Quale sorte per il sequestro per equivalente nel caso di avvenuto pagamento rateale del debito tributario?

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione.

Questo il principio affermato dalla sez. III della Cassazione nella sentenza numero 25339, depositata il 17 giugno 2015. Una querelle mai sopita. Definitivamente acclarata in dottrina ed in giurisprudenza la natura essenzialmente sanzionatoria del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, stabilita dunque la siderale distanza di detta moderna forma di confisca dalle ipotesi originarie previste nel codice penale, che si atteggiavano quali misure di sicurezza con conseguente affermazione della necessaria sussistenza di un nesso di pertinenzialità fra le res oggetto del provvedimento ablativo ed il fatto di reato – nesso oggi radicalmente negato per il sequestro per equivalente –, non tutte le problematiche relative a detto fenomeno possono dirsi risolte. Anzi, proprio l’avvenuto esplicito riconoscimento della natura sanzionatoria di tale ipotesi di confisca aveva indotto una giurisprudenza rigoristica ad affermare l’assoluta irrilevanza dell’avvenuto, parziale o totale, pagamento del debito tributario al fine del mantenimento del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca. Come noto, infatti, il pagamento del debito tributario successivamente al perfezionarsi della fattispecie di reato non estingue il reato, non evita dunque l’irrogazione delle sanzioni conseguenti alla commissione dell’illecito penale, ma rileva come mera circostanza attenuante. Sulla base di tale premessa e della natura sanzionatoria della confisca per equivalente, si era negato rilievo all’avvenuto pagamento del debito tributario al fine di escludere o limitare detta misura. La questione si pone con particolare frequenza in occasione di avvenuta stipula di un accordo da parte del contribuente per il pagamento rateale del debito tributario – da cui origina la contestazione penale – e di contestuale sopravvenienza di un sequestro per equivalente finalizzato alla confisca. Le possibili diverse soluzioni. Come già si è avuto modo di affermare, la giurisprudenza più punitiva, proprio argomentando dalla natura sanzionatoria della confisca, escludeva ogni possibile rilevanza all’adempimento del debito tributario successivo al perfezionarsi del reato e dunque, a maggior ragione, anche alla avvenuta stipula di un accordo per il pagamento rateale del debito tributario. In senso opposto, si era affermato che l’avvenuta rateizzazione del debito tributario non potrebbe essere ritenuta irrilevante a fronte di un sequestro preventivo, qual è quello per equivalente. L’avvenuta rateizzazione del debito ed il pagamento delle rate previste, sostengono i fautori di questa più garantista impostazione, farebbero venire meno l’esigenza propria del sequestro preventivo per equivalente, venendo meno ogni finalità cautelare. Sicuramente assente, a fronte della avvenuta rateizzazione e del pagamento delle rate, il pericolo che la libera disponibilità del denaro possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare il compimento di altri reati e, dunque, l’unico pericolo che il sequestro preventivo mira ad evitare. Si rileva, altresì, come l’avvenuto pagamento dell’imposta eliderebbe ogni offesa all’interesse patrimoniale dello Stato con la conseguente assoluta inutilità della adozione di ogni misura cautelare reale. Il caso di specie. Nella vicenda oggetto della pronuncia della Cassazione, nata da una contestazione di omesso versamento di IVA, si confrontano proprio le due contrapposte tesi appena enucleate. Il Tribunale di Chieti, in sede di riesame, aveva infatti avallato l’orientamento più rigoroso, affermando l’assoluta irrilevanza dell’avvenuto e documentato accordo per il pagamento rateale, come del pagamento di talune di dette rate, poiché, stante la natura sanzionatoria della confisca cui il sequestro per equivalente è finalizzato, l’esistenza di un danno per l’amministrazione finanziaria dello Stato o l’avvenuto parziale od integrale risarcimento dello stesso non avevano alcuna incidenza sulla legittimità del sequestro medesimo. Avverso detto principio si levano le doglianze del ricorrente che, per contro, fa proprie le argomentazioni dell’orientamento più garantista che sopra abbiamo già, seppur per brevi e sommi capi, tratteggiato. Le osservazioni della Corte. Gli Ermellini non hanno remore nel riconoscere l’evidente erroneità del principio giuridico affermato dal Tribunale di Chieti. Ciò non importa, tuttavia, che la Cassazione accolga l’impostazione fatta propria dal ricorrente, che anzi viene esplicitamente smentita laddove ritiene sufficiente l’intervenuto accordo di pagamento rateale del debito tributario. La Corte afferma, infatti, l’esatto contrario e cioè che solo l’adempimento completo dell’obbligazione tributaria fa venire meno la ragione giustificativa