Respinte le obiezioni proposte dalla donna. Dichiarata l’efficacia della sentenza ecclesiastica che ha cancellato il vincolo coniugale celebrato in chiesa. Per i Giudici della Cassazione la donna aveva avuto modo di prendere coscienza, prima delle nozze, della posizione del futuro marito. E, comunque, una volta pronunciato il fatidico ‘sì’, la coppia si è subito caratterizzata per litigi e allontanamenti.
Prossimo all’altare, ha fatto capire alla futura consorte di non considerare l’indissolubilità del matrimonio come un pilastro fondamentale della propria vita. A testimoniarlo anche alcuni amici della coppia. Questo elemento è sufficiente per considerare nulle le nozze. Su questo fronte i Giudici del Palazzaccio sanciscono l’efficacia della sentenza ecclesiastica che ha accolto la richiesta dell’uomo, nonostante la forte opposizione della moglie Cassazione, ordinanza numero 22218/18, sezione Prima Civile, depositata oggi . Esternazione. Primo fondamentale passaggio è quello ratificato dal Tribunale ecclesiastico che nel 2010 «dichiara la nullità del matrimonio per vizio del consenso». In sostanza, viene accolta la domanda presentata dal marito, alla luce della constatazione – grazie anche alle parole di alcuni testimoni – che, prima delle nozze, «l’uomo ha esternato alla futura moglie la volontà di escludere l’indissolubilità» del loro vincolo matrimoniale. Tale valutazione è ritenuta corretta dai giudici italiani, i quali in Corte d’Appello dichiarano «l’efficacia della sentenza ecclesiastica», aggiungendo che, comunque, la moglie «non ha dedotto e provato che si fosse instaurato un vero consorzio familiare ed affettivo da cui desumere un superamento implicito della causa originaria di invalidità» delle nozze. Rapporto coniugale. Inutili si rivelano ora – otto anni dopo la sentenza ecclesiastica e due anni dopo la sentenza d’Appello –, le ulteriori rimostranze della donna. Irrilevante, innanzitutto, spiegano i Giudici del Palazzaccio, il richiamo alla «sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio». Su questo fronte viene chiarito che «la sentenza di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio-rapporto e non l’atto con cui è stato costituito il vincolo tra i coniugi». Di conseguenza, «la decisione resa dai giudici in sede divorzile, una volta passata in giudicato, non può assumere valenza ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio». Per quanto concerne poi la posizione dell’uomo sulla «indissolubilità delle nozze», è emersa, grazie alle dichiarazioni di alcuni testimoni, «la prova» che egli abbia fatto conoscere alla futura coniuge la propria opinione. Per chiudere il cerchio, infine, i Giudici della Cassazione ritengono non dimostrata, neanche in maniera generica, «la volontà dei coniugi di instaurare un rapporto coniugale effettivo presso la loro comune residenza» significative, a questo proposito, le prove relative al «verificarsi di immediati e continui litigi» e di «frequenti allontanamenti». Impossibile, di conseguenza, ipotizzare «una convivenza triennale» per la coppia. Definitiva perciò la «nullità del matrimonio», con buona pace della donna.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 6 luglio – 12 settembre 2018, numero 22218 Presidente Giancola – Relatore Pazzi Fatti di causa 1. Con sentenza in data 6 maggio 2016 la Corte d'Appello di Roma dichiarava l'efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza ecclesiastica del 22 febbraio 2010, ratificata dal Tribunale ecclesiastico di appello del Vicariato di Roma e munita del decreto di esecutività della Segnatura Apostolica, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio contratto fra Ga. Ac. e Vi. Del Mo. per vizio del consenso la corte territoriale in particolare da un lato rilevava che la Ac. non aveva dedotto e provato che si fosse instaurato un vero consorzio familiare ed affettivo da cui si potesse desumere un superamento implicito della causa originaria di invalidità, dall'altra riteneva che il racconto dei testimoni sentiti nel procedimento canonico dimostrasse che il Del Mo. avesse esternato alla futura moglie la propria volontà di escludere l'indissolubilità del matrimonio. 2. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia Ga. Ac. affidandosi a tre motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso Vi. Del Mo Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 380 bis.1 c.p.c. Ragioni della decisione 3.1 II primo motivo di ricorso denuncia ex articolo 360, comma 1, numero 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli articolo 29 Cost., 6, comma 1, legge 898/1970, 8, par. 2, lett. c , L. 121/1985, 64, comma 1, lett. e , L. 218/1995, 2909 cod. civ. e 112 e 324 cod. proc. civ. la corte distrettuale non avrebbe in alcun modo esaminato l'eccezione sollevata da parte convenuta laddove aveva sottolineato che la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio in precedenza adottata, avendo acquisito autorità di cosa giudicata, impediva di rendere esecutiva la sentenza canonica di nullità del matrimonio tra le stesse parti la riconoscibilità della sentenza straniera è infatti condizionata al mancato contrasto con un'altra sentenza pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato, contrarietà che nel caso di specie andava individuata rispetto alle statuizioni contenute nella sentenza di divorzio, la quale presupponeva l'esistenza e la persistenza di un valido vincolo matrimoniale. 