Omesso versamento, ma la denuncia della posizione debitoria è ok: nessuna truffa

L’imprenditore che non versa l’indennità di malattia e gli assegni familiari al lavoratore, ma denuncia la sua posizione debitoria con l’INPS, non commette il reato di truffa potrebbe eventualmente configurarsi il reato di appropriazione indebita.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 18762/13, depositata lo scorso 29 aprile. La fattispecie. Il Gip di Cagliari, pronunciandosi sulla richiesta del p.m. di emissione del decreto penale di condanna nei confronti dell’amministratore unico di una s.r.l. una donna , in ordine al reato di truffa continuata e aggravata ai danni dell’INPS perché aveva omesso di corrispondere ad un dipendente l’indennità di malattia e gli assegni familiari per un totale di 2.995/,74 euro, dichiarava l’improcedibilità dell’azione penale per l’insussistenza del fatto. Infatti, secondo il giudice, difettavano gli artifizi e i raggiri perché l’imputata aveva correttamente rappresentato nel modello DM10 la sua posizione debitoria e creditoria nei confronti dell’INPS. Truffa o appropriazione indebita? A ricorre per cassazione è il Procuratore Generale, il quale, ricordando una recente pronuncia di legittimità, sostiene che «l’artificio sarebbe costituito dalla fittizia esposizione in un modello ufficiale di somme non corrisposte effettivamente al lavoratore, con conseguente induzione in errore dell’INPS sul diritto ai conguagli di dette somme mai corrisposte e conseguente ingiusto profitto per l’agente» Cass., numero 11184/2007 . Tuttavia la Corte di Cassazione concorda con la formula di proscioglimento adottata dal Gip il fatto non sussiste e sottolinea che la falsa rappresentazione riguardava «non l’esistenza del debito portato a conguaglio, ma solo l’anticipazione delle relative somme al lavoratore». Mancano gli artifici e/o raggiri. In pratica gli Ermellini sostengono che nel caso in cui «il datore di lavoro si limiti ad esporre dati e notizie false in sede di denunce obbligatorie», è configurabile il reato di cui all’articolo 37 legge numero 689/1981 omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria e non il diverso reato di truffa, «per il quale, oltre alle false dichiarazioni, devono sussistere artifici e/o raggiri di altra natura» che «potrebbero ravvisarsi ove all’INPS fosse simulata la situazione all’origine del debito portato a conguaglio».

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 gennaio – 29 aprile 2013, numero 18762 Presidente Esposito – Relatore Cammino Osserva Con sentenza in data 16 novembre 2010 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari, pronunciandosi sulla richiesta del pubblico ministero di emissione del decreto penale di condanna nei confronti di M.I. in ordine al reato di truffa continuata e aggravata ai danni dell'I.N.P.S. articolo 81, 640 cpv., 61 numero 11 c.p. , commesso nel mese di omissis e fino al omissis , dichiarava l'improcedibilità dell'azione penale per insussistenza del fatto. Il giudice per le indagini preliminari riteneva che nella condotta della M. , amministratore unico e liquidatore della ESSEMME s.r.l. che aveva omesso di corrispondere al dipendente L.F. l'indennità di malattia e gli assegni familiari a carico dell'INPS per un totale di 2.995,74 Euro facendo comunque portare la somma a conguaglio dall'istituto previdenziale, difettassero artifizi o raggiri perché l'imputata nel modello DM10 aveva correttamente rappresentato la sua posizione debitoria e creditoria nei confronti dell'I.N.P.S. evidenziando in particolare nella denuncia contributiva il suo debito nei confronti del lavoratore anche per l'indennità di malattia e le somme degli assegni familiari. Secondo il giudice di merito l'imputata sarebbe incorsa nell'errata interpretazione di una norma extrapenale articolo 1, commi 1 e 2, D.L.633/79 , e quindi in un errore sul fatto che escludeva il dolo. La norma in questione prevede che all'I.N.P.S. debbano essere comunicati i dati relativi alle prestazioni di malattia, assegni familiari e di maternità erogate, e non già quelle che si riconosce di dover erogare ma che non sono state di fatto erogate. Il Procuratore Generale ricorrente deduce l'erronea vantazione sull'esistenza dell'elemento oggettivo del reato in quanto, secondo la più recente giurisprudenza, nella fattispecie in esame l'artificio sarebbe costituito dalla fittizia esposizione in un modello ufficiale modello F24, con dichiarazione fatta a modello DM-10 di somme non corrisposte effettivamente al lavoratore, con conseguente induzione in errore dell'INPS sul diritto ai conguagli di dette somme mai corrisposte e conseguente ingiusto profitto per l'agente. Non si tratterebbe pertanto di una mera evasione contributiva ai sensi dell'articolo 37 legge numero 689/1981 Cass. sez. II 15 marzo 2007 numero 11184 . Nell'interesse dell'imputata è stata depositata una memoria difensiva in cui si sostiene l'inammissibilità del ricorso il Procuratore generale aveva proposto appello, ma la Corte territoriale aveva qualificato l'impugnazione come ricorso e disposto la trasmissione degli atti a questa Corte ai sensi dell'articolo 568 c.p.p. , che proporrebbe censure di fatto, e si afferma che, comunque, nel caso di specie non sarebbero stati posti in essere artifici o raggiri ai danni dell'I.N.P.S. che, nell'esercizio dell'attività di ispezione o di controllo, aveva prontamente scoperto l'irregolarità. Si sostiene che il datore di lavoro corrisponde l'indennità di malattia per conto dell'I.N.P.S. con le modalità previste dall'articolo 1 D.L.30 dicembre 1979 numero 633, conv. con modificazioni dalla legge 29 febbraio 1980 numero 33, ed ha l'obbligo di comunicare all'I.N.P.S. nella denuncia contributiva i dati relativi alle