Fatale uno degli ultimi gradini. L’uomo si lamenta per la mancanza di strisce antiscivolo. Ma va valutata anche la condotta da lui tenuta, e considerata non adeguata al luogo.
Discesa a piedi verso il mare, con tanto di panorama da cartolina, ma l’esito è niente affatto piacevole. Uno degli ultimi gradini della scaletta in ferro si rivela fatale l’uomo scivola, cade in acqua e riporta lesioni alla schiena. Ricostruita la dinamica dell’episodio, però, emerge la superficialità della condotta tenuta dal turista. E ciò libera il Comune – siciliano – da ogni responsabilità Cassazione, ordinanza numero 56, sezione Sesta Civile, depositata oggi . Discesa. Secondo l’uomo il «gradino» a lui fatale, collocato «nella parte terminale della scaletta» e «immerso nell’acqua», era privo di un «prodotto antisdrucciolo». Tale elemento non è stato però ritenuto sufficiente. Difatti, i giudici di merito hanno respinto la «richiesta di risarcimento dei danni» presentata nei confronti del Comune. E questa decisione è ora condivisa dalla Cassazione. Per i Giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, sono corrette le considerazioni adottate tra primo e secondo grado, considerazioni che hanno escluso la «responsabilità» dell’ente pubblico. In sostanza, «il fatto che sugli ultimi gradini della scala non fossero applicate strisce antiscivolo» non è incompatibile «con una struttura dei gradini predisposta, di per sé, per evitare di scivolare». Peraltro, proprio il particolare contesto, cioè «una discesa in mare attraverso una scala», richiedeva «una particolare attenzione» da parte dei turisti. In questo caso, l’uomo avrebbe dovuto «fare uso di una ragionevole prudenza, adeguata al luogo, a salvaguardia della propria incolumità». Di conseguenza, proprio a causa della condotta tenuta, egli non può pretendere un risarcimento dal Comune.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 12 novembre 2015 – 7 gennaio 2016, numero 56 Presidente Finocchiaro – Relatore Rubino Svolgimento del processo e ragioni della decisione E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione nel 2006 P.G. conveniva in giudizio il Comune di Catania chiedendone la condanna al risarcimento dei danni alla persona e al mezzo riportati a seguito della caduta dal ventiseiesimo scalino di una scaletta ii ferro che dal solarium numero 2, a livello stradale, consentiva la discesa a mare a causa della mancanza di un prodotto antisdrucciolevole. Lo scalino suddetto si trovava nella parte terminale della scale, immerso nell'acqua. La domanda del ricorrente veniva rigettata dal Tribunale di Catania, la cui decisione veniva confermata dalla Corte d'Appello di Catania con la sentenza numero 730\2014 del 13.5.2014, qui impugnata. Il Privitera propone ricorso per cassazione formalmente articolato in tre motivi 1 con il primo deduce la violazione dell'ars. 2051 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. nonché la erroneità e contraddittorietà della motivazione 2 con il secondo deduce nuovamente la violazione dell'articolo 2051 c.c. in relazione all'au_ 360 numero 3 c.p.c. nonché la erroneità e contraddittorietà della motivazione 3 con il terzo, la sola erroneità, contraddittorietà e illogicità della motivazione. Il Comune di Catania, regolarmente intimato, non ha svolto attività difensiva. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto appare destinato ad essere rigettato. 1 primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto il ricorrente contesta che la corte non abbia ritenuto sussistente la responsabilità per custodia del Comune ex articolo 2051 c.c. e in particolare che abbia violato la norma, nel suo contenuto attuale, in riferimento agli oneri probatori a carico dell'attore. La denuncia del vizio di motivazione, che fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non più vigente al momento della proposizione del ricorso, non è neppure sviluppata all'interno dei singoli motivi. Nel caso di specie, la corte d'appello, recependo le valutazioni del giudice di primo grado, ha ritenuto che il Privitera non avesse provato che lo scivolamento in mare, a seguito del quale aveva battuto la schiena riportando danni si dovesse porre in rapporto di causalità con la scaletta, cioè che fosse stato provocato da anomalie della scaletta, e quindi aveva rigettato la domanda risarcitoria per mancanza della prova del nesso causale tra la cosa in custodia la scala e il danno. Aveva cioè correttamente richiamato la norma applicabile al caso di specie articolo 2051 c.c. e correttamente indicato la ripartizione degli oneri probatori affermando che il danneggiato che agisce per il risarcimento del danno abbia l'onere di provare l'evento dannoso e il nesso