della misura ablatoria, non rilevando pertanto, ai fini della revoca della misura, la mera intervenuta rateizzazione del pagamento del debito. Tuttavia, precisa la Corte, ciò non significa che la stipula dell’accordo ed il progressivo pagamento delle rate in scadenza abbiano solo rilevanza amministrativa e nessun effetto sul piano penale. Anzi, osserva la Cassazione, se a fronte del pagamento, seppure parziale, del debito erariale il sequestro preventivo fosse mantenuto nel suo quantum iniziale, si ingenererebbe una inaccettabile duplicazione sanzionatoria che comporterebbe una confisca per un importo superiore al profitto derivato dal fatto di reato. La via mediana tracciata dalla Cassazione. Le argomentazioni sopra tratteggiate portano gli Ermellini ad adottare una impostazione intermedia rispetto alle due contrapposte tesi del ricorrente e del Tribunale di Chieti. Secondo la Corte, infatti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e lo Stato per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione. Se, infatti, alla progressiva riduzione del debito tributario non corrispondesse una proporzionale e consequenziale riduzione del sequestro per equivalente disposto, verrebbe a crearsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria con evidente violazione del principio per cui l’ablazione di un bene non può essere mai superiore al vantaggio economico conseguito con l’azione delittuosa. L’indagato, dunque, come esplicitamente chiarisce la sez. III, potrà chiedere la proporzionale riduzione del sequestro per equivalente via via che, mediante il pagamento delle rate convenute, si riduce il debito tributario del medesimo nei confronti dello Stato. Invero, il principio affermato nella pronuncia che si annota non costituisce una novità nel panorama giurisprudenziale quanto piuttosto l’affermarsi di un orientamento che si va sempre più consolidando. In questa sede, è sufficiente ricordare, infatti, come la stessa sez. III, con la recente pronuncia dell’11 febbraio 2015 numero 6203 in DeG del 12 febbraio 2015 , avesse affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 maggio – 17 giugno 2015, numero 25339 Presidente Squassoni – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Chieti, con ordinanza del 16.3.2015, rigettava l'istanza di riesame proposta dall'odierno ricorrente, C.R. , avverso il decreto del GIP del Tribunale di Vasto del 20.1.2015, di sequestro preventivo, anche per equivalente, della somma di Euro 186.400 o beni di pari valore nella disponibilità del C. , indagato per il reato di cui all'articolo 10 ter D.Lgs. 74/2000. 2. Ricorre C.R. , a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att, cod. proc. penumero a. Inosservanza o erronea applicazione degli articolo 322 ter cod. penumero e 321 cod. proc. penumero ex articolo 606, lett. B cod. proc. penumero , per aver il Tribunale, nonostante la rateizzazione della somma dovuta dal C. ed il suo puntuale pagamento, sostenuto che non risulta rilevante la circostanza che l'Erario abbia recuperato o stia recuperando parte del debito tributario. Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante l'avvenuto recupero di parte del debito tributario, in quanto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall'articolo 322 ter cod. penumero ha finalità sanzionatoria. Tale argomentazione, infatti, riguarderebbe solo la misura della confisca mentre il sequestro preventivo sarebbe una misura cautelare reale con vincolo di indisponibilità su cose mobili e immobili, al fine di interrompere il compimento di un reato o di impedirne il compimento di ulteriori. Pertanto, la circostanza dell'avvenuta rateizzazione del debito per mancato versamento dell'IVA e il regolare pagamento delle rate farebbero venir meno l'esigenza del sequestro preventivo, venendo meno la finalità cautelare. Sicuramente assente si sostiene in ricorso è il pericolo che la disponibilità del danaro pertinente il reato possa aggravare o protrarne le conseguenze, ovvero agevolare il compimento di altri reati. Il tribunale non avrebbe debitamente considerato tali questioni e non avrebbe tenuto conto della possibilità, data dalla legge, di non applicare la confisca nei casi in cui avvenga il pagamento delle imposte. Rileva inoltre, il ricorrente che con il pagamento dell'imposta verrebbe eliminata l'eventuale offesa agli interessi economici dello Stato. In ogni caso, poi, non sarebbe stato commesso alcun reato, perché il bene giuridico tutelato sarebbe l'esigenza di percepire i tributi in modo completo. Tenuto conto dello scopo perseguito dal sequestro preventivo e del bene giuridico tutelato dall'articolo 10 ter D.Lgs. 74/2000, l'adempimento dell'obbligazione tributaria inciderebbe sulla persistenza dei presupposti per il mantenimento della misura ed il pagamento sia pure tardivo farebbe venir meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire con il