prestazioni economiche di malattia, ma in caso di mancata effettiva erogazione dell'indennità sarebbe soggetto solo ad una sanzione amministrativa pecuniaria ex arti co. 12 D.L.633/79 nessun danno per effetto della sua condotta subirebbe infatti l’I.N.P.S., mentre per il datore di lavoro al più potrebbe configurarsi il reato di appropriazione indebita nei confronti del lavoratore. Solo nel caso in cui il datore di lavoro simulasse lo stato di malattia del dipendente sussisterebbe il danno per l'I.N.P.S., simulandosi artificiosamente, l'esistenza di un obbligo a carico dell'ente. Si chiede la trasmissione del ricorso alle Sezioni Unite prospettando un contrasto giurisprudenziale si richiamano a tal fine le sentenze Cass. sez. II 24 aprile 2002 numero 15600 e Cass. sez. III 2 marzo 2006 numero 15077 . Il ricorso è infondato e va rigettato. Nella motivazione della sentenza impugnata si puntualizza che il credito della lavoratrice era esistente, così come era esistente il suo credito alla retribuzione, e che, conseguentemente, l'imputata aveva l'obbligo di anticipare per conto dell'I.N.P.S. gli assegni familiari e l'indennità di malattia, malattia la cui esistenza non era stata contestata in sede ispettiva. Si esclude, pertanto, che l'imputata abbia messo in atto dei raggiri nei confronti dell'ente previdenziale evidenziando nella denuncia contributiva il suo debito nei confronti del lavoratore in relazione indennità che non erano state di fatto erogate prospettando sul punto un errore della M. nell'interpretazione di norma extra-penale arti, commi 1 e 2 D.L. 633/79 . La Corte, fermandosi all'esame della verifica della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato il cui difetto è coerente con la formula di proscioglimento adottata il fatto non sussiste , rileva che nel caso di specie nei modelli DM 10 prospetti con i quali mensilmente il datore di lavoro denuncia all'I.N.P.S. le retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, i contributi dovuti e l'eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate per conto dell'ente, delle agevolazioni e degli sgravi il versamento dei contributi dovuti sulla base dei dati indicati sul modello DM10 viene effettuato con il modello F24 la falsa rappresentazione riguardava non l'esistenza del debito portato a conguaglio, ma solo l'anticipazione delle relative somme al lavoratore. Non può prescindersi inoltre dal considerare che le somme dovute per assegni familiari e indennità di malattia in favore del lavoratore costituiscono un debito dell'I.N.P.S. e non del datore di lavoro che, in forza dell'articolo 1 D.L. numero 633/79, è tenuto ad anticiparle salvo conguaglio. Questa Corte ha già affermato che allorché il datore di lavoro si limiti ad esporre dati e notizie false in sede di denunce obbligatorie, è configurabile il reato di cui all'articolo 37 della legge 24 novembre 1981 numero 689 qualora dal fatto derivi un'evasione contributiva per un importo mensile superiore a L. 5.000.000 e non il diverso reato di truffa, per il quale, oltre alle false dichiarazioni, devono sussistere artifici e/o raggiri di altra natura Cass. sez. III 27 dicembre 2000 numero 12169, P.M. in proc. Doti che, in ipotesi, potrebbero ravvisarsi ove all'I.N.P.S. fosse simulata la situazione all'origine del debito portato a conguaglio. Allorché, invece, la discordanza tra la situazione rappresentata all'I.N.P.S. e quella reale riguardi solo l'effettiva erogazione di somme che l'ente previdenziale è tenuto a corrispondere al lavoratore tramite il datore di lavoro e quest'ultimo sostanzialmente riconosca il suo obbligo di corrisponderle pur non avendole di fatto, ancora, corrisposte nei confronti dell'ente previdenziale il datore di lavoro sicuramente realizza - o, quanto meno, pone in essere atti idonei a realizzare - l'ingiusto profitto del conguaglio delle prestazioni che assume di aver anticipato, ma non determina alcun danno. Il lavoratore, infatti, non potrebbe che rivolgersi al datore di lavoro per ottenere quanto gli spetta avendo l'I.N.P.S., attraverso il conguaglio, adempiuto il suo obbligo. Sotto questo profilo il reato di truffa non sussiste. Nel delitto di truffa, mentre il requisito del profitto ingiusto può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve infatti avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la cooperazione artificiosa della vittima che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva del bene da parte della stessa Cass. Sez. Unumero 16 dicembre 1998 numero 1, Cellammare . Nel caso di specie l'I.N.P.S., indicato nell'imputazione quale soggetto passivo del reato di truffa, non risulta aver risentito per effetto della condotta dell'imputata uno specifico ed effettivo danno di indole patrimoniale ovvero un reale depauperamento economico, nella forma del danno emergente o del lucro cessante. Nella condotta ascritta all'imputata potrebbe invece eventualmente configurarsi il reato di appropriazione indebita nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro che trattenga le somme indebitamente portate a conguaglio in relazione a prestazioni di cui si è sostanzialmente riconosciuto debitore per conto dell'ente previdenziale e corrispondenti a somme di denaro determinate nel loro ammontare e già fatte figurare come erogate al lavoratore. Solo in termini generici è stato prospettato un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni di questa Corte, attraverso il riferimento a sentenze che, pur affrontando in relazione a casi simili a quello in esame il tema della distinzione tra truffa e mera evasione contributiva ai sensi dell'articolo 37 legge numero 689/1981 in termini diversi, non esaminano la questione sotto il profilo della sussistenza del danno. P.Q.M. rigetta il ricorso.