L’operatività della polizza infortuni va valutata in relazione al caso concreto. Senza escludere una responsabilità congiunta dell’appaltante e dell’appaltatore

In presenza di una polizza assicurativa che presenta una clausola ambigua, la stessa deve essere interpretata alla luce della ratio espressa dalla legge in relazione alla quale la polizza è chiamata ad operare.

Nel caso in esame, ravvisato nel contratto di subappalto stipulato tra la società committente e la società appaltatrice una fattispecie di appalto di manodopera vietato dall’articolo 1 della legge 23 novembre 1960, numero 1396, e, quindi, la responsabilità della società interponente con quella appaltatrice per il sinistro verificatosi a danno di un lavoratore, al fine di comprendere se la polizza assicuratrice stipulata dalla società appaltante – che prevedeva il ristoro per l’infortunio sul lavoro subito dai propri dipendenti, a condizione che il lavoratore fosse in regola con gli obblighi dell’assicurazione di legge – possa applicarsi anche allo infortunio subito dal lavoratore interposto, è necessario verificare, tra l’altro, la finalità della polizza in relazione all’infortunio verificatosi, posto che, in particolare, i divieti in tema di interposizione di manodopera hanno certamente la finalità di rafforzare, e non limitare, la tutela del lavoratore. Con l’articolata sentenza numero 7280 depositata l’11 maggio 2012, la Corte di Cassazione si occupa dei problemi derivanti dall’interpretazione di una polizza di assicurazione per infortuni sul lavoro nell’ipotesi di interposizione di manodopera, in relazione all’accertamento della responsabilità del datore di lavoro effettivo e di quello interposto ed in relazione all’operatività della polizza in questione. I fatti di causa. All’origine della sentenza in commento si pone una delicata questione derivante dalla morte sul lavoro del dipendente di una società che, formalmente appaltante, svolgeva in realtà interposizione di manodopera, come successivamente accertato anche in sede penale. In realtà la società appaltante aveva stipulato una assicurazione sia per i propri dipendenti sia verso terzi e, sul presupposto dell’operatività della polizza anche in relazione al lavoratore deceduto, aveva chiesto alla compagnia assicuratrice di essere manlevata dalle conseguenze economiche dell’infortunio. La domanda veniva accolta in primo e rigettata in appello, sul rilievo, da ultimo, che la società in questione non poteva invocare la copertura assicurativa verso terzi in quanto, essendo stato accertato in sede penale un illecito appalto di manodopera tra la stessa e l’appaltatrice, presso la quale era impiegato il lavoratore deceduto, la posizione di quest’ultimo era da ritenersi equiparata a quello di un dipendente dell’appaltante. Del pari, sempre secondo la Corte di appello, non poteva invocarsi la copertura assicurativa stipulata in favore dei propri dipendenti, posto che la stessa era subordinata all’esistenza di un regolare rapporto di lavoro, e tale non può considerarsi quello derivante dall’illecito appalto di manodopera. Avverso tale pronuncia, ricorre per Cassazione il legale rappresentante della società appaltante, nei termini che seguono. L’interposizione di manodopera cos’è? Prima di verificare la soluzione adottata dal S.C., è opportuno premettere alcune annotazioni sul divieto di intermediazione ed interposizione nella prestazione di lavoro, ossia la fattispecie alla base della pronuncia in esame. Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro sancito dall'articolo 1, legge 23 ottobre 1960, numero 1369 - ed abrogato ad opera dell’articolo 85, 1º comma, lett. c , d.lgs. numero 276/2003 ma vigente all’epoca dei fatti in questione e, quindi, ancora applicabile - opera nel caso in cui l'appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione lavorativa, attribuendo all'appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo secondo la giurisprudenza, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, in riferimento agli appalti endoaziendali, caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore - datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione , ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. Si è escluso, peraltro, in relazione a particolari fattispecie, la necessità che l'impresa appaltatrice sia una impresa fittizia, essendo invece sufficiente che la stessa non fornisca una propria organizzazione di mezzi in relazione al particolare servizio appaltato. Del pari, una volta accertata l'estraneità dell'appaltatore all'organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell'esecuzione dell'appalto è del tutto inutile, per quanto qui di rilievo, una disamina sul