3.2 II motivo - basato peraltro su una statuizione prodotta in giudizio senza attestazione di giudicato - è infondato. Secondo il condiviso, risalente e fermo orientamento di questa Corte la sentenza di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio-rapporto e non l'atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi, per cui se, nel relativo giudizio, non sia espressamente statuito in ordine alla validità del matrimonio - con il conseguente insorgere delle questioni poste dalla statuizione contenuta nell'articolo 8, comma secondo, lett. c , dell'Accordo del 18 febbraio 1984 tra Stato italiano e Santa Sede - non è impedita la delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano e nei limiti di essi si vedano in questo senso Cass. numero 12989/2012, Cass. numero 3186/2008, Cass. numero 4795/2005 . Questi principi trovano ulteriore conforto nella successiva giurisprudenza di legittimità secondo cui la relazione fra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto si pone, nella Costituzione, nelle Carte Europee dei diritti e nella legislazione italiana, in termini di distinzione, nel senso che i due aspetti dell' istituto giuridico matrimonio hanno ragioni, disciplina e tutela differenti, di modo che il matrimonio-rapporto si distingue dall'atto da cui ha tratto origine avendo una propria autonomia ontologica, cronologica e giuridica Cass., Sez. Unumero , numero 16379/2014 se così è rimane vieppiù confermato l'assunto secondo cui la statuizione resa in sede divorzile riguarda l'autonomo ambito del matrimonio rapporto e non involge, ove la questione non sia stata espressamente posta all'interno del thema decidendi, alcun profilo attinente la validità del matrimonio atto da cui il matrimonio rapporto ha avuto origine. Dunque quella statuizione una volta passata in giudicato non può assumere valenza ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. D'altra parte, anche per il ripetuto richiamo della corte territoriale a quelle condivise regole che la ricorrente critica senza offrire elementi decisivi atti a giustificare ripensamenti, non è nemmeno ravvisabile la dedotta violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ., dato che il vizio di omessa pronuncia va escluso ogni qual volta ricorrano gli estremi di una reiezione implicita, come nel caso di specie, o di un suo assorbimento in altre statuizioni Cass. numero 264/2006 . 4.1 II secondo mezzo lamenta, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli articolo 29 e 111, comma 1, Cost., 6, comma 1, legge 898/1970, 8, par. 2, lett. c , L. 121/1985, 64, comma 1, lett. g , L. 218/1995, 123, 128, comma 3, 2697, 2730 e 2733 cod. civ., 115, 116 e 132 cod. proc. civ. la Corte territoriale avrebbe dichiarato l'efficacia nello Stato Italiano della decisione canonica nonostante il difetto di prova in ordine alla conoscenza al tempo da parte della sig.ra Ac. della pretesa esclusione dell'indissolubilità del vincolo matrimoniale ad opera del marito la questione a questo proposito sarebbe stata risolta con una motivazione apodittica e scevra di qualsiasi disamina delle emergenze istruttorie, di carattere perciò meramente apparente, in merito al fatto che il Del Mo. avesse esternato alla moglie la propria volontà di escludere l'indissolubilità del matrimonio. 4.2 II motivo è inammissibile. 4.2.1 La pubblicazione della sentenza impugnata in data successiva al termine previsto dall'articolo 54, comma 3, D.L. 83/2012 11 settembre 2012 impone di fare riferimento al nuovo paradigma normativo previsto dall'articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ., secondo cui è censurabile in questa sede di legittimità il solo omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. La riformulazione della norma in questi termini deve essere interpretata, secondo la giurisprudenza di questa Corte Cass., Sez. U., 7/4/2014 numero 8053 , come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, di modo che ora risulta denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Nel caso di specie la corte territoriale ha fornito una congrua motivazione della propria decisione, che, seppur con sobrietà, soddisfa i criteri prescritti dall'articolo 132 cod. proc. civ., dato che consente di ripercorrere l'iter logico seguito dal collegio per respingere il reclamo e percepire le ragioni che stanno alla base della decisione assunta la corte infatti ha spiegato di aver preso contezza del racconto dei testimoni sentiti nel corso del procedimento ecclesiastico e di ritenere che da queste dichiarazioni fosse evincibile sia pure indirettamente e sostanzialmente la prova dell'esternazione del Del Mo. nei confronti della