Peculiare sentenza sulla tutela dei dipendenti pubblici personale ATA trasferiti da un ente locale al Ministero avevano perso ingiustamente i maturati scatti di anzianità e le relative integrazioni salariali. La Finanziaria del 2006, con tale esegesi, riconosceva questi diritti solo a chi aveva ottenuto una sentenza definitiva, negandoli a chi aveva giudizi pendenti è un’illecita e discriminatoria interferenza. È la seconda condanna dopo quella del 2011.
È quanto stabilito dalla CEDU, sez. II, con la sentenza Montalto ed altri v. Italia ricomma 38180/08 più altri 16 del 14 gennaio 2014 il nostro paese è stato condannato per aver adottato detta legge d’interpretazione autentica, contenuta nella Legge Finanziaria del 2006 L.266/05 , recependo un precedente orientamento della S.C., per colmare un ‘vuoto giuridico’ ex L. 124/99. Ha, però, creato disparità di trattamento tra i dipendenti, perché la sua azione era volta, in realtà, a «preservare il solo interesse finanziario dello stato diminuendo il numero di cause pendenti dinanzi ai tribunali». Ciò è stato convalidato dalla giurisprudenza di legittimità successiva alla sua vigenza fino all’intervento della CGCE che ha comportato un favorevole revirement della S.C. La CEDU ha ribadito che questa è una violazione dell’articolo 6 § .1 Cedu diritto all’equo processo . Il caso. La Provincia di Milano trasferì al MIUR, a decorrere dal 31/12/99, alcuni suoi dipendenti impiegati presso le scuole come personale ATA. La L.124, del maggio di quell’anno, prevedeva una retribuzione parametrata all’anzianità di servizio oltre ad altre indennità accessorie. Infatti «doveva essere riconosciuta, a tutti gli effetti giuridici ed economici» quella sino ad allora maturata dai lavoratori trasferiti da una PA ad un’altra. Il MIUR, però, ne attribuì una fittizia, trasformando la retribuzione base, percepita sino al trasferimento, in anzianità, sì che i ricorrenti subirono un’ingiusta decurtazione, perdendo tali scatti e le dovute indennità accessorie. Si ricordi che nel 2000 e nel 2003 l’Aran, nel siglare il nuovo CCNL, aveva, de facto, rinunciato a questo riconoscimento, introducendo una deroga alle citate norme «il personale trasferito dall’ente locale alla funzione pubblica dello Stato che intende mantenere la sua posizione lavorativa deve rinunciare al principio di conservazione dell’anzianità». Tutto ciò violava la legge ed il contratto collettivo del comparto Scuola, vigente al momento del trasferimento. Iniziò un lungo ed altalenante iter giudiziario con numerosi ricorsi che, infine, hanno portato alla conclusione positiva v. tabella in calce alla sentenza , perché la Cassazione 20980 e 21282/11 ha riconosciuto che «avevano subito una regressione salariale» rinviando alla competente CDA per il calcolo delle richieste refusioni alla luce anche della perizia acquisita agli atti. Questa conclusione era coincidente con quelle dei primi due gradi di giudizio, contraddetta, però dalla S.C., in sede di gravame del Ministero, perché nelle more era stato adottato l’articolo 1, comma 218, L.266/05 contenente l’interpretazione contestata e che ha comportato la descritta discriminazione, condannata, per l’ennesima volta, dalla CEDU. La deroga viola i diritti del lavoratore. La S.C. 18829,18652-16657 e 4722/05 ed il CDS sent. del 6/7/05 e numero 5371/06 , antecedenti alla L.266/05, avevano evidenziato come questa deroga fosse contraria all’inviolabilità dei diritti acquisiti ed a tutte le norme sul lavoro, in primis all’articolo 2112 cc che «prevede che il contratto di lavoro continua con il cessionario potenziale e che il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano». Questa tesi è stata abbandonata con la vigenza della L. 266/05. Per la Consulta la legge d’interpretazione autentica è lecita. Il nostro ordinamento contempla questo tipo di leggi che possono avere effetti retroattivi e derogare al testo delle norme che interpretano. La fattispecie eludeva il principio generale sancito dall’articolo 8 L.124/99, stabilendo che «il personale trasferito dalla funzione territoriale a quella statale fosse inserito nell’organico dello Stato», rectius del MIUR, «acquisendone i diritti giuridici ed economici corrispondenti a quello status». Questo è il punto focale della lite su cui si basa il contrasto giurisprudenziale che ha poi portato alla presente condanna. La C.Cost. 234/07 ha negato tale discriminazione lo Stato era dovuto intervenire per colmare detto vuoto, «tenendo conto le difficoltà di risolvere la questione, regolando la materia con contratti collettivi o con leggi» e per deflazionare la giustizia. Questa decisione è stata sostanzialmente confermata dalla pilatesca 311/09 che, pur evidenziando l’esigenza di un intervento di armonizzazione delle varie norme, negava la violazione dell’articolo 6 § .1, rilevato dalla S.C. nel sollevare la questione di incostituzionalità il 23/6/08. Per la C.Cost. «il divieto di interferenza del legislatore nei giudizi in sospeso in cui lo stato è parte non era assoluto», come confermato dalla giurisprudenza costante della CEDU Forrer-Niedenthal v. Germania del 20/2/03 National & amp Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society comma Regno Unito del 23/10/97 , anzi, in presenza di determinate circostanze storiche, questi interventi retroattivi erano perfettamente leciti, se giustificati da superiori ed evidenti ragioni di interesse pubblico. Tutto era rimesso alla discrezionalità delle parti e del potere legislativo. La S.C., perciò, adeguandosi, aveva dato torto ai lavoratori, obbligandoli a restituire quanto già percepito in ottemperanza dei precedenti gradi di giudizio ed aveva ammesso gli appelli del MIUR. L’opinione contraria della CGCE. Con la sentenza Scattolon C-108/10 del 6/9/11, relativa ad un identico caso, ha stabilito che «la riassunzione, da parte di una PA di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra PA, di un addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro. Quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’articolo 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo». Nella fattispecie le mansioni erano uguali, perciò dovevano avere lo stesso inquadramento retributivo di chi aveva sempre prestato servizio presso il MIUR. Infine ha notato che la lite era scaturita dal calcolo illecito e fittizio dell’anzianità, effettuato dalla PA, essendo irrilevante la successiva esegesi delle norme ex L. 266/05 per la quale era già pervenuta una condanna dalla CEDU Agrati ed altri v. Italia del 7/6/11 . Carenza d’interesse pubblico e mancato raggiungimento del fine prefisso. Per la CEDU l’Italia ha agito, come detto, per interessi egoistici e non pubblici, tanto più che ha ottenuto l’effetto opposto a quello prefisso il contezioso anziché diminuire è aumentato. Infine la condanna per la violazione dell’articolo 6 § .1 discende anche dal colpevole ritardo con cui l’Italia si è attivata per colmare un presunto vuoto giuridico, riempito, poi, però, dal citato revirement della S.C. dopo questa pronuncia della CGCE.
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