Confermata la custodia cautelare nei confronti dell’uomo sul cui computer erano state trovate le immagini. Evidente la qualità di fotomontaggi, realizzati utilizzando solo il volto di una ragazza minorenne, ma questo particolare non può azzerare la pesante accusa di pornografia minorile. Soprattutto tenendo presente il peso da attribuire alle immagini pornografiche anche virtuali.
Anche un fotomontaggio può essere decisivo per legittimare la pesantissima accusa di pornografia minorile, dando così corpo alla necessità di ricorrere alla custodia cautelare. Esemplare la valutazione compiuta dai giudici – come da sentenza numero 43156/2012, Terza Sezione Penale, depositata oggi –, che hanno richiamato il ‘capitolo’, sempre più attuale alla luce dell’evoluzione della tecnologia, della pornografia virtuale. Immagini taroccate. A essere decisivo è il ritrovamento, nel personal computer di un uomo, di immagini che ritraggono una minore, in alcuni casi «nuda» e in altri casi «intenta in rapporti sessuali». Evidente la natura pedopornografica del materiale, che spinge il Giudice per le indagini preliminari ad optare per un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell’uomo, ordinanza, poi, confermata anche dal Tribunale. Secondo l’uomo, però, è illogico accusarlo di pornografia minorile. Per una ragione semplicissima le fotografie ‘incriminate’ sono «fotomontaggi che rappresentavano corpi di donna adulta, nudi, con sovrapposto il viso di una ragazza ritenuta essere minorenne». È logico dedurre, sempre secondo l’uomo, che i soggetti raffigurati nelle immagini «non potrebbero essere identificati con la ragazza minorenne». Virtuale batte reale. Effettivamente, riconoscono i giudici di Cassazione, i rapporti sessuali ritratti nelle fotografie «non sono verosimilmente avvenuti con l’effettiva partecipazione della ragazza» ritenuta minorenne. Perché, come emerso dalla vicenda, le immagini analizzate si sono rivelate come fotomontaggi, ove è utilizzato «solamente il volto della ragazza minorenne, che non era stata effettivamente coinvolta in rapporti sessuali». A rigor di logica, quindi, non è plausibile contestare l’accusa di pornografia minorile. Ma, chiariscono i giudici, approfondendo la questione, bisogna assolutamente tener presente il richiamo alle realtà virtuali, previste anche dal codice penale in materia di pornografia. Più precisamente, bisogna tener presente che è punita anche la «produzione di materiale pornografico che rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori o», come in questo caso, «parti di esse». Tale chiave di lettura consente di analizzare meglio la vicenda in esame, di valutare con attenzione i fotomontaggi a contenuto pornografico ritrovati e realizzati «utilizzando il volto di una minore», e di considerare, quindi, fondata la contestazione della pornografia minorile assolutamente legittima, di conseguenza, la custodia cautelare adottata nei confronti dell’uomo, confermata anche dai giudici della Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 luglio – 8 novembre 2012, numero 43156 Presidente De Maio – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 14 febbraio 2012, il Tribunale di Roma ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip dello stesso Tribunale il 28 gennaio 2012, in relazione al reato di cui all’articolo 600 ter cod. penumero , per avere prodotto immagini pornografiche realizzate utilizzando il volto di una minore degli anni 18. 2. - Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto personalmente ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo di impugnazione, la mancanza di motivazione e l’inosservanza dell’articolo 600 ter cod. penumero Rileva il ricorrente che l’ordinanza di custodia cautelare era stata emessa non per la condotta di detenzione di materiale pedopornografico, parimenti contestata, ma unicamente per la produzione di immagini di natura pedopornografica in quanto ritraenti una minore, sempre la stessa, nuda o in alcune foto intenta in rapporti sessuali. Secondo il ricorrente le fotografie ritrovate nel computer altro non erano che fotomontaggi, che rappresentavano corpi di donna adulta nudi con sovrapposto, il viso di una ragazz a ritenuta essere minorenne. I soggetti raffigurati nudi o coinvolti in rapporti sessuali non potrebbero essere identificati, quindi, con la ragazza minorenne, essendo donne adulte, con la conseguenza che la condotta non sarebbe riconducibile alla fattispecie astratta punita dalla norma incriminatrice. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Il Tribunale ritiene che la condotta oggetto di contestazione sia riconducibile alla previsione dell’articolo 600 ter cod. penumero , in quanto essa consiste nella creazione, attraverso un fotomontaggio, di fotografie che di fatto ritraggono il volto di una ragazza di 14 anni in rapporti sessuali. Da quanto affermato dallo stesso Tribunale, si evince, però, che i rapporti sessuali in questione non sono verosimilmente avvenuti con l’effettiva partecipazione della ragazza ritratta nelle fotografie, ma che essi si siano invece svolti - come sostenuto anche dal ricorrente - con la partecipazione di soggetti di sesso femminile diversi dalla ragazza in questione. Allo stato degli atti, deve dunque ritenersi che i fotomontaggi utilizzassero solamente il volto della ragazza minorenne, la quale non era stata effettivamente coinvolta in rapporti sessuali. Ne consegue che - contrariamente a quanto affermato dal Tribunale - la fattispecie non appare riconducibile in via diretta all’ambito di applicazione del richiamato articolo 600-ter, perché tale disposizione punisce la produzione di materiale pornografico con l’utilizzazione di minori degli anni 18 che abbiano effettivamente preso parte a rapporti sessuali o che siano ritratti nudi, in pose che richiamino la sfera sessuale. Nondimeno, l’articolo 600 ter, primo comma, cod. penumero è comunque applicabile in virtù del richiamo ad esso effettuato dal successivo articolo 600 quater1, il quale punisce, fra l’altro, la produzione di materiale pornografico che rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori o parti di esse. È, infatti, questa la condotta attribuita nel caso in esame all’indagato, il quale ha sostanzialmente ammesso di avere realizzato fotomontaggi a contenuto pornografico utilizzando, appunto, un’immagine del volto di una minore. 4. - Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’articolo 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. penumero