rischio economico e sull'autonoma organizzazione del medesimo rimanendo, comunque, esclusa da parte dell'appaltatore, per la rilevata estraneità, una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. Le conseguenze dell’interposizione o appalto di manodopera in caso di licenziamento. Nel caso di interposizione di manodopera vietata, il rapporto di lavoro si instaura effettivamente con l’interponente in caso di licenziamento, ad esempio, il licenziamento del lavoratore intimato dal datore apparente o interposto è non solo illegittimo, ma giuridicamente inesistente, con conseguente impossibilità di ratifica da parte dell’interponente, trattandosi di atto proveniente da soggetto estraneo al rapporto lavorativo. La polizza infortuni come interpretarla in caso di appalto di manodopera? La critica operata dal ricorrente muove dalla decisione della Corte di appello che, come visto in precedenza, ha escluso l’operatività della polizza assicurativa per infortuni, non ritenendo il lavoratore infortunato né terzo rispetto alla società appaltante, ma neanche dipendente della stessa. In realtà, la polizza in questione prevedeva, ai fini dell’operatività, che l’assicurato fosse «in regola con gli obblighi di assicurazione di legge» sul punto, però, la Corte di appello non ha indicato le ragioni per cui, da un lato, ha ritenuto di dover equiparare la posizione del dipendente ex lege – come nel caso di specie – per effetto dell’intermediazione di manodopera, a quella dei dipendenti in nero, esclusi dalla assicurazioni sociali. E ciò sul rilievo che il lavoratore deceduto non era affatto in nero, ma assunto formalmente della società appaltatrice secondo il S.C., non si può certo escludere a priori che le due situazioni possano essere equiparate, ma ciò avrebbe richiesto una specifica motivazione, trattandosi di questione tutt’altro che scontata. Peraltro, osservano il Giudici di Piazza Cavour, è da osservare che un’estensione della polizza sarebbe in linea con lo scopo di rafforzare la tutela dei lavoratori, pur ammettendo che una siffatta valutazione comporterebbe valutazioni di merito che, comunque, devono essere operate dalla Corte di appello alla quale rimette la decisione, in diversa composizione. Interposizione di manodopera obbligo solidale per committente ed interposto. Da ultimo, la Cassazione, rimettendo anche per tale valutazione alla Corte di appello, osserva che nell’ambito dei rapporti di interposizione reale, la responsabilità del committente – interponente per l’adempimento degli obblighi del dipendente si aggiunge a quella dell’appaltatore – interposto e datore di lavoro effettivo, senza sopprimerla. Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha ben osservato che, in forza del principio dell’apparenza del diritto, l’intermediario di manodopera è obbligato, al pari dell’utilizzatore effettivo, al pagamento dei contributi previdenziali tuttavia, stante la nullità del contratto d’appalto di manodopera e l’autonomia e non solidarietà dell’obbligo dell’intermediario e dell’utilizzatore, una volta che anche quest’ultimo abbia adempiuto il debito contributivo, il versamento precedentemente effettuato dall’intermediario per il medesimo titolo diviene indebito ed egli ha diritto di ripetere dall’ente quanto versato. Peraltro, nel caso in cui si sia ravvisato un appalto illecito di manodopera, per l’esercizio da parte del personale della cooperativa appaltatrice di prestazioni di lavoro senza un apporto organizzativo, di mezzi e capitali da parte della stessa e con mansioni equiparabili a quelle del personale della società appaltante, il pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro apparente ha valenza satisfattiva nei confronti dell’ente previdenziale. Ed infatti il S.C., nelle pronunce richiamate nella sentenza, ha precisato che in tema di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, è fatta salva l’incidenza satisfattiva di pagamenti eseguiti da terzi ai sensi dell’articolo 1180 c.c., e quindi anche di quelli effettuati dal datore di lavoro apparente, la cui conseguente responsabilità per il pagamento dei contributi previdenziali si aggiunge in via autonoma a quella del datore di lavoro effettivo.