Legittimo chiedere il pagamento del maggior canone pattuito ""in nero""

Le inadempienze tributarie non inficiano la validità degli accordi tra le parti.

Il proprietario di un’unità immobiliare locata per un uso diverso rispetto a quello abitativo può agire in giudizio e chiedere lo sfratto per morosità se il conduttore è moroso con riferimento al canone effettivo determinato in maggior misura rispetto a quello contenuto nel contratto sottoscritto e regolarmente registrato. Le inadempienze tributarie, infatti, non inficiano la validità degli accordi tra le parti né, tanto meno, è possibile chiedere l’applicazione dell’articolo 13 l. numero 431/98, che risulta essere norma specificamente dettata per i contratti di locazione ad uso abitativo. Questa, nella sostanza, la decisione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 24457 del 21 novembre. Il caso . I proprietari d’un locale commerciale intimavano sfratto per morosità al conduttore del medesimo. Lamentavano l’omesso pagamento di una serie di mensilità. L’inquilino si opponeva alla domanda giudiziale ed in via riconvenzionale chiedeva la restituzione delle maggiori somme versate. In pratica le parti avevano sottoscritto un accordo, regolarmente registrato, che conteneva l’indicazione d’un canone inferiore rispetto a quello effettivo. Da qui la domanda principale e quella riconvenzionale. I giudizi di merito si sono chiusi con esiti alterni. In primo grado il locatario vedeva accolte le proprie istanze che, invece, venivano respinte dal giudice del gravame che accoglieva l’appello proposto dai proprietari del locale commerciale. Lo sfratto s’aveva da fare! Il contratto dissimulato è pienamente valido al di là delle infrazioni di carattere tributario . Questa la conclusione cui è giunta la Corte d’appello. Da qui il ricorso per Cassazione del conduttore. Dichiarato in parte infondato e in parte inammissibile. In particolare, sulla vicenda del contratto simulato, il ricorrente si lamentava dell’omessa pronuncia in merito all’applicazione nel caso di specie dell’articolo 13, primo comma, l. numero 431/98 che, in relazione al canone locatizio, prevede la nullità di ogni pattuizione diversa da quella contenuta nel contratto scritto e registrato. I giudici di piazza Cavour, nel respingere questa domanda, hanno prima d’ogni cosa inquadrato la reale portata applicativa della norma citata. In particolare gli Ermellini, in conformità ai propri precedenti sul punto, hanno evidenziato come la giurisprudenza abbia interpretato restrittivamente il dettato normativo affermando che «la nullità prevista da citato articolo 13, primo comma, non è diretta a colpire il contratto di locazione ad uso abitativo, in tutto o in parte non registrato, ma solo a inficiare gli eventuali parte di aumento del canone, a tutela dell’interesse del conduttore a usufruire dell’immobile per tutta la durata del rapporto a condizioni stabili e immutabili, a pagare cioè il canone fissato nel contratto». Unica eccezione, chiosano i giudici, gli adeguamenti del canone agli indici Istat. Traslando il principio nella pratica quotidiana se Tizio loca a Caio un’unità immobiliare scrivendo nel contratto registrato che il canone dovuto è pari a 10 ma in realtà l’accordo prevede il versamento di 15, non è tutto il contratto ad essere nullo ma solamente la parte in cui è previsto il versamento di un maggior canone rispetto a quello pattuito nell’accordo registrato. No all’applicazione analogica della normativa in materia di locazione ad uso abitativo. V’è di più, secondo la Corte che ha escluso definitivamente l’applicazione di questa norma al caso di specie. Si legge in sentenza, infatti, che «non si vede come possa predicarsi l’applicazione analogica di una norma che eccezionalmente, e nei limiti testé evidenziati, detta una regola diversa per le sole locazioni aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo».

