Fusione aziendale in corso: intempestive le critiche del dirigente. Licenziamento legittimo

A dare il ‘la’ alla battaglia giudiziaria alcune lettere del dirigente, con cui vengono espresse critiche nette nei confronti dei vertici aziendali, proprio durante una complessa fusione con una società tedesca. Nessuna possibilità di considerare quegli scritti diffamatori, però essi sono espressione di un conflitto con il vertice societario, conflitto insostenibile e tale da rendere comprensibile l’interruzione del rapporto.

Tessuto imprenditoriale in crisi, oggi più che mai. E ogni exit strategy può essere decisiva, per salvare azienda, profitti e occupazione. Ad esempio, la soluzione – come già capitato tante volte – può venire dalla ‘fusione’ con una realtà produttiva straniera. Ebbene, in una fase tanto delicata, quella della fusione, per l’appunto, meglio evitare, soprattutto da parte dei dirigenti ‘nostrani’, considerazioni troppo critiche, osservazioni troppo dure. A essere messo a rischio, così, difatti, è il posto di lavoro Cassazione, sent. numero 22322/2013, Sezione Lavoro, depositata oggi Out. Casus belli sono alcune «lettere», cariche di osservazioni negative, spedite dal «direttore commerciale» di un’azienda ad «azionisti e amministratore delegato». Tranchant la reazione dei vertici aziendali, che optano per il «licenziamento per giusta causa» del dirigente. Provvedimento discutibile? Non per i giudici. Difatti, sia in Tribunale che in Corte d’Appello, il «provvedimento datoriale» – «basato su una contestata insubordinazione per avere il dirigente dell’azienda, con mansioni di direttore commerciale, inviato agli azionisti ed allo stesso amministratore delegato una serie di lettere aventi contenuto ingiurioso e diffamatorio nei confronti dell’operato del proprio superiore gerarchico» – viene valutato come «non sprovvisto di giustificatezza». Anche se, aggiungono i giudici, non era da considerare legittima «la risoluzione immediata del rapporto» per questo motivo, viene riconosciuta «l’indennità sostitutiva del preavviso» a favore dell’ex dirigente. Ciò che conta, comunque, è che «le lettere si inserivano nell’ambito di una fusione con una società tedesca» e, «pur non avendo carattere offensivo», erano comunque «significative di un non sostenibile conflitto con il vertice societario, conflitto privo di giustificazione, così da ostacolare la normale prosecuzione del rapporto». Critiche fuori tempo. Ebbene, la visione delineata in secondo grado viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, soprattutto per quanto concerne la eccessiva durezza della «posizione critica» assunta dal dirigente «nei confronti dei vertici aziendali», posizione «idonea ad integrare un ostacolo alla normale prosecuzione del rapporto ed una lesione del legame di fiducia con il datore di lavoro, e, dunque, tale da escludere l’arbitrarietà del recesso datoriale». Ciò, a maggior ragione, considerando il «momento particolarmente delicato per l’azienda», che «aveva appena portato a termine una operazione di fusione» con una società tedesca. Rispetto a tale delicato quadro, le «perplessità» espresse dal dirigente «si ponevano quale aperto dissenso nei confronti della dirigenza, proprio in relazione alla gestione della fase di integrazione» tra le due società. Anche perché, viene aggiunto, ai «vertici aziendali» era stata imputata, dal dirigente, «mancanza di capacità di avere la visione del complesso degli affari» e «mancanza di un piano di azione chiaro e ufficiale» e, infine, «unidirezionalità delle informazioni» verso la società straniera «acquisita». Assolutamente legittima, quindi, per i giudici, la scelta aziendale, soprattutto perché le critiche espresse dal dirigente sono state ‘fuori tempo’. Pur tuttavia, tali critiche, espresse nelle «lettere indirizzate direttamente all’amministratore delegato», non avevano «intendo diffamatorio», perché, concludono i giudici, «il riferimento», fatto dal dirigente, a presunte «omissioni» va «ricondotto nell’ambito di una più generale richiesta di chiarimenti».