Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa. Tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 delle Costituzione.
Con la sentenza numero 6333, depositata il 13 marzo 2013, la Corte di Cassazione ha ribadito la propria giurisprudenza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il ridimensionamento del personale per la riorganizzazione aziendale. Un dipendente di un albergo, con mansioni di impiegato amministrativo, viene licenziato per ridimensionamento del personale dovuto alla riorganizzazione aziendale, insieme ad altre due persone. Gli assunti a tempo indeterminato passano così da 20 a 17 unità. Lavoratore reintegrato dai giudici di merito il datore non ha dimostrato abbastanza. Il lavoratore impugna il licenziamento. Tribunale e Corte d’Appello gli danno ragione, rilevando che «non era stata data prova delle circostanze dedotte a giustificazione del recesso, e cioè che la soppressione del posto era stata determinata dall’andamento negativo della gestione e dalla correlata necessità di contenimento dei costi». Nemmeno sarebbe stato provato che il lavoratore non potesse essere impiegato nell’altra sede della società, fuori dalla struttura alberghiera. Il datore di lavoro ricorre per cassazione, sostenendo che il giudice avrebbe superato i limiti del controllo giudiziale consentito e non avrebbe considerato che nell’altra sede societaria non era allocato nessun dipendente. Libertà di iniziativa economica il giudice non può sindacare su tutto. La Corte ritiene fondate le doglianze. Ricordando la propria giurisprudenza in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, afferma che nel caso in cui il licenziamento sia determinato da ragioni attinenti l’attività produttiva, come è il riassetto organizzativo, il giudice può solo sindacarne l’effettività, ma non la scelta, che è rimessa totalmente al datore di lavoro, in applicazione dell’articolo 41 Cost., che tutela la libertà di iniziativa economica. Al momento del licenziamento, di fronte alla richiesta di più approfondite motivazioni, il datore ha risposto che la scelta è «anche connessa alla necessità di ridurre i costi di gestione». Il giudice non può ritenere illegittimo il licenziamento perché il datore non ha dimostrato l’andamento negativo dell’azienda, perché in questo modo «subordina l’esercizio delle prerogative imprenditoriali, che pure ritiene insindacabile, al riscontro di un requisito ulteriore e va oltre i limiti che egli stesso si è dato». Quindi «l’effettività della riorganizzazione aziendale è sufficiente a concretizzare il giustificato motivo oggettivo». Nessun obbligo di repechage. La Corte rileva poi che il giudice non ha basato su nessun elemento concreto il fatto che nella sede legale dell’azienda «esistesse una specifica organizzazione aziendale», risultando quindi una statuizione del tutto apodittica far scattare l’obbligo di repechage a carico del datore di lavoro. Licenziamento legittimo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione, annulla la sentenza impugnata e, avendo tutti gli elementi per poter decidere, rigetta la domanda di illegittimità del licenziamento proposta dal lavoratore.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 dicembre 2012 – 13 marzo 2013, numero 6333 Presidente La Terza – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Palermo M.F. impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli in data 15.01.07 da President s.r.l., della quale era stato dipendente con mansioni di impiegato amministrativo, quale addetto all'azienda alberghiera dalla stessa gestita. 2. Accolta la domanda, annullato il licenziamento ed ordinata la reintegra del lavoratore, President s.r.l. proponeva appello sostenendo l'erroneità della pronunzia, non essendo stato considerato che il posto del ricorrente era stato soppresso con assegnazione ad altri dipendenti delle sue mansioni. La Corte d'appello di Palermo con sentenza del 7.10.09 rigettava l'impugnazione, rilevando che non era stata data la prova delle circostanze dedotte a giustificazione del recesso, e cioè che la soppressione del posto era stata determinata dall'andamento negativo della gestione e dalla correlata necessità di contenimento dei costi, né era stata prova che il medesimo non potesse essere impiegato non solo non solo nella struttura alberghiera, ma anche presso gli uffici della società. 