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 marzo – 11 maggio 2012, numero 7260 Presidente Finocchiaro – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 4 settembre 2001 A.B. , già amm.re unico della s.r.l. A.B., e quest'ultima società in persona del liquidatore, hanno convenuto davanti al Tribunale di Bergamo la s.p.a. Winterthur, per esserne tenuti indenni da quanto l'A. è stato condannato a pagare a seguito della morte dell'operaio P C. . Il sinistro è avvenuto in occasione dell'esecuzione dei lavori di manutenzione della copertura di un capannone industriale, lavori affidati in appalto ad AB, che a sua volta li ha affidati in subappalto all'impresa Italcantieri di Ca Ge. , alle cui dipendenze lavorava l'infortunato. Il processo penale conseguito all'incidente si è svolto a carico sia del Ge. , sia dell'A. e si è concluso con sentenza 23 novembre 2000 numero 2224 della Corte di appello di Brescia, che ha condannato il Ge. per omicidio colposo ed ha ritenuto l’A. responsabile civile per il sinistro, condannandolo in solido con il Ge. al risarcimento dei danni, avendo ravvisato nel contratto di subappalto una fattispecie di appalto di manodopera, vietato dall'articolo 1 legge 23 novembre 1960 numero 1369 ritenendo quindi la committente AB e per essa il suo amministratore corresponsabile della gestione della sicurezza nel cantiere. L'A. ha chiesto che Winterthur fosse condannata a tenerlo indenne delle conseguenze economiche del sinistro, in virtù della polizza in corso con la società, che prevedeva in favore di AB un'assicurazione per i danni subiti dai dipendenti ed un'assicurazione contro la responsabilità civile per danni a terzi. La polizza specificava, quanto ai dipendenti, che la copertura assicurativa era subordinata alla condizione che il dipendente fosse in regola con gli obblighi dell'assicurazione di legge quanto alla responsabilità civile verso terzi, che non sono considerati terzi i dipendenti dell'assicurato, i subappaltatori e i loro dipendenti e tutti coloro che avessero subito il danno nello svolgimento dei compiti loro spettanti in relazione all'attività coperta da assicurazione. Una clausola integrativa aggiungeva, in parziale deroga, che sono considerati terzi anche per gli infortuni subiti in occasione di lavoro i subappaltatori ed i loro dipendenti, sempre che dall'evento lesivo derivino la morte o lesioni personali gravissime. La compagnia assicuratrice ha resistito alla domanda di indennizzo, eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione ad agire dell'A. , per essere stato il contratto di assicurazione stipulato non dallo stesso personalmente, ma dalla s.r.l. AB., e nel merito l'inoperatività della garanzia, trattandosi di danno verificatosi nei confronti di un soggetto che per effetto dell'accertata intermediazione vietata di mano d'opera è da considerare dipendente dell'assicurato, non in regola con gli adempimenti contributivi ed assicurativi di legge, quindi non coperto dall'assicurazione in favore dei dipendenti e che, per avere subito l'infortunio nell'esecuzione della prestazione di lavoro, non è considerato terzo, né coperto dall'assicurazione contro la responsabilità civile. Il Tribunale di Bergamo ha riconosciuto la legittimazione attiva dell'A. ed ha accolto la domanda attrice, condannando Winterthur a prestare la garanzia. Proposto appello dalla compagnia assicuratrice, la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto ogni domanda, ponendo a carico degli appellati le spese del doppio grado di giudizio. L'A. propone due motivi di ricorso per cassazione. Resiste con controricorso la s.p.a. UG, subentrata a Winterthur, proponendo a sua volta un motivo di ricorso incidentale condizionato. Motivi della decisione 1. La Corte di appello ha respinto le domande del ricorrente con la motivazione che la soc. AB non può invocare la copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi poiché, essendo stato accertato in sede penale un illecito appalto di mano d'opera fra la società assicurata e la Italcantieri di Ca Ge. , la posizione dell'infortunato C. è da ritenere equivalente a quella di un dipendente di AB, ai sensi dell'articolo 1 legge 23 novembre 1960 numero 1369. Neppure può invocare la garanzia assicurativa stipulata in favore dei propri dipendenti, perché essa è subordinata all'esistenza di un regolare rapporto di lavoro, e tale non può considerarsi quello derivante dall'illecito appalto di manodopera. 2. Con il primo motivo, denunciando violazione dell'articolo 654 cod. proc. penumero e insufficiente motivazione, il ricorrente addebita alla sentenza di appello di avere erroneamente ritenuto che la sentenza penale numero 2224/2000 della Corte di appello di Brescia abbia accertato con efficacia di giudicato che il contratto di subappalto intercorso fra AB e Italcantieri avesse ad oggetto la sola manodopera. Assume che il principio è stato affermato come un mero obiter dictum, e che la responsabilità civile gli è stata attribuita per avere interferito nell'attività del cantiere che l'attribuzione alla società committente di responsabilità diretta, quale datrice di lavoro del C. , risulta incompatibile con il fatto che il solo Ge. è stato condannato per omicidio colposo, quale effettivo datore di lavoro. Soggiunge che la sentenza penale non potrebbe comunque esplicare efficacia di giudicato nel presente giudizio, quanto alla prova della posizione soggettiva dell'assicurato, poiché l'ultimo comma dell'articolo 654 cod. proc. penumero , limita l'efficacia della sentenza penale nel giudizio civile ai soli casi in cui la legge non ponga limitazioni alla prova del diritto controverso. Nella specie un tale limitazione deriverebbe dall'articolo 1888 cod. civ., che richiede che il contratto di assicurazione sia provato per iscritto. 