futura coniuge della sua opinione negativa circa l'indissolubilità del matrimonio. Il vizio denunciato finisce per sollecitare sotto le spoglie della eccepita violazione di legge processuale in tema di valutazione delle prove, un sindacato di fatto sull'esito dell'apprezzamento del testimoniale raccolto nella diversa sede e non smentito dal trascritto passo delle dichiarazioni del Del Mo., avulso dal complessivo contesto. In proposito giova anche richiamare il principio secondo cui, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell' articolo 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell' articolo 116 c.p.c, che non a caso è rubricato della valutazione delle prove Cass. numero 11892/2016, Cass. numero 24548/2016, Cass. numero 5009/2017 . 4.2.2 Una volta preso atto dell'incensurabile apprezzamento compiuto della corte di merito circa la congerie istruttoria disponibile non rimane che ricordare come secondo la costante giurisprudenza di questa Corte il vizio di violazione di legge denunciato con ricorso per cassazione ex articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all' esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità Cass. numero 24155/2017 se non sotto l'aspetto del vizio di motivazione Cass. numero 22707/2017, Cass. numero 195/2016 . Nel caso di specie la ricorrente sig.ra Ac. ha sostenuto che la Corte d'Appello avrebbe erroneamente deciso nonostante il difetto di prova della sua conoscenza al tempo della pretesa esclusione dell'indissolubilità del vincolo matrimoniale da parte del marito. In questo modo il ricorso ha chiaramente allegato un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ponendosi al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione in questione. 5.1 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 e 5, cod. proc. civ., per la violazione e la falsa applicazione degli articolo 29 e 111, comma 1, Cost., 6, comma 1, legge 898/1970, 8, par. 2, lett. c , L. 121/1985, 64, comma 1, lett. g , L. 218/1995, 123, 2697, 2730 e 2729 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. la corte territoriale avrebbe dichiarato l'efficacia della decisione canonica de qua addossando illegittimamente alla convenuta l'onere della prova che tra i coniugi si fosse instaurata una reale comunione di vita e comunque omettendo una qualsiasi valutazione delle significative presunzioni emergenti dagli atti processuali, quali la protrazione del matrimonio rapporto per sei anni e la nascita della figlia. 5.2 La sentenza delle Sezioni Unite sopra richiamata ha precisato che la convivenza come coniugi come situazione giuridica d'ordine pubblico ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, ed in quanto connotata da una complessità fattuale strettamente connessa all'esercizio di diritti, all'adempimento di doveri ed all'assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, deve qualificarsi siccome eccezione in senso stretto exceptio juris opponibile da un coniuge alla domanda di delibazione proposta dall'altro coniuge tale eccezione può quindi essere sollevata esclusivamente, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta dal coniuge convenuto nel giudizio di delibazione interessato a farla valere, il quale ha l'onere sia di allegare fatti e comportamenti dei coniugi specifici e rilevanti idonei ad integrare detta situazione giuridica d'ordine pubblico, sia di dimostrarne la sussistenza in caso di contestazione mediante la deduzione di pertinenti mezzi di prova anche presuntiva. La natura di eccezione in senso stretto riconosciuta a una simile difesa fa quindi discendere i correlati oneri probatori previsti dall'articolo 2697, comma 2, cod. civ., che sono stati correttamente addossati dalla corte distrettuale alla parte che aveva rappresentato, in via di eccezione, la sussistenza di una condizione ostativa al recepimento della sentenza canonica. Giova poi rimarcare come nel caso di specie fosse, a parere della corte territoriale, tutt'altro che pacifica la volontà dei coniugi di instaurare un rapporto coniugale effettivo presso la comune residenza, non risultando contestate le allegazioni attoree in merito al verificarsi di immediati e continui litigi e frequenti allontanamenti in mancanza di una piattaforma istruttoria che consentisse di ritenere raggiunta la prova della sussistenza delle condizioni di ordine pubblico preclusive della delibazione, costituite dalla convivenza triennale come coniugi, nessun onere di fornire una prova ulteriore e contraria poteva essere addossato a chi agiva per il riconoscimento dell'efficacia della sentenza canonica. Infine non è possibile procedere in questa sede a una diversa valorizzazione delle circostanze addotte dalla Ac., poiché spetta al solo giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all' uno o all' altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge cfr., ex plurimis, Cass. numero 21098/2016, Cass. numero 27197/2011 . 6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. numero 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.