di causalità tra la res in custodia e l'evento dannoso, mentre il custode convenuto per andare esente da responsabilità, deve provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva idoneo ad interrompere quel nesso causale per poi escludere, con accertamento di fatto non ulteriormente sindacabile in questa sede, che tale prova fosse stata fornita, atteso che il fatto che sugli ultimi gradini della scala non fossero applicate strisce antiscivolo riferito dai testimoni non fosse incompatibile con una struttura dei gradini di per se predisposta per evitare di scivolare. La corte territoriale inoltre evidenziava che il particolare luogo in cui era avvenuto l'infortunio una lunga discesa in mare attraverso una scala fosse un luogo che richiedeva da parte dei fruitori una particolare attenzione ad esso adeguata. Deve ritenersi che la corte territoriale abbia correttamente applicato i principi di diritto formulati da questa Corte di legittimità in materia di danni derivanti da omessa custodia, tra i quali può richiamarsi Cass. numero 2660 del 2013 'La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'articolo 2051 cod. dv., ha carattere oggettiva, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostratione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia una volta provate queste circostanumero Ze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia f effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili , ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. Nel caso di specie, il danneggiato aveva inciampato in un cordolo, lasciato dagli operai che stavano eseguendo lavori stradali, andando a sbattere contro un mucchio di pietre .A ciò deve aggiungersi che l'allocazione della responsabilità oggettiva per custodia in capo al proprietario del bene demaniale per i danni che esso può provocare agli utenti non esime gli utenti stessi dal dover far uso di una ragionevole prudenza, adeguata allo stato dei luoghi, a salvaguardia della propria incolumità. Tl terzo motivo fa riferimento in rubrica esclusivamente all'esistenza di un vizio di motivazione, richiamando una nozione di vizio di motivazione non più vigente erroneità, contrarietà ed illogicità della motivazione . Poiché la sentenza gravata è stata depositata il 13 maggio 2014, nel presente giudizio risulta applicabile il testo dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, numero 83, articolo 54 convertito con la L. 7 agosto 2012, numero 134. Tale testo - in forza della quale le sentenze ricorribili per cassazione possono essere impugnate per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti - si applica infatti, per il disposto del suddetto articolo 54, comma 3 ai ricorsi per cassazione avverso sentenze pubblicate dall'11 settembre 2012, trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del D.L. numero 83 del 2012. Tanto premesso, il motivo di ricorso è inammissibile perché la nuova e più circoscritta area di rilevanza, all'interno del sindacato di legittimità, del vizio di motivazione, in riferimento alle sentenze pubblicate dall'11 settembre 2012 in poi, va intesa, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 disp. prel. cod. civ., tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l'abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Ne consegue che, come già affermato da questa Corte a 1`omesso esame non può intendersi che omessa motivazione , perché l'accertamento se l'esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione b i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari c è deducibile come vizio della sentenza soltanto l'omissione e non più l'insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell'estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi , si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione v. Cass. numero 7983 del 2014 . Nel caso di specie il ricorrente non ipotizza neppure una sostanziale mancanza di motivazione ma ne denuncia l'illogicità. Si propone pertanto il rigetto del ricorso . II ricorrente ha depositato memoria. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio, esaminata la memoria del ricorrente, ha ritenuto di condividere i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione e che non siano necessarie rispetto ad essa altre osservazioni. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 18 deve darsi atto pertanto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso liquida a carico del ricorrente le spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in euro 2.200,00 di cui 200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali. Ai sensi dell'articolo 13 co. 1 quater del d.p.r. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.