Il consenso prestato per la risoluzione è ""mutuo"" e non ""unilaterale""

L’apparente acquiescenza alla cessazione del rapporto di lavoro rileva quale mutuo consenso a condizione che sia provata dal datore di lavoro quella precipua volontà risolutiva idonea a trascendere anche l’imprescrittibilità dell’azione di nullità negoziale.

Il Fatto. Un lavoratore precario del comparto Poste Italiane Spa si rivolgeva al giudice del lavoro, chiedendo una declaratoria di illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato, in virtù della quale il relativo rapporto era durato per soli due mesi ovvero precisamente dal 2/09/1999-30/10/1999. La mancata offerta della prestazione lavorativa e il lungo intervallo di tempo trascorso prima della causa sono interpretati come volontà risolutiva del rapporto. L’epilogo del giudizio di primo grado si caratterizzava per il rigetto dell’azione di nullità del termine spiegata dal lavoratore. In sede di appello la Corte territoriale decideva il gravame, proposto sempre dal lavoratore, confermando il decisum del giudice di prime cure, sul presupposto della cessazione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio per mutuo consenso delle parti medesime, ravvisato nel comportamento quiescente tenuto dal lavoratore che aveva omesso di formalizzare l’offerta della prestazione lavorativa, accettando il trattamento di fine rapporto ed altresì ravvisato nel lungo intervallo di tempo trascorso dalla cessazione del rapporto di lavoro ed il momento della proposizione della domanda giudiziale. La Cassazione controlla il ragionamento operato dai giudici di prime cure. Il lavoratore, ricorrente in sede di legittimità, reclama giustizia dalla Suprema Corte affidando il ricorso a tre motivi di impugnazione. Trova accoglimento innanzi al Supremo Consesso quello relativo all’errores in procedendo commesso dai giudici del gravame con riferimento al difetto di motivazione circa la ricostruzione logico-giuridica degli elementi fattuali da cui gli stessi avrebbero desunto la sussistenza della comune volontà risolutiva del rapporto di lavoro, risolventesi nel c.d. mutuo consenso. La volontà vicendevolmente risolutiva deve essere chiara. E’ consolidato nella giurisprudenza di Cassazione l’orientamento secondo il quale in tema di azione di nullità del rapporto di lavoro per illegittima apposizione del termine, cui consegue la conversione ipso iure del rapporto di lavoro a tempo determinato in un unico ed originario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è configurabile la c.d. risoluzione del contratto per mutuo consenso soltanto laddove, in presenza di elementi fattuali quali la condotta tenuta dalle parti, le modalità della cessazione del sinallagma ovvero delle reciproca corrispettività delle prestazioni, nonché il lasso di tempo trascorso a seguito della conclusione del contratto, è possibile scorgere in maniera inequivoca e senza margine di ragionevole dubbio una chiara e certa volontà vicendevolmente risolutiva. La determinazione nel dettaglio di tali elementi fattuali rientra nel c.d. giudizio sul fatto, come tale riservato ai soli giudici del merito, mentre rimane indirettamente censurabile in sede di legittimità dalla Suprema Corte solamente attraverso l’esame critico della coerenza logico-giuridica di tale ricostruzione operata dai predetti giudici della fase di merito. Nel caso affrontato, è stato chiarito come la mera inerzia del lavoratore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, l’accettazione delle somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto ed ancora la ricerca da parte del medesimo lavoratore di una nuova occupazione per far fronte al proprio sostentamento, non possono rilevare come fatti storici su cui fondare la sussistenza della predetta volontà risolutiva del rapporto. L’onus probandi circa l’eccezione di mutuo consenso compete a parte datoriale. Non solo, ma il corrispondente onere probatorio diretto alla dimostrazione dell’esistenza e/o veridicità dei predetti elementi fattuali è rimessa al datore di lavoro, ovvero alla parte che ha interesse a far valere in giudizio l’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso. L’imprescrittibilità dell’azione di nullità del contratto a termine. Stante l’imprescrittibilità dell’azione di nullità del contratto per l’illegittimità del termine di durata, la mera inerzia del lavoratore a seguito della cessazione del rapporto oppure il lungo lasso o intervallo di tempo trascorso prima della proposizione della relativa domanda di giustizia non denotano alcuna rinuncia da parte del lavoratore ai diritti derivanti dalla predetta nullità del termine e quindi alla tutela delle situazioni soggettive ivi incise negativamente. Il rifiuto di prestare le proprie energie