2.1. Il motivo non è fondato. Lo stesso ricorrente riporta nel ricorso parte della motivazione della sentenza penale, dalla quale risulta inequivocabilmente che l'accertamento dell'intervenuto sub appalto di manodopera, vietato dall'articolo 1 legge numero 1369/1960, ha costituito premessa logica e giuridica determinante della decisione di condanna dell'A. quale responsabile civile. Si veda a pag. 17-18 del ricorso, il seguente brano della sentenza penale .L'A. , legale rappresentante della società subappaltante, non può essere considerato estraneo alle modalità con cui in concreto si svolgevano le operazioni di manutenzione della copertura del capannone industriale, che anzi proprio costui, in quanto ritenuto ope legis ex articolo 1 ult. comma legge numero 1369/1960 effettivo datore di lavoro delle maestranze ivi occupate, va prioritariamente individuato come soggetto occupante la posizione di garanzia che impone la tutela antinfortunistica, quale fruitore dell'utile economico proveniente dall'organizzazione del lavoro altrui . . La motivazione della Corte di appello circa il carattere vincolante nel giudizio civile del suddetto accertamento non può che essere condivisa. Né tale effetto trova ostacolo nei limiti di prova del contratto di assicurazione di cui all'articolo 1888 cod. civ., poiché la sentenza penale non è stata invocata nel giudizio civile al fine di dimostrare che il contratto di assicurazione aveva un contenuto diverso da quello risultante dal documento scritto ma solo ai fini dell'interpretazione del contratto, così come documentato per iscritto cioè per stabilire se, alla luce dei fatti accertati in sede penale, esso consenta o meno di estendere al caso di specie la copertura assicurativa. Il problema dell'interpretazione è ovviamente diverso da quello della formazione del contratto e della sua documentazione, a cui si riferiscono i limiti all'efficacia civile del giudicato penale di cui al citato articolo 654 cod. proc. penumero . 3. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli articolo 1362, 1366 e 1370 cod. civ. ed insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente assume che la Corte di appello nell'escludere l'applicabilità alla fattispecie della garanzia derivante dall'assicurazione della responsabilità civile verso terzi ha trascurato di prendere in esame il testo letterale della clausola t delle condizioni aggiuntive di polizza, che equipara ai terzi i dipendenti dei subappaltatori, quando dal sinistro siano derivati la morte o lesioni personali gravissime. Il C. era per l'appunto dipendente della subappaltatrice Italcantieri. Contesta poi che la posizione dell'infortunato possa essere equiparata a quella di un dipendente di AB, poiché la sentenza penale ha accertato che i rapporti di lavoro fra Italcantieri ed i suoi dipendenti, ivi incluso il C. , erano effettivi, regolari ed assistiti da tutte le garanzie contributive ed assicurative di legge che se si vuole attribuire efficacia di giudicato alla sentenza penale tale efficacia essa riveste anche quanto ai suddetti accertamenti, da cui deriva che il rapporto di lavoro con il C. non può essere considerato irregolare, quindi sottratto alla garanzia assicurativa, sia perché una tale limitazione non è prevista dalla polizza sia perché nel valutare la regolarità o meno della posizione assicurativa del dipendente devesi avere riguardo al comportamento del datore di lavoro effettivo nella specie, Italcantieri in persona del Ge. , non a quello del subcommittente, quale datore di lavoro ex lege. 3.1. Il motivo è fondato, nei termini che seguono. La sentenza impugnata ha escluso l'operatività della copertura assicurativa in favore del C. sul rilievo che questi è da considerare come dipendente della soc. AB e per essa dell'A. , quindi sottratto alla garanzia per la r.c. verso terzi ma neppure può ritenersi coperto dalla garanzia per i dipendenti poiché la garanzia assicurativa non poteva riguardare i dipendenti assunti illecitamente cfr. sentenza impugnata, p. 10 , essendo derivato il rapporto di lavoro da una fattispecie di illecita interposizione di mano d'opera. Correttamente