La merce rubata occultata in una tasca “ad hoc”: sussiste l’aggravante del mezzo fraudolento

L’occultamento della merce rubata all’interno di una tasca appositamente predisposta è sufficiente ad integrare la ricorrenza della circostanza aggravante dell’uso del mezzo fraudolento.

Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza numero 54691/17, depositata il 5 dicembre. Il furto negli esercizi commerciali. L’argomento che oggi affrontiamo riguarda un fenomeno criminale niente affatto insolito il piccolo furto nei negozi. Supermercati e grandi magazzini sono gli esercizi commerciali più soggetti a subirne le conseguenze il cliente entra, è libero di gironzolare – spesso indisturbato – tra gli scaffali in cui la merce è esposta con invitante abbondanza. Si osserva, si soppesa il prodotto e con fulminea mossa lo si fa sparire all’interno di una borsa o, più frequentemente, lo si nasconde addosso. I più avvezzi a questa deprecabile pratica riescono persino a neutralizzare i dispositivi antitaccheggio placche, etichette magnetiche, eccetera, vengono rimosse in modo tale da non fare scattare i sistemi di allarme solitamente collocati all’uscita, immediatamente dopo le casse. C’è, in proposito, una letteratura giuridica sterminata, specialmente sul punto della sussistenza delle aggravanti che normalmente “assistono” la contestazione-base di furto. Nel caso oggetto della sentenza in commento due signore vengono sorprese a rubacchiare dentro un non meglio precisato negozio tratte a giudizio, vengono condannate in primo e secondo grado dalla lettura della motivazione comprendiamo che la scelta del rito è stata quella del giudizio abbreviato, preceduto da una piena ammissione di responsabilità. Il ricorso per cassazione, invece, si concentra sulla critica alla ritenuta ricorrenza dell’aggravante del mezzo fraudolento. La tasca fa l’uomo ladro. La rielaborazione del noto proverbio si giustifica con lo stratagemma adoperato per porre a segno la condotta furtiva oggetto del processo una tasca appositamente studiata per nascondervi la refurtiva. Ai giudici di merito questo accorgimento basta e avanza per ritenere integrata la circostanza aggravante dell’uso del mezzo fraudolento e gli Ermellini, di fronte alla censura delle imputate, alzano un muro l’aggravante c’è eccome. La ragione di questa conclusione risiede nel significato intrinseco della circostanza in esame. Lo scopo che essa mira a perseguire è quello di stigmatizzare, punendola più severamente, la condotta di chi non si limita a rubare ma lo fa adoperando qualsiasi stratagemma idoneo ad aggirare le misure di “autodifesa” del patrimonio, anche inducendo in errore il soggetto passivo del reato. Il confine tra il furto e la truffa. L’ultima nostra osservazione offre il destro per una riflessione di carattere generale il mezzo insidioso adoperato dall’autore di un furto per garantirsi una buona riuscita dell’azione criminosa ha refluenze sulla qualificazione giuridica del fatto? Può comportare uno spostamento in avanti prendendo come punto di riferimento la numerazione del codice penale dello sguardo del giurista fino alla fattispecie di truffa? Chiaramente la questione non è affatto soltanto accademica un furto aggravato è perseguibile d’ufficio mentre la truffa semplice è soggetta alla condizione di procedibilità della querela di parte. In realtà, l’individuazione della norma incriminatrice corretta presuppone l’esatta caratterizzazione dell’atto appropriativo. Nella truffa è necessario che la vittima sia indotta in errore e che, in un certo senso, “collabori” per far conseguire al truffatore il conseguimento del vantaggio ingiusto. Nel furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, invece, l’appropriazione è pur sempre conseguente ad un gesto unilaterale da classificare giuridicamente come violento proprio perché esso viene subìto passivamente dalla vittima l’accorgimento insidioso, in questo caso, serve soltanto a rendere più facile la commissione del reato. Insomma, tempi duri per chi continua a praticare questo genere di furtarelli.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 novembre – 5 dicembre 2017, numero 54691 Presidente Sabeone – Relatore Calaselice Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza deliberata, all’esito del giudizio abbreviato, in data 12 novembre 2015, il Tribunale di Como dichiarava R.E.M. e H.J. colpevoli del reato di cui agli articolo 110, 624, 625, comma 1 numero 2 e 7, cod. penumero , con la recidiva specifica reiterata per entrambe, condannando le stesse, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed alla recidiva, alla pena ritenuta di giustizia. 2. Investita del gravame delle imputate, la Corte di appello di Milano con l’impugnata sentenza, ha confermato la pronuncia impugnata. 3. Avverso la decisione della Corte d’appello di Milano, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione le imputate personalmente articolando, nei due ricorsi trasmessi separatamente, i medesimi motivi di seguito enunciati, nei limiti di cui all’articolo 173, comma 1, disp. att. cod. proc. penumero 1 il vizio di cui articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero per essere la motivazione insufficiente 2 il vizio di cui all’articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero in relazione alla mancata concessione delle generiche. 3.1. Con il primo motivo si deduce che la sentenza è priva di motivazione circa l’ascrivibilità del fatto alle imputate e che le giustificazioni offerte dalla Corte territoriale non consentono di reputare la sussistenza dell’aggravante dell’uso di un mezzo fraudolento, non integrata dalla condotta di chi appone la merce sottratta all’interno di una tasca del proprio abbigliamento, non risultando sufficientemente articolate le ragioni che avevano condotto la Corte di appello a superare le censure mosse alla sentenza di primo grado su tale punto. 