lavorative è sintomatico della volontà abdicativa. Parimenti, l’elemento della mancata offerta di prestazione lavorativa valorizzata dai giudici di appello come circostanza corroborante la volontà abdicativa del lavoratore, merita invece una lettura “a contrario” ossia, l’eventuale volontà risolutiva poteva desumersi dal rifiuto a prestare la propria attività e/o energie lavorativa a seguito dell’invito in tal senso rivolto al lavoratore dal datore di lavoro. Per le ragioni innanzi esposte, contenute peraltro anche in precedenti sentenze rese sempre dalla Suprema Corte, la sentenza di appello è stata cassata con rinvio innanzi alla medesima Corte territoriale in diversa composizione al fine di ricostruire la vicenda fattuale con l’ausilio dei principi sopra esposti, unitamente alla delibazione in ordine alle spese di giustizia comprese quelle relative al giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 marzo – 2 aprile 2012, numero 5240 Presidente Canevari – Relatore Mancino Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 7 luglio 2009 la Corte d'Appello di Salerno rigettava il gravame svolto da I.G. con la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della s.p.a. Poste italiane per la dichiarazione della nullità del termine apposto al contratto stipulato inter partes dal 2.9.1999 al 30.10.1999, per esigenze eccezionali, sul presupposto della risoluzione del rapporto per mutuo consenso. 2. Come si evince dalla sentenza impugnata il lavoratore è stato assunto con contratto a termine con la decorrenza sopra indicata stipulato a norma dell'articolo 8 del ccnl 26 novembre 1994 e, in particolare, in base alla previsione dell'accordo integrativo del 25 settembre 1997 che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell'attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane . 3. La Corte territoriale, premessa la validità della clausola apposta all'unico contratto di lavoro a tempo determinato stipulato tra le parti, riteneva risolto il rapporto il lavoro per mutuo consenso, per intervenuta acquiescenza del lavoratore alla cessazione del rapporto, in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso circa sei anni tra la fine del rapporto e la proposizione della domanda 21 giugno 2006 e tenuto conto sia dell'esigua durata del rapporto di lavoro due mesi , sia della condotta del lavoratore, il quale non aveva messo le energie lavorative a disposizione della società e aveva accertato il T.F.R. senza formulare riserve, nonostante la promozione del tentativo obbligatorio di conciliazione non seguita subito dal deposito del ricorso. 4. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, I.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre morivi, illustrato con memoria ex articolo 378 c.p.c. L'intimata ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 5. Con il ricorso in esame, articolato in tre motivi, il ricorrente, denunciando violazione dell'articolo 1372, primo comma e 2697 c.c., omessa motivazione in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt I e 2 L. 230/1962, dell'art 23 L.56/87 e in relazione alla violazione dell'articolo 8 c.c.numero l. 26.11.1984 e degli accordi sindacali del 1997,1998 e 2001, sul termine di durata del rapporto e vizio di motivazione, contesta, sotto vari profili, l'accertamento dei fatti e l'apprezzamento della loro rilevanza, porsi dalla Corte territoriale a base della decisione. 6. In particolare, con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per l'erroneo accoglimento dell'eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, assumendo che la società non aveva provato le circostanze dalle quali evincere la volontà delle parti di porre fine ad ogni rapportò e si era limitata a dedurre la mera circostanza del decorso del tempo e dell'accettazione del TlR senza riserva, richiedendo accertamento d'ufficio sulla posizione lavorativa nel periodo intercorrente tra la cessazione del rapporto con la società e la proposizione dell'azione. Assume, inoltre, il ricorrente che il tentativo obbligatorio di conciliazione, diversamente da quanto ritenuto dai giudici del gravame, è stato esperito nel maggio 2006 e il ricorso risulta depositato nel successivo mese di giugno. La società, in definitiva, nulla avrebbe provato o chiesto di provare sulle ulteriori circostanze significative che devono affiancarsi all'inerzia del lavoratore, né può assumere rilievo il reperimento di altra occupazione, né dall'accettazione del TFR può desumersi Tacce trazione della risoluzione del rapporto. 7. Il motivo è meritevole di accoglimento. 8. Come più volte affermato da questa Corte cfr, ex plurimis, Cass., 16287/2011, Cass. 23554/2004 , nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto deirillegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto è configurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso ove sia accertata - per il tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto, nonché, per le modalità di tale conclusione, per il comportamento tenuto dalla parti e per altre eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà di porre fine ad ogni rapporto lavorativo la valutazione del significato e della portata di tali elementi compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. 9. Al riguardo è stato, peraltro, reiteratamente affermato che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non può ritenersi sufficiente a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso cfr., ex plurimis, Cass., nnumero 5887/2011 65/2011 26935/2008 20390/2007 . 10. Inoltre la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di rilevare che non appaiono indicative di un'intenzione risolutoria l'accettazione del TFR e la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dall'illegittima apposizione del termine cfr., Cass.15628/2001, in motivazione , ovvero la condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni cfr., Cass.839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass. 15900/2005, in motivazione . 11. Tali principi vanno enunciati anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure é stato precisato, grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v., ex multis, Cass. 27059/2011 . 12. Nella specie la Corte territoriale, confermando la sentenza del primo giudice, non ha correttamente e congniamente ritenuto che Poste italiane, a fronte della deduzione dell'intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso, avesse omesso di fornire, come pure sarebbe stato onere del datore di lavoro, ogni elemento utile, non potendosi arguire dal mero decorso del tempo, dall'accettazione senza riserva del TFR l'intenzione del lavoratore di abbandonare ogni iniziativa giudiziaria riguardo all'illegittimità della apposizione del termine al contratto di lavoro, avuto riguardo, in particolare, all'imprescrittibilità dell'azione di nullità, che esonera il soggetto legittimato a fare valere l'invalidità ed attivarsi entro un determinato limite temporale ovvero di far precedere l'iniziativa giudiziaria da un comportamento significativo della sua volontà di porre nel nulla il contratto. 13. In particolare, quanto al lasso temporale intercorso tra la cessazione del contratto a termine e la proposizione della domanda in sede giudiziaria ha tralasciato di esaminare se il comportamento in questione costituisse solo manifestazione di ordinario atteggiamento di condotta sociale e non anche evidenziazione di un comportamento negozialmente apprezzabile sul piano del comportamento giuridico per la valutazione della mancanza di operatività di un rapporto caratterizzato dal complesso intreccio di molteplici obbligazioni reciproche , quale il rapporto di lavoro, nel senso di vera e propria dichiarazione risolutoria, v., fra le altre, Cass. numero 23114 del 2008 . 14. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, pelle loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa della parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v. ex multis, Cass. 26590/2011 . 15. Né va sottaciuto che è onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare, prima, e provare, poi, le circostanze che si adducono a sostegno della relativa eccezione v., tv mulits, Cass. 2279/2010, Cass. 16303/2010 . 16. Lo stesso Giudice, inoltre, valorizza l'oggettivo silenzio del lavoratore anche quanto all'omessa manifestazione del lavoratore, al datore di lavoro, della volontà di riprendere a lavorare trascurando di considerare l'eventuale rilevanza di tale condotta omissiva solo a fronte di un invito datoriale a riprendere servizio. 17. Tale carenza motivazionale comporta, pertanto, l'accoglimento del motivo in quanto la statuizione è principalmente fondata sul mero decorso del tempo e risulta accompagnata dalla valorizzazione di circostanze, come detto, non suscettibili di essere interpretate come sintomatiche della chiara e certa volontà di entrambe le parti di considerare definitivamente chiuso il rapporto lavorativo. 18. I restanti motivi sono inammissibili perché imperniati su questioni ritenute assorbire dalla Corte territoriale. 19. Per quanto precede, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della impugnata decisione in relazione al morivo accolto e rinvio alla stessa Corte d'appello, in diversa composizione, perché proceda all'esame dei profili motivazionali sopra evidenziaci. 20. Il giudice del rinvio procederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibili gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Salerno, in diversa composizione.