rileva il ricorrente che la clausola del contratto di assicurazione non menziona la fattispecie, ma solo condiziona la copertura assicurativa dei dipendenti al fatto che l'assicurato sia in regola con gli obblighi di assicurazione di legge , e che la Corte di appello avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui da un lato ha ritenuto di dover equiparare la posizione dei dipendenti ex lege, per effetto dell'intermediazione di mano d'opera, a quella dei dipendenti in nero , esclusi dalle assicurazioni sociali dall'altro lato ha omesso di considerare che il C. non era un dipendente in nero, rispetto ad Italcantieri cioè rispetto al datore di lavoro interposto pur essendosi il rapporto di lavoro istituito in termini anomali nei confronti dell'interponente assicurato. Non si può certo escludere a priori che le situazioni possano essere equiparate, ma ciò avrebbe richiesto specifica motivazione sulle questioni sopra indicate, la cui soluzione è da ritenere tutt’altro che scontata. Quanto al testo letterale della clausola, potrebbero deporre in senso contrario all'estensione al caso di specie della clausola limitativa della garanzia varie considerazioni per esempio quella che la clausola non menziona qualunque forma di irregolarità del rapporto di lavoro, ma solo la mancanza delle assicurazioni di legge , cioè un presupposto che incide sulla delimitazione del rischio assicurato, in quanto le assicurazioni di legge riducono l'eventualità che, in caso di sinistro, la compagnia assicuratrice sia chiamata a rispondere dell'intero danno. Se quindi lo scopo della clausola fosse quello di delimitare il rischio assicurato, la circostanza che il dipendente ex lege per effetto di intermediazione illecita sia coperto dalle assicurazioni sociali ancorché pagate da altri non potrebbe considerarsi irrilevante. Ed ancora, il riconoscimento del rapporto di dipendenza fra l'interponente e i dipendenti dell'interposto, ai sensi dell'articolo 1 legge numero 1369/1960, ha lo scopo di rafforzare la tutela dei lavoratori, non quello di limitarla in particolare per quanto concerne la questione della sicurezza sul posto di lavoro , e l'esclusione della garanzia assicurativa privatamente stipulata dall'interponente in favore dei propri dipendenti non va certo in questa direzione. La Corte di appello ha quindi adottato un'interpretazione per cui il riconoscimento del rapporto di dipendenza ex lege ha l'effetto di restringere le tutele in favore del dipendente infortunato, anziché di ampliarle. Trattasi di soluzione in astratto ammissibile con riferimento a peculiari effetti pur se contrastante con le finalità della legge numero 1369 , ma che richiederebbe adeguata motivazione. Vale a dire, se si fosse trattato di un dipendente di Italcantieri non coperto da alcuna assicurazione di legge, la clausola limitativa della garanzia sarebbe risultata indubbiamente applicabile, trattandosi della fattispecie espressamente contemplata dal testo letterale. La situazione è diversa con riguardo ai lavoratori regolarmente assunti dall'interposto, dei cui diritti l'assicurato-interponente è tenuto a rispondere, ai sensi dell'articolo 1 legge numero 1369/1960. Va tenuto presente che quanto meno nei casi di interposizione reale non meramente fittizia nel rapporto di lavoro, quali sono le fattispecie espressamente menzionate dall'articolo 1 legge numero 1369/1960 è da ritenere che la responsabilità del committente-interponente per l'adempimento degli obblighi nei confronti dei dipendenti si aggiunga a quella dell'appaltatore-interposto e datore di lavoro effettivo, ma non la sopprima. Nel caso di insolvenza del committente interponente, per esempio, non potrebbe certo negarsi ai dipendenti il diritto di agire a tutela dei propri diritti nei confronti dell'interposto . Ragioni di simmetria imporrebbero di affermare che il primo, così come è responsabile nei confronti del personale quale datore di lavoro ex lege per il caso di inadempimento dell'altro, parimenti ha il diritto di avvalersi degli effetti per sé favorevoli dell'adempimento di lui, come del resto la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato In tema d'intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, è fatta salva l'incidenza satisfattiva di pagamenti eseguiti da terzi, ai sensi dell'articolo 1180, primo comma, cod. civ., e quindi anche di quelli effettuati dal datore di lavoro apparente, la cui conseguente responsabilità per il pagamento dei contributi previdenziali si aggiunge in via autonoma a quella del datore di lavoro effettivo , ferma restando la responsabilità di quest'ultimo verso l'ente previdenziale Cass. civ. Sez. Lav. 21 dicembre 2011 numero 28061 Idem, 16 gennaio 2012 numero 463. Cfr. anche Cass. civ. Sez. Lav. 15 novembre 2011 numero 23844 . Né si può in linea di principio escludere, senza adeguata motivazione, che ciò possa avvenire anche per quanto concerne il perfezionamento della fattispecie a cui è subordinata la garanzia assicurativa privata. Di questi problemi la Corte di merito non si è data carico, sicché la motivazione non appare sufficiente, né adeguata, a giustificare la decisione. Le ulteriori censure risultano assorbite. 