provvedimento ablatorio. Cessano, di fatto, le ragioni giustificatrici del sequestro e della confisca. Altrimenti il C. , oltre ad aver adempiuto al suo debito, si vedrebbe privato anche dei beni equivalenti per valore al profitto del reato, ormai dismesso con il versamento dell'imposta evasa. Così come l'avvenuta restituzione del profitto del reato fa venir meno lo scopo perseguito con il sequestro e la confisca, parimenti l'accordo transattivo per il versamento rateale dell'imposta dichiarata ed evasa, con il pagamento graduale secondo un piano di estinzione del debito realizzerebbe l'eliminazione dell'ingiustificato arricchimento derivante dal reato. b. Erronea applicazione degli articolo 13 e 14 D.Lgs. 74/2000 ex articolo 606, lett. B cod. proc. penumero , per aver il Tribunale sostenuto, nonostante il dettato normativo non si esprima in tal senso, che il fatto che il sequestro sia applicabile indipendentemente dall'esistenza di un danno all'amministrazione o di un avvenuto risarcimento del danno stesso sia ricavabile dagli articoli suddetti. Il Tribunale avrebbe erroneamente sostenuto che il sequestro fosse applicabile indipendentemente dall'esistenza di un danno o dall'avvenuto risarcimento dello stesso danno. Gli articolo 13 e 14 D.Lgs. 74/2000 perseguirebbero un fine diverso rispetto a quello indicato in ordinanza. L'ordinanza risulterebbe illegittima in quanto non ricorrerebbe, nel caso di specie, il fine di interrompere il reato o impedire il compimento di ulteriori reati. c. Inosservanza o erronea applicazione degli articolo 321 cod. proc. cenumero e 10 ter D.Lgs. 74/2000 ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero , per aver il Tribunale sostenuto che a giustificare il sequestro preventivo è sufficiente il fumus della sussistenza degli estremi del reato e che la verifica della antigiuridicità del fatto va compiuta su un piano di astrattezza. La concessione della misura non può basarsi solo sulla verifica della confi-gurabilità della fattispecie in una determinata ipotesi di reato, ma deve estendersi al controllo della concreta fondatezza dell'accusa. Non può prescindersi dalla sussistenza del fumus commissi delicti , ossia dall'esistenza di elementi incisivi dai quali poter desumere in concreto la sussistenza del reato. Non basta il semplice sospetto, ma occorre una rilevante probabilità che il delitto sia stato commesso. Il Tribunale di Chieti non avrebbe rappresentato, in maniera puntuale e coerente, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti, dimostrando la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro e l'esistenza di un vincolo tra la cosa ed il reato per cui si procede. Il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto l'esistenza del fumus senza veri-ficare la concreta fondatezza dell'accusa e senza operare una prospettazione dell'esistenza degli elementi concreti per attribuire il reato alla persona indagata. Pertanto, non sarebbe sostenibile la fondatezza dell'accusa. Il ricorrente rileva, ancora, la mancanza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'articolo 10 ter D.Lgs. 74/2000. Non sussisterebbe l'elemento psicologico doloso, in quanto l'indagato ha regolarmente denunciato in dichiarazione le somme dovute non versate soltanto per la momentanea crisi economica. Erroneamente l'elemento psicologico sarebbe stato ritenuto sussistente sul presupposto che il C. alla data di consumazione del reato ricoprisse la carica di amministratore della società. Il comportamento dell'indagato potrebbe, al massimo, configurare un atteggiamento colposo, in quanto l'IVA non è stata evasa, ma dichiarata correttamente e rateizzata. Il sequestro, a seguito del pagamento delle rate, risulterebbe vanificato ed eccessivamente punitivo. Il tribunale non avrebbe considerato le problematiche relative all'effettiva ed importante crisi di illiquidità non imputabile all'indagato. In ogni caso, infine, andrebbe riconosciuta l'esimente della forza maggiore stante l'oggettiva difficoltà di recuperare i numerosi crediti aziendali verso terzi, certamente superiori ai crediti vantati e residui dell'Erario. Nessun profitto o indebito vantaggio patrimoniale, sarebbe stato ottenuto dal C. nel caso di specie, pertanto non è configurabile alcuna condotta tendente ad accrescere il proprio patrimonio con la conseguente illegittimità della misura di sequestro. d. Inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 321 cod. proc. penumero ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero , per aver il Tribunale sostenuto che il tratto punitivo della misura in oggetto comporta l'irrilevanza della pericolosità del protrarsi della condotta. Il Tribunale non avrebbe correttamente valutato il periculum in mora , che per legittimare il sequestro preventivo, deve essere considerato in senso oggettivo, come probabilità di danno futuro e presentare i caratteri di concretezza e