Compiere atti riservati in via esclusiva a soggetti in possesso di speciale abilitazione è reato, ma, per la configurazione dell'abuso di professione, basta espletare quelli strumentalmente collegati? Parola alle Sezioni Unite.
La Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 36951/2011 depositata il 13 ottobre, ha rimesso alle Sezioni Unite Penali il compito di individuare le attività tipiche del commercialista e del ragioniere.La fattispecie. Truffa continuata, falsità materiale continuata ed esercizio abusivo della professione, per aver illegittimamente esercitato la professione di dottore commercialista questi i reati per cui un professionista viene condannato a 2 anni di reclusione e 300 euro di multa dalla Corte d'appello.Serve l'iscrizione all'albo anche per la compilazione di atti caratteristici . I giudici di merito hanno condannato l'imputato basandosi su un restrittivo orientamento della S.C. sent. numero 49/2003 , secondo cui, ai fini della configurazione del reato di esercizio abusivo della professione articolo 348 c.p. , non sono rilevanti solo gli atti riservati ai soggetti in possesso di speciale abilitazione, ma anche quelli collegati strumentalmente a questi, compiuti, però, in modo continuativo e professionale.Per l'altro orientamento, invece, è lecito tutto ciò che non è vietato. L'imputato ricorre per cassazione facendo valere, tra i motivi del ricorso, un orientamento di legittimità totalmente contrapposto a quello citato dai giudici territoriali. Secondo tale orientamento sent. numero 13124/2001 , infatti, non integra l'elemento oggettivo del reato di esercizio abusivo della professione la compilazione dei redditi e dell'iva, non rientrando tale attività tra quelle espressamente riservate a commercialisti e ragionieri, previste dall'Ordinamento della professione di dottore commercialista articolo 1 d.p.r. numero 1067/1953 .Per il momento, dunque, non è chiaro quale sia l'orientamento prevalente, ecco perché il conflitto viene rimesso, dagli stessi Ermellini, alle Sezioni Unite.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 settembre - 13 ottobre 2011, numero 36951Presidente Garibba - Relatore IppolitoRitenuto in fatto e considerato in diritto1. La Corte d'appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna alle pena di due anni di reclusione e 300 Euro di multa, inflitta dal locale Tribunale a L C. per i reati di truffa continuata articolo 81 cpv., 640 e 61 numero 11 c.p. , falsità materiale continuata articolo 81 cpv., 482 e 476 c.p. , abusivo esercizio di una professione articolo 348 c.p. , per avere abusivamente esercitato la professione di dottore commercialista.2. La condanna per quest'ultimo reato è fondata sull'orientamento di questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 348 c.p. abusivo esercizio di una professione , sono atti rilevanti non solo quelli riservati, in via esclusiva, a soggetti dotati di speciale abilitazione, c.d. atti tipici della professione, ma anche quelli c.d. caratteristici, strumentalmente connessi ai primi, a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, in quanto, anche in questa seconda ipotesi, si ha esercizio della professione per il quale è richiesta l'iscrizione nel relativo albo. Ne consegue che le attività contenute nella seconda parte della previsione di cui all'arti del D.P.R. 27 ottobre 1953, numero 1068 che disciplina l'ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale che sono tipiche, e cioè riservate solo ai ragionieri e periti commerciali, non sono le sole rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 348 c.p., in quanto esse comprendono anche quelle relativamente libere previste nella prima parte del succitato articolo 1 D.P.R. numero 1068 del 1953 le quali integrano, comunque, l'esercizio della professione se poste in essere in modo continuativo, sistematico, organizzato e presentate all'esterno come provenienti da professionista, qualificato tecnicamente e moralmente e richiedono pertanto l'iscrizione nell'albo professionale Cass. Sez. 6 n 49/2003, rv. 223215, Notaristefano .3. Ricorre per cassazione l'imputato che deduce, innanzitutto, l'erronea applicazione dell'articolo 348 c.p., richiamando altro indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non integra l'elemento oggettivo del reato di esercizio abusivo di una professione articolo 348 c.p. la compilazione delle denunce dei redditi e dell'IVA, atteso che queste attività non rientrano tra quelle riservate ai dottori commercialisti, e ai ragionieri ai sensi dell'articolo 1, lett. a , legge 28 dicembre 1952, numero 3060 e dell'articolo 1 d.p.r. 27 ottobre 1953, numero 1067, dovendo considerarsi vietate solo quelle che, in deroga al principio costituzionale della libera esplicazione del lavoro sono riservate - da un'apposita norma - alla professione considerata Cass. Sez. 6, numero 13124/2001, Meloni, rv 218306 .4. Effettivamente nella giurisprudenza di questa Corte, sussiste un risalente e non risolto contrasto tra due opposti filoni, già segnalato con relazione dell'Ufficio del Massimario numero 16/2003, redatta a seguito del deposito della sentenza Notaristefano sopra indicata, relazione che ha indicato le diverse sentenze espressive dei due indicati indirizzi.5. Successivamente a quella data non sono intervenuti significati ulteriori interventi giurisprudenziali utili per la soluzione del contrasto, per cui al Collegio appare necessario rimettere la decisione della questione alle Sezioni unite, tanto più che il ricorrente assume a fondamento della corretta applicazione dell'articolo 348 c.p. proprio l'orientamento giurisprudenziale non seguito dai giudici di merito.P.Q.M.La Corte rimette la decisione del ricorso alle Sezioni unite.