se la stessa risulta esistente già in tale momento. Inoltre, la valutazione del contenuto di dette prove, meramente assertive e non decisive, è preclusa alla Suprema Corte, attenendo, per l’appunto, al merito della controversia. . e paga. Un simile atteggiamento dei ricorrenti viene punito ”dal Supremo Collegio, il quale non esita a ritenere applicabile al caso de quo il disposto dell’articolo 616 c.p.p., nella parte in cui prevede l’applicazione di una sanzione a carico del ricorrente-parte privata in favore della Cassa delle ammende in caso di inammissibilità del ricorso. Non viene ravvisata, infatti, quella mancanza di colpa nella determinazione della causa o delle cause di inammissibilità del ricorso sulla cui non considerazione la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 186/2000 richiamata nella pronuncia in commento , ha fondato la declaratoria di illegittimità del predetto articolo 616 c.p.p I giudici di legittimità hanno, cioè, ritenuto che la genericità dei motivi di ricorso e, soprattutto, l’ingiustificata o mal giustificata tardività del deposito di prove documentali siano ragioni sufficienti per ravvisare una condotta processualmente “colposa” in capo alle parti private ricorrenti. In tal modo si è voluto quasi stigmatizzare l’eccessivo utilizzo dell’impugnazione di legittimità, assecondando la ratio della su citata disposizione codicistica.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 dicembre 2012 - 2 maggio 2013, numero 19028 Presidente Gentile – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 13 luglio 2012, il Tribunale di Massa - sezione distaccata di Pontremoli ha condannato gli imputati D.M. e F. alla pena dell'ammenda, per il reato di cui agli articolo 110 cod. penumero , 14, comma 1, 18-bis, comma 2, del decreto legislativo numero 66 del 2003, perché, in concorso tra loro, D.M. , quale amministratore, delegato e F. , quale presidente del consiglio di amministrazione di una stessa società per azioni, ammettevano al lavoro notturno una dipendente senza che questa fosse stata sottoposta a visita medica preventiva. 2. - Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, rilevando, in primo luogo, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nonché l'inosservanza dell'articolo 40 cod. penumero . Secondo l'interpretazione data dai ricorrenti, il Tribunale non avrebbe accolto l'istanza di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, affermando che la data di consumazione del reato non doveva individuarsi al momento dell'assunzione della dipendente 9 marzo 2005 , ma al momento della cessazione dell'impiego della stessa in mansioni che richiedevano la preventiva valutazione medica momento che gli stessi ricorrenti collocano temporalmente tra l'11 maggio 2009 e il 6 settembre 2010. Dalla documentazione in atti - prosegue la difesa - si sarebbe dovuto evincere che, all'esito della verifica di ottemperanza alla prescrizione di sottoporre l'impiegata a visita medica, era stato redatto ulteriore verbale, spedito il 10 giugno 2008, dove si sottolineava che, essendo di fatto sospeso per malattia il rapporto di lavoro, il termine contenuto nella stessa prescrizione doveva ritenersi prorogato fino al termine del periodo di malattia della lavoratrice. Lamenta la difesa che il Tribunale avrebbe omesso l'analisi di detto documento. A tali argomentazioni, i ricorrenti aggiungono, con un secondo motivo di doglianza, che, con atto dell'11 febbraio 1009, la società aveva provveduto a nominare un procuratore speciale, conferendogli l'incarico di responsabile aziendale per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro di pertinenza della società. La difesa riferisce che si tratta di un documento non acquisiti in primo grado “in quanto non inerente all'iniziale contestazione”, perché il reato risultava accertato nell'ottobre 2007 e non, come sostenuto in sentenza, nel 2009. Con memoria depositata in prossimità dell'udienza si ribadisce tale ultimo profilo di doglianza e si evidenzia che dal 2007 vi era un ulteriore soggetto responsabile del settore nominato il 12 giugno 2007 e, dunque, in un momento precedente anche alla data di consumazione del reato indicata nell'imputazione 20 ottobre 2007 . Considerato in diritto 3. - Il ricorso è inammissibile. 3.1. - Quanto alla prima doglianza, relativa al tempo di commissione del reato ai fini della prescrizione dello stesso, deve qui rilevarsi che i ricorrenti non hanno prospettato concreti elementi a sostegno della tesi secondo cui il reato sarebbe stato commesso già al momento dell'assunzione della dipendente 9 marzo 2005 , limitandosi essi alla mera indimostrata affermazione secondo cui la dipendente stessa sarebbe stata avviata al lavoro notturno fin dall'inizio. Né merita di essere condiviso l'assunto difensivo secondo cui il Tribunale avrebbe ritenuto di postdatare il tempus commissi delicti al periodo in cui la dipendente era rientrata al lavoro a seguito di assenza per malattia ed era stata effettivamente sottoposta a visita medica per l'accertamento dell'idoneità all'impiego in orario notturno tra l'11 maggio 2009 e il 6 settembre 2010 la sentenza impugnata non contiene, infatti alcun espresso riferimento a tali date. Gli imputati non hanno, dunque, soddisfatto l'onere - cui si riferisce costantemente la giurisprudenza di questa Corte ex plurimis, Sez. 3, 7 maggio 2009, numero 19082 11 ottobre 2000, numero 10562 - di allegazione degli elementi in loro possesso da cui desumere una data di inizio del decorso del termine prescrizionale diversa da quella risultante dagli atti, la quale deve essere ritenuta coincidente, in mancanza di altri dati certi, con il momento dell'accertamento 20 ottobre 2007 . Contrariamente a quanto asserito nel ricorso, il termine prescrizionale complessivo non è, dunque, maturato, essendo il quinquennio previsto dall'articolo 157, primo comma, cod. penumero per i reati contravvenzionali, comprensivo di 2 mesi e 3 giorni di sospensione per rinvio dovuto ad astensione del difensore dalle udienze, destinato a scadere il 23 dicembre 2012. Ne deriva l'inammissibilità, per genericità, del primo motivo di ricorso. 3.2. - Del pari inammissibili per genericità sono il secondo motivo di ricorso e il motivo aggiunto, con i quali si sostiene che vi sarebbero deleghe di funzioni una del 12 giugno 2007 e un'altra, destinata ad altro soggetto, dell'11 febbraio 2009 dotate di efficacia liberatoria, perché specificamente riferite alla responsabilità relativa alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro di pertinenza della società. Deve infatti rilevarsi che tali atti sono stati prodotti solo con il ricorso per cassazione, anche se già ampiamente esistenti in epoca precedente all'inizio del giudizio di primo grado e che la loro efficacia liberatoria rispetto alla responsabilità penale - il cui accertamento richiederebbe una valutazione di merito, preclusa in questa sede - risulta meramente asserita dagli stessi ricorrenti, a fronte del letterale riferimento del primo di tali atti alla non meglio circostanziata nomina di una semplice “coordinatrice operativa della sicurezza ed igiene sul lavoro” e a fronte dell'operatività del secondo di tali atti a partire da una data 11 febbraio 2009 ampiamente successiva al tempus commissi delicti. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.