La scusa della “crisi economica” non basta, il versamento dell’IVA prima di tutto

Il legislatore, nel sanzionare penalmente l’omesso versamento dell’IVA, se di importo superiore alla soglia di legge, antepone il versamento stesso a qualsiasi altra scelta imprenditoriale, quali ad esempio il pagamento di stipendi, fornitori e pregressi debiti erariali, privilegiando così il pagamento dell’IVA.

Così il Collegio di legittimità con sentenza n. 39500/17 depositata il 29 agosto. Il caso. La Corte d’Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale con cui l’imputato veniva condannato per omesso versamento dell’IVA. Quest’ultimo, in qualità di legale rappresentante, ricorre per cassazione lamentando il fatto che la Corte territoriale aveva ritenuto non provate le circostanze di fatto da lui dedotte a giustificazione del mancato versamento dell’IVA, circostanze che avevano a che fare con un contesto di crisi economica in corso da diversi anni. La scusa della crisi economica non regge. Gli Ermellini, ritenendo corretta la valutazione dei Giudici di merito circa il fatto che il ricorrente, non essendosi trattato di una crisi economica improvvisa o imprevedibile, avrebbe dovuto dedurre argomenti decisivi a confutazione del giudizio, affermano l’infondatezza del ricorso. In tal senso, la Corte ribadisce che, come ha giustamente spiegato la Corte d’Appello, l’IVA è un’imposta percepita da terzi ma da versare all’Erario, sicché è dovere dell’imprenditore operare la scelta del rinvio del versamento in un quadro di ragionevolezza che, salvo eventi imprevedibili, sia tale da far ordinariamente presumere che il versamento, con l’aggiunta dei previsti interessi, possa sempre posticipatamente avvenire . Pertanto, qualora tale ragionevolezza sia esclusa, l’imprenditore che decide di non versare l’IVA deve assumersi coscientemente e dolosamente il rischio. L’IVA prima di tutto. Inoltre, prosegue la Cassazione, nel sanzionare penalmente l’omesso versamento dell’IVA a debito, se di importo superiore alla soglia di legge, il legislatore antepone il versamento stesso a qualsiasi altra scelta imprenditoriale, privilegiando così il pagamento dell’IVA. Nella specie, la S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 aprile 29 agosto 2017, n. 39500 Presidente Savani Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 31.3.2016, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo in data 17.6.2015 che aveva condannato alla pena di legge C.D.A. , per il reato di cui all’art. 10 ter, d.Lgs. 74/00, perché, in qualità di legale rappresentante della S.r.l., non aveva versato entro il 27.12.2011 l’IVA relativa all’anno 2010 per l’ammontare complessivo di Euro 386.903,00, in omissis . 2. Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., perché la Corte territoriale, da un lato, aveva affermato che non risultavano provate in fatto le circostanze da lui dedotte a giustificazione del mancato versamento dell’IVA 2010 e, dall’altro, aveva motivato tale tesi estrapolando dai bilanci dati del tutto inconferenti. Espone che l’omissione dell’IVA era dipesa da due fattori assolutamente imprevedibili, in un contesto di crisi economica già in corso da diversi anni il venir meno del più importante cliente, omissis , e le dimissioni di circa 40 dipendenti assorbiti proprio da quest’ultima società. Pertanto, non solo la sua società si era trovata improvvisamente priva degli introiti del suo principale cliente, ma si era inaspettatamente dovuta far carico di rilevanti importi per il trattamento di fine rapporto, le tredicesime e le ferie non godute. Il combinato disposto di questi due fattori aveva portato a fine 2011 un ammanco di circa 400.000 Euro. La Corte territoriale aveva ritenuto, dai bilanci, che al 31.12.2011 il passivo della società si era ridotto ad Euro 19.398,00 a fronte di Euro 35.204,00 al 31.12.2010, ma era incappata in un grossolano errore perché gli importi citati riguardavano i risultati di esercizio e non il passivo che era passato da Euro 1.443.523 ad Euro 1.234.262. Inoltre, la Corte territoriale aveva affermato che era vero che il fatturato era calato tra il 2010 ed il 2011 ma proporzionalmente erano calati anche i costi, con uno