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 maggio – 30 settembre 2013, numero 22322 Presidente Roselli – Relatore Marotta Svolgimento del processo La Corte di appello, giudice del lavoro, di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, che aveva respinto la domanda proposta da F.T. nei confronti della Nicotra S.p.a, e diretta a far accertare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato in data 25 luglio 2002, riteneva l'adottato provvedimento datoriale basato su una contestata insubordinazione per avere il T., dirigente dell'azienda con mansioni di direttore commerciale, inviato agli azionisti ed allo stesso amministratore delegalo una serie di lettere aventi contenuto ingiurioso e diffamatorio nei confronti dell'operato del proprio superiore gerarchico non sprovvisto di giustificatezza ancorché non tale da legittimare la risoluzione immediata del rapporto e, per l'effetto, condannava la società a corrispondere al T. l'indennità sostitutiva del preavviso. Riteneva, in particolare, la Corte territoriale che le lettere in questione, che si inserivano nell'ambito di una vicenda di fusione con una società tedesca, pur non avendo carattere offensivo erano tuttavia significative di un non sostenibile conflitto con il vertice societario, conflitto privo di giustificazione, così da ostacolare la normale prosecuzione del rapporto. Per la cassazione di tale sentenza F.T. propone ricorso affidato ad un motivo. Resiste con controricorso la Nicotra Gebhart S.p.A. già Nicotra S.p.A. e formula ricorso incidentale affidato ad un motivo cui il T. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1. I ricorsi hine et inde proposti avverso la stessa sentenza sono stati riuniti ex articolo 335 cod. proc. civ 2. Con l’unico articolato motivo il ricorrente principale denuncia “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ. . Si duole della ritenuta mancanza di prova della giustificatezza della posizione di contrasto assunta dal T. nei confronti dei vertici aziendali. Deduce che la Corte territoriale è pervenuta a tale giudizio conclusivo senza alcuna argomentazione ed in particolare senza tener conto dei molteplici documenti prodotti dal ricorrente a sostegno della fondatezza delle posizioni di contrapposizione assunte. Rileva, inoltre, che, in modo contraddittorio, la Corte di appello ha ritenuto che si fosse determinato un insostenibile ed ingiustificato conflitto, pur affermando che i toni della critica utilizzati dal T. erano stati espressi in modo rispettoso e confermavano la disponibilità di quest'ultimo a collaborare, una volta ottenuti i chiarimenti richiesti. Critica, infine, la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto dubbia la circostanza che il T. avesse un interesse personale a monitorare l'andamento della gestione del gruppo e quindi di tutte le società controllate dalla Nicotra Finanziaria S.p.A. laddove tale interesse risultava dalla documentazione prodotta evidenziante il diritto del T. a percepire un bonus sui risultati del gruppo. 3. Il motivo e infondato. 4. Come è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'articolo 360, comma l, numero 5, cod. proc. civ., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione cfr. ex multis, Cass. 11 luglio 2007, numero 15489 id, 6 marzo 2008, numero 6064 26 marzo 2010, numero 7394 20 marzo 2006, numero 6091 25 febbraio 2004, numero 2803 . La deduzione di un vizio di motivazione della sentenze impugnata con ricorso per cassazione conferisce, infatti, al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni volte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti - salvo i casi tassativamente previsti dalla legge - v - Cass., 16 gennaio 2007, numero 828 id, 30 marzo 2007, numero 7972 . D'altro canto, il motivo di ricorso per cassazione con il quale alla sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione non può essere utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre, in particolare, un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice, e non ai possibili vizi del relativo iter formativo v. Cass. 4 marzo 2011, 5241 id, 28 ottobre 2009, numero 22801 9 maggio 2003, numero 7058 . Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti come nella specie, a risolversi in una inammissibile istanza di recisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est in una richiesta di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità. Né ricorre per altro verso vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda v. ex plurimis, Cass., 18 maggio 1973, numero 1433 id, 28 giugno 1969, numero 2355 , quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest'ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito v. Cass., 21 ottobre 1972, numero 3190 id, 17 marzo 1971, numero 748 23 giugno 1967, numero 1537 . Non può, infatti, imputarsi al giudice di merito di avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l'una né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti, come nella specie, da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e delle emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per se sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell'adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse cfr. le già citate Cass. 12 aprile 2011, numero 8294 e 27 luglio 2006, numero 17145 nonché Cass. 7 gennaio 2009, numero 42 . Sotto altro profilo, risponde a principio del pari consolidato nella giurisprudenza di legittimità che quella data dal giudice ad un determinato atto di autonomia privata ovvero ad un contralto con il fine di determinare una realtà storica e obiettiva, non deve essere l'unica interpretazione possibile o la migliore in astratto ma una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando del contenuto di un determinato scritto siano possibili due o più interpretazioni plausibili , non è consentito alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra v. Cass., 2 maggio 2006, numero l0131 Cass. 25 ottobre 2006, numero 22899 . Orbene, nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha ritenuto, con motivazione congrua e logica, che sussistesse, sulla base della posizione fortemente critica assunta dal T. nei confronti dei vertici aziendali come emersa dall'interpretazione del contenuto delle lettere a firma del dirigente poste a base del provvedimento espulsivo , una situazione idonea ad integrare un ostacolo alla normale prosecuzione del rapporto ed una lesione del legame di fiducia con il datore di lavoro e, dunque, tale da escludere l'arbitrarietà del recesso datoriale. Tanto, peraltro, era accaduto, come pure evidenziato dalla Corte milanese, in un momento particolarmente delicato per l'azienda. Quest'ultima, infatti, aveva appena portato a termine una operazione di fusione con la società tedesca Gebhart e le perplessità così decisamente espresse dal T. rispetto al quale i giudici di appello hanno escluso la sussistenza di un interesse personale ad interloquire sull’andamento della gestione ritenendo che non vi fossero i presupposti per la realizzabilità dell’accordo per il conseguimento del bonus e che i diritti di opzione fossero stati previsti solo per l'ipotesi di trasferimento di azioni si ponevano quale aperto dissenso nei confronti della dirigenza, proprio in relazione alla gestione della fase di integrazione tra la Nicotra S.p.A. e la Gebharticolo Considerato, dunque, il ruolo di direttore commerciale ricoperto dal T. ed il contesto in cui la suddetta posizione critica era stata espressa, la Corte territoriale ha in modo coerente e logico argomentato che tale posizione manifestata attraverso l'imputazione ai vertici aziendali della mancanza di capacità di avere la visione del complesso degli affari e la sensibilità che nasce da una esperienza da primato in ambito internazionale nonché la mancanza di un piano di azione chiaro ed ufficiale ed una unidirezionalità delle informazioni dalla società resistente alla acquisita Giebhart , lungi dall'integrare - come pretenderebbe il ricorrente principale - una semplice critica costruttiva, potesse sostanziarsi in un chiaro e formale dissenso non più adeguato allo sviluppo delle strategie di impresa del datore di lavoro nell'esercizio della sua iniziativa economica e quindi rendere, anche solo per tale motivo, giustificata la sua espulsione nel quadro di scelte che in quel momento i vertici aziendali stavano intraprendendo per il Gruppo Nicotra. Da tanto consegue che il ricorso principale deve essere rigettato. 3. Con l'unico articolato emotivo di ricorso incidentale la società denuncia “Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360, numero 5, cod. proc. civ. . Evidenzia che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, le frasi utilizzate dal T. nelle lettere poste a base del provvedimento espulsivo, erano chiaramente dirette a denigrare l'operato dell’amministratore delegato della Nicotra S.p.A., ciò a mezzo dell’utilizzo di espressioni chiaramente attributive di incompetenza ed incapacità ed in ogni caso evidenzia che la forte territoriale, pur dando atto del fatto che missive in questione, con le quali si rimproveravano all'amministratore delegato precise omissioni, erano sarte inviate anche agli azionisti della società, non spiega le ragioni per le quali sarebbe da escludere la denigrazione e il carattere diffamatorio. Rileva, inoltre, che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto che sussistesse un interesse personale del T. tale da escludere che le affermazioni da questi espresse nelle missive in questione, ricollegabili a detto interesse, assumessero una valenza così grave da integrare una giusta causa di recesso evidenzia, al riguardo, che il predetto ricorrente non era affatto amministratore delegato di società estere ed era anche dimissionario dalla rivestite cariche di membro del consiglio di amministrazione e che le sue accuse avevano anche riguardato la gestione del gruppo dei mercati asiatici laddove egli stesso aveva ammesso di non essere mai stato in precedenza responsabile dell'Area cinese. Infine rileva la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha ritenuto che l'insanabile conflitto determinatosi con la posizione ingiustificatamente assunta dal T. avrebbe potuto consentire la prosecuzione del rapporto nel lungo termine di preavviso previsto per i dirigenti 12 mesi . Da ultimo si duole della contraddittoria esclusione dell'aliunde perceptum pur a fronte della ritenuta natura reale del preavviso. 4. Valga per tale motivo quanto sopra considerato con riguardo alla valutazione operata dal giudice di merito delle complessive risultanze del processo, evidentemente ma inutilmente non rispondente al diverso convincimento soggettivo della parte. Anche in questo caso da rilevato che non sussiste alcun insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione dal procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, non rilevando la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dalla parte. Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente incidentale, la Corte milanese ha spiegato le ragioni per le quali le frasi contenute nelle lettere a firma del T. dirette agli azionisti di maggioranza, poste a base delle contestazioni, pur integranti un aspro dissenso nei confronti dell'operato dei vertici aziendali, non avessero anche valenza offensiva o denigratoria - volta a ledere il decoro del dirigente - ciò in quanta le stesse innanzitutto non contenevano l’enunciazione di fatti specifici ma critiche di carattere generale ed inoltre erano prive di attacchi per personali e dunque, al più, destinate ad osteggiare la dirigenza e non dirette a denigrare un preciso ed individuato soggetto ed erano state utilizzate modalità espressive “toni” rispettose dei destinatari. Così anche per le lettere indirizzate direttamente indirizzate all'amministratore delegato la Corte territoriale ha escluso ogni intento diffamatorio, offesa o attacco personale ritenendo che il riferimento ad omissioni andasse ricondotto nell’ambito di una più generale richiesta di chiarimenti. Trattasi di motivazione nel complesso congrua e logica e come tale regge alle censure della ricorrente incidentale apparendo irrilevante, ai fini del ritenuto “interesse sociale” in ragione della competenza e del rango elevato del T. evidentemente diverso dall’”interesse personale” dello stesso ad interloquire sull'andamento della gestione , la circostanza che il predetto non fosse amministratore delegato di società estere del gruppo Nicotra bensì solo membro dimissionario del consiglio di amministrazione di alcune di tali società oltre che direttore commerciale. Per il resto la società enfatizza il mezzo utilizzato dal T. per la diffusione dei suoi scritti raccomandata con argomentazioni che, però, vengono a cadere a fronte della esclusa valenza oggettivamente offensiva e denigratoria del contenuta di tali scritti. Neppure può avere rilevanza, ai fini di una valutazione in termini di contraddittorietà della motivazione, l'aver ritenuto che l'insanabile conflitto determinatosi con la posizione assunta dal T. fosse tale da impedire la prosecuzione del rapporto pur a fronte del lungo tempo previsto per il preavviso 12 mesi , non sussistendo un nesso di dipendenza logica tra l’una circostanza e l'altra. Alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell'articolo 2118 cod. civ., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale - che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine - ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso cfr. ex plurimis Cass. 4 novembre 2010, numero 22443 id. 5 ottobre 2009, numero 21216, 11 giugno 2008, numero 15495 . Da tanto consegue anche che l'indennità sostitutiva del preavviso, per le ragioni sottese a tale istituto, non assume portata compensativa delle retribuzioni perdute per effetto del recesso, ma costituisce un’indennità di natura retributiva contrattualmente determinata, come tale non suscettibile di riduzione in costanza di un aliunde perceptum. La conclusiva affermazione della Corte territoriale, al di là dell'improprio riferimento ad una “giurisprudenza prevalente che riconosce natura reale al preavviso precedenti in tal senso si riferiscono alla tutela reale nei casi in cui il rapporto di lavoro prosegua a seguito della dichiarazione dell'illegittimità del recesso , è in linea con i principi espressi da questa Corte nelle decisioni del 16 ottobre 2006, numero 22127, 14 giugno 2006, numero 13732 e 14 ottobre 2005, numero 19903, secondo cui il diritto al preavviso non può assumere portata compensativa delle retribuzioni perdute per effetto del recesso anticipato della società. Da tanto consegue che anche il ricorso incidentale deve essere rigettato. L'esito di entrambi i ricorsi costituisce giusto motivo per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta compensa tra le parti le spese dei presente giudizio di legittimità.