attualità. Inoltre occorrerebbe l'esistenza di una specifica strumentalità del bene con il reato commesso. Il Tribunale avrebbe ritenuto che il tratto punitivo della misura renderebbe irrilevante la pericolosità del protrarsi della condotta, mentre avrebbe dovuto riconoscere la mancanza di probabilità di una danno futuro e concreto. e. Inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 321 cod. proc. penumero ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero , per aver il Tribunale sostenuto che, nonostante non siano stati rispettati i tempi di notifica del decreto di sequestro preventivo la cui inosservanza determina nullità ed inefficacia del decreto, ciò non rilevi in quanto avente a che vedere con l'ipotesi della convalida da parte del GIP del sequestro disposto dal P.M Il Tribunale non avrebbe considerato la tardività ed inammissibilità della notifica del decreto di sequestro. Chiede, pertanto, l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata con i provvedimenti consequenziali atti a caducare la misura reale in atto, con rinvio al giudice che dovrà procedere con le disposizioni consequenziali. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Va ricordato che l'articolo 325 cod. proc. penumero prevede che contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per violazione di legge. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha, tuttavia, più volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. U, numero 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692 conf. sez. 5, numero 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093 . Ancora più di recente è stato precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’”iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, così sez. 6, numero 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli articolo 416, 323, 476, 483 e 353 cod. penumero con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative, . Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto. 3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che nel caso all'odierno esame, come si andrà a specificare, non si sia in presenza di un deficit motivazionale tale da configurare l'errata applicazione di norme di diritto. Il Tribunale di Chieti offre, infatti, una motivazione congrua, disattendendo gran parte dei motivi oggi riproposti. È pur vero che l'ordinanza impugnata afferma un principio giuridico sbagliato laddove si legge che peraltro non rileva che l'Erario abbia recuperato o stia recuperando parte del debito tributario, poiché non è eliminato il vantaggio economico che l'indagato avrebbe conseguito in virtù della condotta illecita e che il sequestro sia applicabile indipendentemente dall'esistenza di un danno all'amministrazione o di avvenuto risarcimento del danno stesso . Ad avviso del Collegio tale affermazione va corretta, nel senso che va confermato l'orientamento espresso da questa Corte di legittimità con una recente decisione sez. 3, numero 46726 del 12/07/2012 dep. 03/12/2012, Lanzalone, Rv. 253851 conf. Sez. 3, numero 10120 del 01/12/2010 dep. 11/03/2011, Provenzale, Rv. 249752 secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all'ammontare dell'imposta evasa, può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l'indebito arricchimento derivante dall'azione illecita, che cessa con l'adempimento dell'obbligazione tributaria. Ciò non significa, evidentemente, che l'esistenza o meno di un debito tributario da adempiere sia ininfluente ai fini del sequestro. Tuttavia, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, l'intervenuto accordo di rateizzazione non basta. La ratio legis contenuta nelle norme che prevedono il sequestro e la confisca per equivalente nei reati tributari, impone di ritenere, infatti, che solo l'adempimento completo dell'obbligazione tributaria fa venir meno la ragione giustificativa della misura ablatoria, non rilevando quindi ai fini della revoca della misura la mera rateizzazione del pagamento che rileva sul piano amministrativo tributario determinando la sospensione della procedura esecutiva di recupero , non essendo questa un'ipotesi equiparata all'adempimento. Come ben rileva la citata sentenza 46726/2012, però, se è ben vero che il mantenimento della misura ablativa è giustificato fino al momento in cui si realizza il recupero completo delle imposte evase a favore dell'amministrazione finanziaria, con corrispondente deminutio del patrimonio personale del contribuente momento superato il quale non ha più ragione di essere mantenuto in vita il sequestro preventivo , è altrettanto innegabile che il raggiungimento di un accordo per la rateizzazione del debito tributario con l'Amministrazione finanziaria non può ritenersi esplicare i suoi effetti nel limitato campo amministrativo, estendendo infatti la sua portata anche nel campo penale e, segnatamente, incidere sul quantum della somma