Il delitto di furto di carta di credito concorre con quello di cui all’articolo 55, comma 9, d.lgs. numero 231/2007 uso indebito di una carta di credito , solo nell’ipotesi dell’indebito utilizzo del medesimo documento, restando le due fattispecie criminose distinte dal punto di vista oggettivo.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 4160/19, depositata il 28 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Bologna assolveva un imputato dal reato di porto ingiustificato di oggetto atto ad offendere e rideterminava la pena per i reati di rapina aggravata e utilizzo indebito di una tessera bancomat. Il difensore ha proposto ricorso per cassazione. Assorbimento. Delle diverse censure, appare preliminare per il Collegio l’esame del motivo di ricorso afferente all’assorbimento del reato di cui all’articolo 55, comma 9, d.lgs. numero 231/2007, utilizzo indebito di carta di credito, in quello di rapina aggravata per l’uso della medesima carta. La ricostruzione della vicenda dimostrava che l’uomo aveva dapprima rapinato del denaro contante dal portafogli della persona offesa e poi, resosi conto che egli aveva anche un bancomat, l’aveva costretto ad andare allo sportale per effettuare il prelievo per l’importo che lo stesso imputato aveva digitato. Sul tema la giurisprudenza di legittimità afferma costantemente che il delitto di furto di carta di credito concorre con quello di cui all’articolo 12 l. numero 143/1991, ora articolo 55, comma 9, d.lgs. numero 231/2007, solo nell’ipotesi dell’indebito utilizzo del medesimo documento. Le fattispecie restano infatti diverse sotto l’aspetto fenomenico, «verificandosi la seconda quando la prima è ormai esaurita e non trovando, l’uso indebito, un presupposto necessario ed indefettibile dell’impossessamento illegittimo». In altre parole, il reato di uso indebito di carta di credito o di pagamento, al fine di realizzare un profitto, concretizza una condotta diversa da quella dell’articolo 624 c.p. connotata invece dall’impossessamento del bene sottraendolo al legittimo detentore, conclusione che vale tanto per il furto quanto per la rapina caratterizzata dall’elemento aggiuntivo della minaccia o violenza . Escludendo dunque la fondatezza della doglianza, la Corte accoglie il diverso motivo di ricorso attinente all’aggravante dell’uso dell’arma posto che il ricorrente aveva solo simulato di puntare alla schiena delle persone offese un coltello. In conclusione, il Collegio annulla la sentenza impugnata limitatamente a tale circostanza aggravante con rinvio alla Corte d’Appello per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 novembre 2018 – 28 gennaio 2019, numero 4160 Presidente De Crescienzo – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con sentenza del 31 ottobre 2017 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa il 17 novembre 2016 dal Tribunale di Rimini, ha assolto T.N. , in atti generalizzato, dal reato di porto ingiustificato di oggetto, atto ad offendere, e ha rideterminato la pena, confermando nel resto la sentenza di condanna in ordine a due rapine aggravate una delle quali avente ad oggetto anche una carta bancomat e all’utilizzo indebito di una tessera bancomat. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i seguenti motivi 1 illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente l’aggravante dell’uso dell’arma, contestata in relazione ai delitti di rapina, e ha assolto, al contempo, per la contravvenzione della detenzione di arma 2 errore di diritto, per non avere il giudice di merito ritenuto assorbito il delitto di indebito utilizzo della carta di credito di cui al capo C nella rapina di cui al capo B 3 erronea applicazione della legge penale con riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla pena irrogata a titolo di aumento in continuazione. All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente alla doglianza relativa all’aggravante dell’uso dell’arma, ritenuta sussistente dalla Corte d’appello con riferimento ai delitti di rapina. 1.1 Ragioni di ordine logico suggeriscono di affrontare preliminarmente la questione devoluta con il secondo motivo del ricorso, afferente al dedotto assorbimento del reato di cui al D.Lgs. numero 231 del 2007, articolo 55, comma 9, nella rapina, contestata al capo B dell’imputazione. A tal riguardo deve osservarsi che, come riportato nella sentenza impugnata, l’imputato, dapprima, rapinava 25 Euro, rinvenuti nel portafoglio, poi, resosi conto che C. aveva una tessera bancomat, costringeva la persona offesa ad accompagnarlo allo sportello bancomat per effettuare il prelievo e selezionava lui stesso sulla tastiera l’operazione e prelevava il denaro, in tal modo facendo un uso indebito del bancomat della persona offesa . Secondo il ricorrente, la sottrazione del denaro con il bancomat costituirebbe la consumazione e la perfezione del reato di cui al capo B , ossia della rapina ai danni di C.M. , con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe errato nel riconoscere, invece, il concorso dei due menzionati reati. Siffatta censura è manifestamente infondata. Essa si scontra, infatti, con l’orientamento di questa Corte che, alla luce del dictum, espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza numero 22902 del 7/6/2001, Tiezzi, Rv. 218871, afferma che il delitto di furto della carta di credito concorre con quello di cui alla L. numero 143 del 1991, articolo 12 ora D.Lgs. numero 231 del 2007, articolo 55, comma 9 , limitatamente all’ipotesi dell’indebito utilizzo del medesimo documento. Ciò in quanto si tratta di condotte eterogenee sotto l’aspetto fenomenico, verificandosi la seconda quando la prima è ormai esaurita e non trovando, l’uso indebito, un presupposto necessario ed indefettibile nell’impossessamento illegittimo Sez. 5, numero 44018 del 10/10/2005, Fazio, Rv. 232810 . Tale conclusione deve affermarsi anche con riguardo alla rapina. Difatti, come