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 ottobre – 21 novembre 2011, numero 24457 Presidente Trifone – Relatore Amendola Svolgimento del processo Con atto notificato il 24 febbraio 2006 B.M. ed Z.I., locatori di un immobile adibito a uso non abitativo, intimarono sfratto per morosità a Immobiliare Iseo di L. M. per mancato pagamento di parte del canone pattuito, a partire dal mese di ottobre del 2005. La convenuta, costituitasi in giudizio, contestò l'avversa pretesa, chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna degli attori alla restituzione della somma di Euro 16.010,15, corrisposta in più del dovuto. Il giudice adito, con sentenza del 30 maggio 2007, rigettò la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e, in accoglimento della riconvenzionale dalla stessa spiegata, condannò i locatori a restituire le somme percepite in più, rispetto a quanto previsto nel contratto registrato. Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d'appello, in riforma della decisione impugnata, ha dichiarato risolto per inadempimento del conduttore il contratto dedotto in giudizio, per l'effetto condannando Immobiliare Iseo di L. M. al rilascio dell'immobile nonché al pagamento della differenza tra quanto dovuto a titolo di canone e le minori somme effettivamente corrisposte. In motivazione il giudicante, dato atto dell'esistenza, di un contratto dissimulato recante la previsione di un canone annuo superiore a quello indicato nel contratto registrato, ne ha affermato la piena validità ed efficacia, segnatamente evidenziando che la frode fiscale trova la sua sanzione esclusivamente nel sistema delle disposizioni di carattere tributario. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre Immobiliare Iseo di L. M., formulando due motivi. Resistono con controricorso M B. ed Z.I Motivi della decisione 1.1 Con il primo motivo l'impugnante denuncia mancanza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex articolo 360, numero 5, cod. proc. civ. La Corte territoriale avrebbe invero omesso di pronunciare sulla invocata applicazione analogica dell'articolo 13 della legge 9 dicembre 1998, numero 431, che, con riferimento ai contratti di locazione di immobili adibiti a uso abitativo, sancisce la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. 1.2 Con il secondo mezzo la ricorrente lamenta violazione degli articolo 1413, 1415 e 1344 cod. civ., ex articolo 360, numero 3 cod. proc. civ Avrebbe errato il giudice d'appello nel ritenere non condivisibile, in quanto arbitraria e priva di riscontri normativi, la qualificazione in termini di condicio iuris - e cioè di condizione di esigibilità ed efficacia del maggior canone pattuito - della registrazione del contratto di locazione. 2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate. In particolare, quanto al denunziato malgoverno della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato, di cui all'articolo 112 cod. proc. civ., è giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte che la eventuale violazione, da parte del giudice di merito, di tale norma, deve essere dedotta, a pena di inammissibilità, sotto il profilo di cui all'articolo 360, numero 4, cod. proc. civ. confr. Cass. civ. 17 dicembre 2009, numero 26598 Cass. civ. 19 gennaio 2007, numero 1196 , laddove nella specie il ricorrente lo ha prospettato come vizio motivazionale, ex articolo 360, numero 5, cod. proc. civ 3 Le critiche sono in ogni caso manifestamente infondate. Occorre muovere dal rilievo che l'articolo 13, primo comma, della legge 9 dicembre 1998, numero 431, con riferimento ai contratti di locazione a uso abitativo, prevede la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. Peraltro la giurisprudenza di questa Corte ha notevolmente ridimensionato la portata che, prima facie , ha tale disposizione. È stato infatti affermato che essa non si riferisce all'ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo, non potendosi sostenere, in base a una interpretazione costituzionalmente orientata e al principio della normale irrilevanza, nei rapporti tra le parti, della omissione degli adempimenti fiscali che la norma abbia voluto sanzionare con la nullità l'ipotesi della sottrazione all'imposizione di una parte soltanto del canone quella eccedente l'importo risultante dal contratto scritto e registrato , che è violazione certamente meno grave della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito, in cui v'è totale evasione degli oneri tributari. Si è così affermato che la nullità prevista dal citato articolo 13, primo comma, non è diretta a colpire il contratto di locazione ad uso abitativo, in tutto o in parte non registrato, ma solo a inficiare gli eventuali patti di aumento del canone, a tutela dell'interesse del conduttore a usufruire del godimento dell'immobile, per tutta la durata del rapporto, a condizioni economiche stabili e immutabili, a pagare cioè il canone fissato nel contratto, salvo le forme di aggiornamento, come quelle ancorate agli indici Istat, previste dallo stesso legislatore confr. Cass. civ. 27 ottobre 2003, numero 16089 . In tale prospettiva, di riconosciuta generale ininfluenza, sulla validità del contratto, della inosservanza della normativa fiscale, non si vede come possa predicarsi l'applicazione analogica di una norma che eccezionalmente, e nei limiti testé evidenziati, detta una regola diversa per le, sole locazioni aventi ad oggetto immobili destinati ad uso abitativo. Ed è infatti stato ripetutamente affermato da I questa Corte che trattasi di disposizione di stretta interpretazione confr. Cass. civ. 18 marzo 2008, numero 7282 Cass. civ. 29 settembre 2004, numero 19568 . 4 Infine nessun rilievo ha il silenzio serbato dal decidente su alcune deduzioni della parte, pacifico essendo che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione difensiva, risultando necessario e sufficiente, in base all'articolo 132, numero 4 cod. proc. civ., che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia - configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto - non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto confr. Cass. civ., 12 gennaio 2006, numero 407 . Il ricorso è respinto. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari , oltre IVA e CPA, come per legge.