sequestrata per equivalente in relazione al profitto derivato dal mancato pagamento dell'imposta evasa. Il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nel suo quantum iniziale, nonostante il pagamento sebbene parziale del debito erariale, darebbe luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l'espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato cfr, sez. 3, numero 3260 del 4.4.2012 dep. il 22/1/2013, Curro, rv. 254679 . Perciò va affermato il principio che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull'intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell'imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l'ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa così, di recente, questa sez. 3, numero 6635 dell'8.1.2014, Cavatorta, rv. 258903 . La stessa sentenza 6635/2014 appena richiamata ha peraltro chiarito che, analogamente, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto corrispondente all'imposta evasa non può essere mantenuto qualora, a seguito di procedura coattiva di pignoramento presso terzi, intrapresa dall'agente della riscossione ex articolo 72-bis del d.P.R. numero 602 del 1973, il debito di imposta sia stato integralmente adempiuto dal terzo debitore in luogo del contribuente effettivamente obbligato verso l'Amministrazione finanziaria, posto che, per effetto di questa operazione solutoria, non residua all'indagato alcun indebito arricchimento o vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa. Evidentemente, dunque, man mano che pagherà le rate concordate, il C. potrà richiedere al giudice della cautela di ridurgli l'importo del sequestro in atto per gli importi pagati sino a quel momento. 4. Sulle altre questioni proposte, ivi compresa quella della tardività della notifica del decreto di sequestro preventivo, ha già fornito un'adeguata risposta il Tribunale di Chieti. Gioverà ricordare che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, sez. 3, numero 23108 del 23.4.2013, Nacci, rv. 255446, nella cui motivazione la Corte ha precisato che il principio rimane valido anche dopo le modifiche apportate all'articolo 322 ter cod. penumero dalla l. numero 190 del 2012 conf. sez. 3 numero 35807 del 7.7.2010, Bellonzi e altri, rv. 248618 sez. 3 numero 25890 del 26.5.2010, Molon, rv. 248058 . Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente articolo 322-ter cod. penumero può essere applicato ai beni anche nella sola disponibilità dell'indagato, per quest'ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi sez. 3, numero 15210 dell'8.3.2012 . Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di profitto del reato e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un'ampia latitudine semantica da colmare in via interpretativa Sezioni Unite, 2.7.2008, numero 26654, Fisia Italimpianti S.p.A. ed altri . In detta pronuncia con riferimento alla confisca di valore prevista dall'articolo 19 del d.Lgs. 8.6.2001, numero 231 sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di profitto dei reato contenuta nell'articolo 240 cod. penumero , secondo le quali il profitto a cui fa riferimento l'articolo 240, comma 1, cod. penumero , deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato vedi Sez. Unite 24.2.1993, numero 1811, Bissoli 17.10.1996, numero 9149, Chabni Samir . Come affermato dalla condivisibile giurisprudenza di questa Suprema Corte, inoltre, in tema di reati tributari, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall'articolo 1, comma 143, della legge numero 244 del 2007 va riferito all'ammontare dell'imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di profitto del reato, costituito dal risparmio economico conseguente alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo a tal fine, per la quantificazione di questo risparmio, deve tenersi conto anche del mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all'accertamento del debito tributario così questa sez. 3, 23 ottobre 2012, numero 45849 . Nello specifico delle questioni oggi riproposte il tribunale del riesame da una risposta che fa buon governo dei principi più volte affermati da questa Corte di legittimità circa i limiti in cui è possibile dedurre lo stato di insolvenza ai fini della responsabilità penale e della configurabilità dello stato di necessità cfr. questa sez. 3, numero 5467 del 5.12.2013 dep. 4.2.2014, Mercutello, rv. 258055 sez. 3, numero 15416 dell'8.1.2014, Tonti, non massim., sez. 3, numero 20266 dell'8.4.2014, Zanchi, rv. 259190, sez. 3, numero 19574 del 21.11.2013 dep. il 13.5.2014, Assirelli, rv. 259741, sez. 3, numero 3124 del 27.11.2013 dep. 23.1.2014, Murari, rv. 258842 . Incontestato, peraltro, è che il C. alla data di consumazione del delitto contestato ricoprisse la carica di amministratore, soggetto passivo IVA e dunque tenuto al versamento dell'imposta autodichiarata. 5. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.