4. L'accoglimento del ricorso principale impone di esaminare il ricorso incidentale condizionato. Con l'unico motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto essersi formato il giudicato sulla legittimazione attiva dell'A. , per non essere stato proposto appello contro il capo della sentenza di primo grado che ha così deciso. Assume che non si trattava di un capo autonomo, nei confronti del quale fosse necessario proporre specifica impugnazione né si trattava di eccezione in senso proprio, perché afferente alla negazione della titolarità del rapporto, costituente mera allegazione difensiva volta a contestare il fondamento della domanda attrice. 4.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, anche ai sensi dell'articolo 366 numero 6 cod. proc. civ., poiché la ricorrente né ha riprodotto nel ricorso l'esatto tenore della sentenza di primo grado e dell'atto di appello, nelle parti rilevanti ai fini dell'illustrazione del motivo salvo poche righe, non significative se avulse dal contesto né ha dichiarato di avere prodotto in questa sede, anche in allegato al suo fascicolo di ufficio, i predetti documenti, indicando come essi siano contrassegnati e dove siano reperibili fra gli altri atti e documenti di causa, si da permettere a questa Corte di verificarne e valutarne il contenuto, alla luce delle argomentazioni difensive, come prescritto a pena di inammissibilità dal citato articolo 366 numero 6, con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda cfr. fra le tante, Cass. Civ. Sez. 3, 12 dicembre 2008 numero 29279 Cass. civ. S.U. 25 marzo 2010 numero 7161 . In ogni caso, la stessa ricorrente ammette che la sentenza impugnata si è pronunciata sul punto, ritenendo sussistente la legittimazione, pur se con motivazione a suo dire insufficiente. Tanto basta a dimostrare che la parte interessata avrebbe dovuto specificamente impugnare quella statuizione con l'atto di appello, non potendosi lasciare nell'incertezza e nell'ombra l'efficacia giuridica di un'affermazione giudiziale su di un aspetto di tale importanza. Il motivo risulta quindi comunque infondato. 5. Deve essere ^aà& amp & amp ir accolto il secondo motivo del ricorso principale, mentre vanno rigettati il primo motivo e il ricorso incidentale. La sentenza impugnata è annullata, in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, affinché riesamini la controversia e proceda all'interpretazione del contratto di assicurazione e delle sue clausole, con congrua e completa motivazione, tenendo conto di tutti i principi di legge in materia articolo 1362 ss. cod. civ. , ed in particolare della necessità di coordinare il significato del testo letterale con lo scopo perseguito dalle parti, in relazione alla natura del rischio assicurato, agli effetti conseguenti all'una od all'altra interpretazione ed alla loro conformità alle finalità perseguite dalla legge nel dettare condizioni e presupposti della regolare formazione dei rapporti di lavoro, e ad ogni altra circostanza specificando in particolare a se, agli effetti della garanzia assicurativa in favore dei dipendenti, i rapporti di lavoro acquisiti dall'assicurato ai sensi dell'articolo 1 legge numero 1369/1960 debbano essere indiscriminatamente equiparati ai rapporti illecitamente costituiti senza il rispetto degli obblighi di legge in materia assicurativa, previdenziale, ecc, o se si debba avere riguardo alle peculiari circostanze del caso, ed in particolare alla regolarità o meno della posizione dei dipendenti nei confronti dell'imprenditore interposto ed al fatto che questi abbia regolarmente adempiuto alle prestazioni assicurative di legge b se il committente-interponente possa avvalersi delle prestazioni assicurative eseguite dall'interposto, pur restando obbligato anche in proprio verso l'ente previdenziale, anche agli effetti della copertura assicurativa privata, o se ciò debba escludersi, e per quali ragioni. Salva restando al giudicante ogni ulteriore valutazione circa i criteri interpretativi da adottare. 6. Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte di cassazione, decidendo i ricorsi riuniti, accoglie il secondo motivo del ricorso principale rigetta il primo motivo e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.