chiarito, in particolare, con la sentenza numero 302 del 2000 della Corte Costituzionale, il D.L. numero 143 del 1991, articolo 12 ora D.Lgs. numero 231 del 2007, articolo 55, comma 9 delinea una figura criminosa dalla fisionomia alquanto variegata sia per quanto attiene all’oggetto materiale, che si riferisce ad un’ampia gamma di documenti, diversi tra loro per natura, funzione e modalità d’impiego, sia per quel che concerne la condotta penalmente rilevante, essendo contemplata, accanto all’ipotesi dell’indebita utilizzazione dei documenti, da parte di chi non ne sia titolare, anche quella di falsificazione di questi ultimi e di possesso di documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché di ordini di pagamento con essi prodotti. Da questo rilievo in ordine al profilo strutturale della fattispecie esaminata, il giudice delle leggi, come ricordato anche da questa Corte Sez. 5, numero 17923 del 12/1/2018, Rv. 273033 , ha tratto ragione per stabilire che, sebbene con riguardo ad alcuni dei comportamenti, ad essa riconducibili, l’offesa al patrimonio individuale concorre a delineare l’oggettività giuridica del reato, tuttavia la conformazione del paradigma punitivo, complessivamente considerato, depone per la sicura aggressione di interessi di marca pubblicistica interessi legati segnatamente all’esigenza di prevenire, di fronte ad una sempre più ampia diffusione delle carte di credito e dei documenti similari, il pregiudizio che l’indebita disponibilità dei medesimi è in grado di arrecare alla sicurezza e speditezza del traffico giuridico e, di riflesso, alla fiducia che in essi ripone il sistema economico e finanziario . Una delle due fattispecie, previste dal D.Lgs. numero 231 del 2007, articolo 55, comma 9, prima parte, ossia l’uso illegittimo delle carte di credito o delle carte di pagamento - lecita o illecita che sia la loro provenienza - da parte del non titolare, al fine di realizzare un profitto per sé o per altri, concretizza all’evidenza una condotta del tutto diversa da quella prevista dall’articolo 624 c.p., connotata, invece, dall’impossessamento, al fine di profitto, del bene altrui, sottratto a chi lo detiene. Tale affermazione non può non valere anche con riguardo anche alla rapina, che, come è noto, si distingue dal furto soltanto perché l’impossessamento è accompagnato dall’ulteriore elemento costitutivo della minaccia o della violenza alla persona. Anche con riguardo alla rapina, quindi, non può configurarsi l’assorbimento prospettato dal ricorrente, dovendosi di contro affermare la correttezza della decisione assunta dalla Corte d’appello. 1.2 È fondato, invece, il primo motivo del ricorso. Difatti, dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che non è risultata provata la sussistenza dell’arma, tanto che il ricorrente è stato assolto dal reato di cui alla L. numero 110 del 1975, articolo 4. Di contro, la Corte d’appello ha ritenuto comunque configurata l’aggravante dell’uso dell’arma, sulla base del rilievo che le persone offese si sentirono pungere alla schiena con qualcosa che sembrava un coltello o comunque un oggetto acuminato, sicché se anche T. non aveva con sé alcun coltello, la circostanza aggravante risulta comunque integrata . Siffatta conclusione, con cui sostanzialmente si è ritenuta configurata l’aggravante di cui all’articolo articolo 628 c.p., comma 2, numero 3 , pur a fronte del difetto della disponibilità di un’arma, si pone in contrasto con i principi affermati da questa Corte Sez. 5, numero 6496 del 14/12/2011, Rv. 251949 Sez. 2, numero 32427 del 23/6/2010, Rv. 248358 , che il Collegio condivide, secondo cui la semplice simulazione della disponibilità di un’arma non integra l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 2, numero 3 , Fattispecie nella quale uno dei rapinatori, nel corso della rapina, aveva tenuto una mano in tasca, simulando la disponibilità di un’arma . Il fondamento della circostanza aggravante de qua, infatti, risiede nella maggior lesività della condotta rispetto all’interesse tutelato dalla norma e quindi, sul piano sostanziale, nel particolare effetto intimidatorio che la presenza dell’arma apporta in concreto all’azione delittuosa. Questo effetto dipende dall’induzione nella vittima della ragionevole previsione dell’impiego dell’arma a seguito dell’eventuale resistenza alla minaccia. In aderenza a questi principi, si è ravvisata l’aggravante nella minaccia commessa da soggetto munito di arma, pur non impugnata Sez. 2, numero 25902 del 24.6.2008, Rv.240632 Sez. 3, numero 55302 del 22/09/2016, Rv. 268535 ovvero, nella minaccia realizzata mostrando un’arma racchiusa in un fodero Sez. 5, numero 4163 del 5.2.1980, Rv. 144823 . Decisivo è, in sostanza, che l’espressione della minaccia sia accompagnata dall’ostentata presenza di un’arma, della quale il soggetto agente abbia l’immediata disponibilità, tanto da rendere credibile che la stessa sia adoperata in qualsiasi momento ed in stretta continuità con la condotta minatoria. Alla luce di tali principi deve affermarsi che la Corte d’appello ha errato nel ritenere l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 2, numero 3, che deve essere invece eliminata con riguardo ad entrambi i delitti di rapina contestati. 1.3 Il superiore rilievo assorbe il terzo motivo del ricorso relativo al dedotto erroneo diniego delle attenuanti generiche e all’eccessività della pena irrogata a titolo di continuazione. 1.4 Alla luce di quanto precede deve dichiararsi l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità ed annullarsi la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante del delitto di rapina di cui ai capi A e B con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna per la determinazione del trattamento sanzionatorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante del delitto di rapina di cui ai capi A e B con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.