3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che la Corte territoriale avrebbe offerto, circa il diniego delle generiche, una motivazione apparente, che non aveva tenuto conto della censura mossa alla sentenza di primo grado dalle appellanti, circa la grave difficoltà economica in cui versavano le imputate e la scarsa offensività del reato. 4. I ricorsi sono inammissibili. 4.1. I ricorsi per cassazione sono stati proposti personalmente, facendo pervenire all’autorità giudiziaria due distinti atti di impugnazione, fondati sui medesimi motivi, trasmessi a mezzo raccomandata entrambi i ricorsi risultano sottoscritti a nome di ciascuna ricorrente, con elezione di domicilio presso il difensore, senza autentica della firma apposta in calce agli stessi. È noto che l’articolo 583 cod. proc. penumero prevede la facoltà di presentare impugnazione con atto da trasmettere a mezzo raccomandata alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ma in tal caso la sottoscrizione deve essere autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore come prevede il comma 3 dell’articolo citato . Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha affermato che nel caso di ricorso per cassazione proposto personalmente dall’imputato e trasmesso a mezzo posta, la funzione di autenticazione della firma dell’impugnante spetta soltanto al difensore autorizzato ad esercitare innanzi al giudice di legittimità Sez. U., numero 8141 del 29/05/1992, Caselli, Rv. 191180 Sez. F., numero 53 del 30/08/2016, Bianchi, Rv. 267943 Sez. 5, numero 12165 del 05/02/2002, Bello, Rv. 221898 Sez. 6, numero 188 del 08/10/1993, Paulovic, Rv. 197227 , autentica mancante nella specie. 4.2. In ogni caso si osserva che ci si trova di fronte ad una doppia conforme affermazione di responsabilità e che, in tale ipotesi, è pienamente ammissibile la motivazione di appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, posto che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengono elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi. Le due pronunce in tale ipotesi, si integrano formando una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per valutare la congruità della motivazione, completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze della pronuncia di appello. Nella specie poi la Corte territoriale non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha risposto punto per punto alle doglianze proposte con il gravame. Le motivazioni quindi, si saldano in un unico iter argomentativo, che non viene contraddetto dalle censure mosse dalle ricorrenti le quali, anzi, ripropongono nei ricorsi, per la maggior parte, gli stessi motivi devoluti con l’appello e respinti in secondo grado, con logica ed esauriente motivazione. In particolare le sentenze di merito sottolineano l’intervenuta confessione dell’addebito, circostanza che rende manifestamente infondata la dedotta carenza di motivazione circa la riferibilità del fatto alle imputate. Inoltre la Corte di appello ha chiarito che l’allocazione di una sacca interna ai propri indumenti appositamente predisposta, che ha consentito di portare via la merce senza destare sospetto, costituisce quid pluris necessario e sufficiente ad integrare l’aggravante contestata, trattandosi di mezzo insidioso, idoneo a far attenuare l’attenzione del possessore del bene nella difesa nel patrimonio, al fine di consentire la consumazione del delitto senza destare sospetti. La motivazione offerta è, dunque, congrua e logica ed in linea con il consolidato principio di diritto affermato in proposito da questa Suprema Corte, quanto alla sussistenza dell’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento Sez. U, numero 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974 Sez. 4, numero 8094 del 29/01/2014, Pisani, Rv. 259288 Sez. 4, numero 10134 del 19/01/2006, Baratto, Rv. 233716 . 4.3. Quanto al secondo motivo, risulta che le generiche sono state concesse dal giudice di primo grado, con giudizio di equivalenza, mentre con i ricorsi si contesta genericamente il diniego del beneficio da parte della Corte territoriale. Con riferimento alla richiesta di prevalenza delle generiche disattesa dal giudice di appello, si osserva che la Corte territoriale, con motivazione congrua ed esente da vizi logici, ha dato rilievo ai numerosi precedenti, reputati ostativi rispetto ad un giudizio di bilanciamento più favorevole, pur considerando le ragioni prospettate dalle appellanti fondate, nei motivi di gravame, soltanto sullo scarso valore della merce e sulla confessione. Detto giudizio, come è noto, implica una valutazione discrezionale tipica del merito, che sfugge al sindacato di legittimità ove, come nella specie, non risulti frutto di mero arbitrio e sia sorretto da sufficiente motivazione Sez. U, numero 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 . Infine nulla è dedotto nei motivi di appello circa le condizioni economiche delle imputate, esame richiesto per la prima volta con il ricorso per cassazione, quindi, inibito ai sensi dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. penumero . 5. L’inosservanza dell’articolo 583 cod. proc. penumero comporta la declaratoria d’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 591, comma 1 lett. c , cod. proc. penumero . Ne consegue che non può essere pronunciata condanna alle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, mancando la certezza, stante l’assenza di autentica delle sottoscrizioni, che le impugnazioni siano state proposte dalle imputate Sez. 2, numero 29162 del 9/04/2013, Gorgoni, Rv. 256062 Sez. 6, numero 38141 del 24/09/2008, Imperiale, Rv. 241265 . P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi.