Sentenza che ha fatto scalpore e che rischia di mettere in allarme l’intero mondo degli atenei italiani. L’avvocato Ticozzi, legale degli studenti e dell’associazione che hanno promosso la battaglia «Ribaditi principi fondamentali per il diritto allo studio. Pronuncia dal rilievo significativo».
La stringata definizione giornalistica è bella e pronta, mutuata dal calcio «Clamoroso al Cibali!». Molto più prosaicamente, «si tratta senza dubbio di un pronunciamento molto importante, non solo per la sua portata intrinseca, ma anche perché si discosta da alcuni precedenti di segno contrario», spiega Massimo Ticozzi, avvocato, affrontando la sorprendente sentenza emessa dal Tar Lombardia, che ha, in sintesi, condannato l’Università di Pavia a rimborsare gli studenti. Per quale ragione? Perché l’aumento delle tasse, approvato dal Consiglio d’Amministrazione dell’ateneo a marzo del 2010, ha superato la quota del 20% del Fondo di finanziamento ordinario dello Stato, stabilita per legge. Il paletto. Il quadro normativo di riferimento è la disciplina statale in materia di contributi universitari, e il nodo gordiano della vicenda – destinata ad essere presa a mo’ d’esempio anche in altre parti d’Italia – è la previsione secondo cui «la contribuzione studentesca non può eccedere il 20 per cento dell’importo del Finanziamento ordinario dello Stato». Su questo elemento è stato centrato il ricorso presentato da un’associazione e da numerosi studenti – entrambi rappresentati dall’avvocato Ticozzi –, ricorso accolto dal Tar Lombardia. Che ha verificato il superamento del limite – relativamente all’anno 2010 –, stabilendo che «l’eccedenza è pari all’1,331 per cento», e ha poi respinto le osservazioni mosse dall’Università di Pavia. A questo proposito, è stato ribadito il valore della «autonomia finanziaria e contabile degli atenei», ma allo stesso tempo è stato sottolineato che «non si può pretermettere la normativa statale dalla disciplina, che include l’onere economico che viene a gravare sullo studente. Perciò è di competenza dello Stato la fissazione di un tetto massimo alla contribuzione, nel rispetto del quale continua ad esercitarsi l’autonomia universitaria, tenuta a collocare il livello contributivo all’interno della forcella indicata». Peraltro, «la soglia non valicabile coniuga, in altre parole, l’autonomia finanziaria dell’Università con la prerogativa statale di assicurare l’esercizio effettivo del diritto allo studio». Cosa può comportare, come effetti collaterali, questo pronunciamento? Questa è la domanda principale, oggi Per Ticozzi rimangono, in eredità, «due principi qualificanti, pienamente condivisibili primo, la natura vincolante della norma regolamentare articolo 5, d.p.r. numero 306/1997 di cui è stata riconosciuta la violazione da parte dell’Università resistente, con la conseguenza che, stante quanto stabilito dalla sentenza in questione, deve ritenersi effettivamente preclusa, per gli atenei, la richiesta, a titolo di contribuzione annuale agli studenti, di una somma superiore al 20% di quanto ottenuto a titolo di finanziamento ordinario ministeriale nel medesimo anno, derivandone in caso contrario un obbligo giuridicamente azionabile dagli studenti alla restituzione degli importi versati al riguardo in eccedenza secondo, più in generale una interpretazione del quadro dei diritti costituzionali da parte del Tar secondo cui l’autonomia finanziaria e contabile degli atenei ben può essere legittimamente limitata dalla normativa statale, ove ciò sia necessario per garantire il diritto allo studio, costituzionalmente tutelato e certamente preminente rispetto all’autonomia degli atenei, a garanzia, altresì, del carattere pubblico ed universale dell’Università». Il futuro. Cosa può capitare, ora, agli atenei italiani? Anche tenendo presente la continua restrizione dei finanziamenti statali Per i giudici il problema non si pone la progressiva riduzione dei fondi statali, e quindi della soglia massima della contribuzione applicabile agli studenti, è «una circostanza di fatto, inidonea ad incidere sulla legittimità della previsione normativa». Piuttosto, sempre secondo i giudici, «l’Università ha comunque modo di elevare la contribuzione fino al tetto del 20 per cento rispetto a livelli che potevano essere più bassi, in presenza di un maggiore afflusso di finanziamenti erariali». Resta, comunque, l’impressione che la sentenza abbia creato allarme in tutti gli atenei d’Italia. Esiste il rischio di un ‘contagio’? «Sicuramente, ove altri atenei incorressero nella violazione della norma di cui all’articolo 5, d.P.R. 306/1997 richiedendo ai propri studenti come contribuzione studentesca somme superiori a quelle consentite, gli studenti stessi ben potranno attivarsi a fronte dei Tar competenti per tutelare i propri diritti ed interessi – spiega Ticozzi –. A tal riguardo, pur dovendosi considerare che, come noto, nel nostro sistema giuridico il precedente giurisprudenziale non è vincolante, credo che la sentenza in questione, anche alla luce dei principi giuridici sui quali si fonda, potrà assumere un rilievo significativo». Epperò, non si può non tener conto delle ristrettezze economiche – destinate, forse, ad aumentare – degli atenei italiani. Come ‘peserà’ questo aspetto, domani? Potrà, forse, spingere a una rivisitazione della norma? «Per il futuro nulla può essere escluso. Certo è che finché le norme, di cui in questo caso il Tar ha riconosciuto la violazione, saranno in vigore, qualunque provvedimento amministrativo non potrà legittimamente violarle inoltre, qualunque ulteriore intervento normativo sulla materia, a maggior ragione alla luce dei principi statuiti dal Tar della Lombardia nella sentenza in questione, potrà dirsi legittimo unicamente se rispettoso dei principi posti dalla Carta Costituzionale, con particolare riguardo al diritto allo studio. È, poi, chiaro che a fronte di una consistente e continua diminuzione del finanziamento ordinario ministeriale, già sensibilmente inferiore alla media europea, cui troppo spesso gli atenei rispondono incrementando le tasse universitarie, lo sforamento della soglia del 20 per cento e, dunque, la violazione della norma si possano verificare molto più facilmente che non in passato. Il senso della norma va, però, rinvenuto proprio nella necessità di evitare che tagli eccessivi possano essere scaricati dalle Università sugli studenti, con ciò comprimendo il diritto allo studio ed, in particolare, in via ulteriormente discriminatoria, quello dei meno abbienti sotto il profilo economico. Inoltre, a fronte della natura esponenziale dei tagli già previsti, l’aumento della contribuzione studentesca ed i tagli ai servizi rischiano di risultare misure di assai corto respiro, la cui efficacia è destinata ad esaurirsi nel breve volgere di uno o due anni, decorsi i quali, senza un adeguato finanziamento pubblico, il problema si riproporrebbe con portata ancora più dirompente». E, allora, cosa consiglia agli studenti universitari italiani? «Potrebbe sembrare un’ovvietà, ma ritengo che qualunque cittadino, laddove lamenti la lesione di propri diritti o di propri legittimi interessi, possa e debba al riguardo tutelarsi di fronte ai competenti organi giurisdizionali questa tutela, a fronte di eventuali futuri illegittimi incrementi della contribuzione studentesca, consiste nella tempestiva impugnativa dinanzi al Tar dei provvedimenti che li disporranno». Per chiudere, a Pavia dovranno essere rimborsati tutti gli studenti, non solo quelli che hanno presentato ricorso al Tar. Resta, però, ancora uno spiraglio «L’obbligo dell’Università di Pavia di attivarsi d’ufficio anche a favore degli studenti non ricorrenti che abbiano versato quanto divenuto indebito, a seguito dell’annullamento degli atti impugnati, è già espressamente e testualmente statuito dalla sentenza in questione, che è già esecutiva», ricorda Ticozzi, quindi «l’Ateneo è tenuto ad ottemperare». Ferma restando, però, «la possibilità di impugnare» la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato
TAR Lombardia, sez. I, sentenza 2 – 16 novembre 2011, numero 2761 Presidente Mariuzzo – Relatore Bignami Fatto e diritto Con ricorso ritualmente notificato e depositato l’associazione studentesca coordinamento per il diritto allo studio e 21 studenti iscritti all’Università di Pavia hanno impugnato gli atti indicati in epigrafe, con cui l’ateneo ha approvato il bilancio preventivo per l’anno 2010. Nelle more del giudizio, sono sopraggiunti gli atti di approvazione del bilancio consuntivo, che sono stati impugnati con motivi aggiunti riproduttivi delle censure svolte con il ricorso principale. Le doglianze investono i criteri con cui l’Università ha disciplinato gli oneri contributivi a carico dei propri studenti. Questo Tribunale, con sentenza non definitiva numero 7130 del 2010, ha già definito il terzo e sesto motivo di ricorso, accogliendoli, e il secondo, quarto e quinto motivo, respingendoli. Tali profili sono perciò pregiudicati, e le motivazioni che hanno sorretto le relative decisioni sono immediatamente traslabili ai corrispondenti motivi aggiunti. Resta da definire il primo motivo comune al ricorso principale ed a quello per motivi aggiunti , con cui i ricorrenti denunciano la violazione dell’articolo 5 del d.P.R. numero 306 del 1997, secondo il quale “la contribuzione studentesca non può eccedere il 20% dell’importo del finanziamento ordinario dello Stato, a valere sul fondo di cui all’articolo 5, comma 1, lett. a e comma 3 della legge 24 dicembre 1993, numero 537”. I ricorrenti sostengono che tale limite sia stato superato, con riferimento all’anno 2010. Il Tribunale ha disposto una duplice verificazione, che, con accertamento esente da vizi logici e congruamente motivato, ha acclarato che l’eccedenza è pari all’1,331%. È perciò pacifico che con gli atti impugnati l’Università abbia violato, per tale misura, l’articolo 5 del d.P.R. 306/97. La difesa dell’ateneo eccepisce, tuttavia, l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, poiché essa lederebbe l’autonomia finanziaria e contabile dell’Università, in modo manifestamente irragionevole. Difatti, a causa del progressivo taglio ai finanziamenti statali destinati a costituire il parametro di riferimento per il computo della contribuzione studentesca, quest’ultima verrebbe a ridursi progressivamente, in danno dell’efficienza stessa del servizio. Va premesso che l’articolo 5 in questione è norma di regolamento di delegificazione posto che le censure mosse attengono non già alla scelta di delegificare operata dalla legge, ma al contenuto concreto che la norma secondaria ha assunto a seguito di ciò, la questione di costituzionalità è inammissibile, in quanto non investe un atto avente forza di legge. Essa, peraltro, può venire convertita in doglianza di cui questo Tribunale può direttamente conoscere, ai fini dell’eventuale disapplicazione di una disposizione regolamentare applicabile in giudizio. I rilievi formulati dalla resistente non sono tuttavia condivisibili. È vero che la Costituzione garantisce l’autonomia finanziaria e contabile degli atenei, ma con ciò non si può pretermettere la normativa statale dalla disciplina, che è certamente di spettanza, attinente al diritto allo studio, la quale ultima include l’onere economico che viene a gravare sullo studente. È perciò di competenza dello Stato la fissazione di un tetto massimo alla contribuzione, nel rispetto del quale continua ad esercitarsi l’autonomia universitaria, tenuta a collocare il livello contributivo all’interno della forcella così indicata. Proprio la circostanza per cui l’articolo 5 si limita a determinare la soglia non valicabile coniuga, in altre parole, l’autonomia finanziaria dell’Università con la prerogativa statale di assicurare l’esercizio effettivo del diritto allo studio. Quanto alla progressiva riduzione di tale soglia, conseguente al decremento dei fondi statali, essa costituisce una circostanza di fatto, inidonea ad incidere sulla legittimità della previsione normativa contestata. Inoltre, a fronte di essa, l’Università ha comunque modo di elevare la contribuzione fino al tetto del 20%, rispetto a livelli che ben potevano essere più bassi, in presenza di un maggiore afflusso di finanziamenti erariali. Il primo motivo di ricorso è perciò fondato, e gli atti impugnati vanno annullati, nella parte in cui hanno determinato la contribuzione studentesca oltre il limite del 20%. Sono di conseguenza fondate le domande di condanna alla restituzione dell’indebito, ove effettivamente versato, con riferimento alla quota della contribuzione studentesca eccedente la soglia del 20%, e dunque per l’1,331% al contributo fisso di € 400,00 posto a carico dei dottorandi di ricerca al contributo di € 300,00 a carico degli studenti extra-comunitari. Tali statuizioni, peraltro, debbono pronunciarsi a favore dei soli studenti oggi ricorrenti, fermo restano l’obbligo dell’Università di attivarsi d’ufficio anche a favore degli altri studenti che abbiano versato quanto divenuto indebito, a seguito dell’annullamento degli atti impugnati. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano a carico della parte resistente in € 3. 000,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione I , definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede accoglie il primo motivo del ricorso principale e del ricorso recante motivi aggiunti, e per l’effetto annulla gli atti impugnati, per la parte in cui hanno determinato la contribuzione studentesca oltre la soglia del 20%, e quindi in eccedenza dell’1,331% accoglie il terzo e sesto motivo aggiunto, annullando gli atti impugnati nella parte ad essi relativi respinge il secondo, quarto e quinto motivo aggiunto condanna l’Università a restituire l’indebito conseguente alla presente pronuncia, come in motivazione. condanna l’Università a rifondere le spese, che liquida in € 3.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.