sbilancio a favore dell’impresa di Euro 58.297,00. Tale importo rappresentava in realtà la differenza tra il valore ed i costi della produzione, in calo rispetto all’anno prima, ma questa circostanza non era da sola idonea ad escludere rigidità finanziarie improvvise ed imprevedibili. Su tale eventualità incidevano anche le gestioni finanziarie straordinarie ed il carico fiscale, tutti fattori che i Giudici d’appello non avevano considerato. In ogni caso, al di là delle analitiche osservazioni della Corte territoriale, ciò che rilevava era che, a fronte del buco di bilancio, era del tutto illogico sostenere che il calo dei costi per poche decine di migliaia di Euro potesse in qualche modo controbilanciare il dato inequivocabile della perdita di Euro 400.000 di fatturato. Né la Corte d’Appello aveva preso in considerazione gli argomenti difensivi sulla repentinità della crisi. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c , c.p.p., perché la Corte territoriale non aveva seguito l’orientamento di legittimità secondo cui la colpevolezza poteva essere esclusa qualora l’imputato avesse dimostrato che la crisi di liquidità, intervenuta al momento della scadenza del termine per la dichiarazione annuale relativa all’esercizio precedente, non fosse a lui imputabile, e che non potesse essere altrimenti fronteggiata con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale. La Corte territoriale non aveva valutato l’esigibilità in concreto della prestazione. Chiede, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata con le disposizioni consequenziali. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. 3.1. Al di là della correttezza o meno della lettura dei bilanci, ciò che rileva è che la Corte territoriale ha ritenuto che la crisi non sia stata improvvisa ed imprevedibile e, sul punto il ricorrente non ha dedotto alcun argomento decisivo a confutazione del giudizio. La Corte d’Appello ha spiegato che l’IVA è un’imposta percepita da terzi, ma da versare all’Erario, sicché è dovere dell’imprenditore operare la scelta del rinvio del versamento in un quadro di ragionevolezza economica che, salvo eventi imprevedibili, sia tale da far ordinariamente presumere che il versamento, con l’aggiunta dei previsti interessi, possa sempre posticipatamente avvenire. Laddove tale ragionevolezza sia esclusa, l’imprenditore assume coscientemente e dolosamente il rischio di non ottemperare al versamento del dovuto. Nel sanzionare penalmente l’omesso versamento dell’IVA a debito, se di importo superiore alla soglia di legge, il legislatore ha inteso anteporre il versamento stesso a qualsiasi altra scelta imprenditoriale - pagamento di stipendi, fornitori, pregressi debiti erariali - privilegiando quindi il pagamento dell’IVA, scelta che risponde a criteri di priorità non sindacabili in questa sede e che non viola norme di rango costituzionale. 3.2. Orbene, il ricorrente, dopo aver enunciato i principi di carattere generale sulla valutazione dell’inesigibilità della condotta, non si è confrontato criticamente con la motivazione della sentenza impugnata e non ha dedotto argomenti convincenti in merito alle scelte imprenditoriali compiute per giustificare l’omesso versamento dell’IVA. Pur dando atto cha la giurisprudenza richiede in questi casi anche la dimostrazione del ricorso o dell’impossibilità di ricorso a risorse finanziarie proprie, si è limitato a riportare uno stralcio delle dichiarazioni di una teste, la quale ha affermato che il loro miglior cliente aveva deciso di vendere ad una cordata americana, che i dipendenti erano passati ad altra società con diminuzione del fatturato, nonché a contestare la lettura dei bilanci da parte della Corte territoriale. Non ha invece allegato, se non genericamente, la repentinità della crisi, né ha indicato le misure prese per fronteggiarla. Insomma, non ha dedotto alcun elemento che abbia potuto convincere la Corte territoriale che la prestazione del versamento dell’IVA fosse inesigibile nelle condizioni in cui si trovava non per sua colpa. 3.3. Il ricorso va pertanto rigettato con condanna del ricorrente alla refusione delle spese di lite. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.