Riduzione dell’imposta evasa: spese sostenute, spese da produrre

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione a fini di evasione, non può farsi ricorso alla presunzione tributaria, secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda, poiché spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto. Tuttavia, questo vale quando i giudici, pur a conoscenza dell’esistenza di costi in ragione degli elementi in atti, omettono poi di approfondirne l’ammontare, non quando manchi qualsiasi elemento che possa legittimamente far pensare all’esistenza di costi sostenuti dall’azienda.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 20676, depositata il 21 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Caltanissetta condannava un imputato per il reato di omessa dichiarazione fiscale continuata. L’uomo ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione dell’articolo 5 d.lgs. numero 74/2000 reati in materia di imposte sui redditi , in quanto i giudici di merito avrebbero errato a calcolare le imposte evase nelle varie annualità contestate, omettendo di considerare i relativi costi d’impresa. Analizzando la questione, la Corte di Cassazione ripercorreva l’iter seguito dai giudici di merito, i quali avevano sottolineato che, sulla questione dei costi aziendali, nessun documento era stato prodotto, e che l’imputato aveva ammesso di non essersi curato di della tenuta della documentazione contabili. Da ciò, avevano dedotto l’inesistenza di altri elementi che potessero provare l’effettiva esistenza di tali costi sostenuti nell’esercizio dell’attività. L’articolo 5, comma 1, d.lgs. numero 74/2000 punisce chiunque , al fine di evader le imposte, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a tali imposte, quando la somma evasa, relativamente ad ogni singolo tributo, supera i 30.000 €. Calcolo dell’ammontare. Effettivamente, in tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione a fini di evasione, non può farsi ricorso alla presunzione tributaria, secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto corrente si considerano ricavi dell’azienda, poiché spetta al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto. Tuttavia, questo vale quando i giudici, pur a conoscenza dell’esistenza di costi in ragione degli elementi in atti, omettono poi di approfondirne l’ammontare. Nel caso di specie, invece, i giudici d’appello avevano rilevato l’assenza di qualsiasi elemento che potesse legittimamente far pensare all’esistenza di costi sostenuti dall’azienda. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 aprile – 21 maggio 2014, numero 20676 Presidente Squassoni - Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. La Corte d'Appello di Caltanissetta con sentenza 24.9.2013 - per quanto ancora interessa - ha confermato la colpevolezza di S.A. in ordine ai reato omessa dichiarazione fiscale continuata in relazione agli anni di imposta dal 2005 ai 2008 articolo 81 cp 5 D. Lvo numero 74/2000 . 2. Il S. ricorre per cassazione - tramite Il difensore - denunziando, ai sensi dell'articolo 606 comma 1 lett. b ed e cpp, l'errata applicazione dell'articolo 5 D. Lvo numero 74/2000 e la manifesta illogicità della motivazione. Rimprovera in particolare ai giudici di merito di avere errato nel calcolo delle imposte evase nelle varie annualità contestate, per avere omesso di considerare i relativi costi di impresa, che erano presumibili o comunque verificabili attraverso una perizia condotta attraverso l'esame degli studi dl settore. Considerato in diritto Il ricorso, che ripropone la stessa censura sollevata in sede di appello, è inammissibile. II controllo dei giudice di legittimità sul vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione del fatti preferiti a quelli adottati dal giudice dei merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa . Queste operazioni trasformerebbero Infatti la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione cass. Sez. 6, Sentenza numero 9923 del 05/1212011 Ud. dep. 1410312012 Rv. 252349 . Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha esaminato la questione dei costi aziendali e ha ritenuto di condividere le conclusioni della Guardia di Finanza basate sul ricavi perché nessun documento è stato rinvenuto in sede di accertamento a conforto dell'esistenza di costi ha poi considerato che l'imputato aveva ammesso di non essersi in alcun modo curato della tenuta della documentazione contabile e da tali circostanze ha dedotto l'inesistenza di altri elementi che potessero disvelare l'effettiva esistenza di costi all'epoca sostenuti dall'imputato nell'esercizio della sua attività. La Corte di merito ha dato una risposta anche alla asserita esistenza di costi per effetto dell'effettività delle operazioni negoziali, rimarcando l'assenza di qualsivogila documentazione contabile valorizzabile in tal senso e rilevando che, ragionando diversamente, una condotta illecita, come l'omessa tenuta della contabilità, si risolverebbe sempre per un vantaggio a favore del contribuente che, In tal modo, non potrebbe mai essere perseguito penalmente in difetto di prova del superamento della soglia di punibilità. Trattasi di tipico accertamento in fatto, sorretto da adeguata motivazione e corretto dal punto di vista giuridico, perché l'articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000 numero 74, primo comma, punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro trentamila. Vero è che - come sostenuto dal ricorrente - questa sezione ha affermato il principio secondo cui in tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione dell'imposta sui redditi articolo 5, D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74 non può farsi ricorso alla presunzione tributarla secondo cui tutti gli accrediti registrati sul conto con - ente si considerano ricavi dell'azienda articolo 32, comma primo numero 2, d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600 , in quanto spetta al giudice penale la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa procedendo d'ufficio ai necessari accertamenti, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto. Sez. 3, numero 5490 dei 26/11/2008 Rv. 243089 . E' altresì vero, tuttavia, che nei caso citato, come in altri in cui pure è stato affermato lo stesso principio, le cose stavano in maniera diversa In quanto giudici, pur a conoscenza dell'esistenza di costi in ragione degli elementi in atti, avevano poi omesso di approfondirne l'ammontare. Nella specie, invece, la situazione è ben diversa in quanto, come si è detto, si rileva da parte dei giudici di appello l'assenza di elementi che facciano legittimamente pensare all'esistenza di costi sostenuti dall'azienda come ad esempio fatture passive a quant'altro . Quanto poi al mancato utilizzo di elementi presuntivi per determinare la soglia di punibilità, come quelli derivanti dall'accertamento induttivo, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell'imponibile, il ricorso si rivela privo dei requisito di specificità articolo 581 lett. c e 591 lett. c cpp perché avrebbe dovuto documentare l'assunto con l'allegazione di uno studio di settore o quanto meno ia sintetica riproduzione dei suo contenuto, non potendosi certamente demandare alla Corte di legittimità la ricerca e l'elaborazione di tale materiale probatorio. In conclusione, il ricorso dell'imputato, dolendosi della mancata ammissione di una perizia contabile, tende proprio a rimettere in discussione un accertamento in fatto, cioè l'individuazione della base imponibile, al fini dell'accertamento dell'imposta evasa e, quindi della soglia di punibilità, compiti, senz'altro preclusi in questa sede, in cui, come si è detto, il sindacato è limitato al controllo della tenuta sotto il profilo logico-giuridico dei percorso argomentativo dei giudice di merito. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cast. sentenza 13.6.2000 numero 186 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'articolo 616 cpp nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.