3.- Propone ricorso per cassazione illustrato da memoria President s.r.l., risponde con controricorso M Motivi della decisione 4.- I motivi dedotti dalla ricorrente posso riassumersi come segue. 4.1.- Primo motivo violazione degli articolo 345, 414 numero 4 e 5 e 421 c.p.c., errar in procedendo e carenza di motivazione, sostenendosi che la Corte d'appello sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione, avendo pronunziato su profili di illegittimità non denunziati dal lavoratore e non fatti oggetto di istanze probatorie. Il giudice, infatti, ha deciso la causa sul presupposto che il personale dipendente fosse allocato in due sedi, presso l'albergo sito in e presso la sede sociale sita in omissis , e non , come affermato dal giudice e che non fosse stata data prova circa la possibilità di non poter collocare il dipendente in esubero presso tale seconda sede, in tal senso condividendo l'accertamento del primo giudice senza tuttavia, rendersi conto che il personale era interamente allocato presso la struttura alberghiera e che tale circostanza avrebbe potuto essere facilmente acclarata dal semplice esame del libro matricola. 4.2.- Secondo motivo violazione dell'articolo 41 Cost., dell'articolo 345 c.p.comma e dell'articolo 3 della l. 15.07.66 numero 604, nonché carenza di motivazione. La Corte d'appello pur dando atto della riorganizzazione aziendale e dell'insindacabilità della scelta di portare da 20 a 17 le unità di lavoro a tempo indeterminato, con soppressione del posto del M. , ha ritenuto assorbente la circostanza che il datore non avesse dato prova che le sue scelte fossero state determinate da negativo andamento aziendale, superando i limiti del controllo giudiziale consentiti dall'articolo 41 Cost. ed eccedendo i poteri riconosciuti al giudice dall'articolo 3 della legge numero 604 in tema di apprezzamento del giustificato motivo oggettivo. 5.- Anteponendo la trattazione del secondo motivo, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità ritiene che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva — nel cui ambito rientra l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa — è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'articolo 41 Cost., atteso che al controllo giudiziale è sottoposta solo la effettività del motivo addotto dall'imprenditore. Ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato v., assieme a molte altre e da ultimo, Cass. 30.11.10 numero 24235 . 6.- Dagli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte di merito, risulta che il recesso, secondo quanto risultante dalla lettera di licenziamento del 15.01.07, fu determinato da scelta imprenditoriale di riorganizzazione aziendale , cui conseguiva la soppressione del posto di addetto al controllo amministrativo cui era addetto il M. . Il datore di lavoro con la successiva lettera del 23.01.07, che rispondeva alla richiesta del dipendente di precisare i motivi, precisò che detta scelta [di ridimensionamento] è anche connessa alla necessità di ridurre i costi di gestione . Leggendo in combinato le due missive, il giudice di merito è pervenuto alla conclusione che, ferma restando l'insindacabilità della scelta del datore di riorganizzare l'azienda, sarebbe stato comunque onere del datore dare anche prova che la riorganizzazione era conseguente al negativo andamento della gestione. Tale opinione nasce da una illogica valutazione dei presupposti di fatto che hanno condotto al licenziamento del M. , atteso che la Corte d'appello non pone in dubbio che sia stata posta in atto una riorganizzazione aziendale, con assegnazione delle mansioni già esercitate dal M. ad altri lavoratori, e pur tuttavia impone al datore l'onere di provare che la riorganizzazione sia stata conseguenza del cattivo andamento della gestione. Innanzitutto, dal dato letterale della corrispondenza intercorsa tra le parti, emerge che la scelta del datore fu determinata anche e non esclusivamente dalla necessità di ridurre i costi di gestione, per cui sul piano logico è arbitraria la conclusione che la riorganizzazione aziendale nascesse solo dall'andamento negativo della gestione. Inoltre, una volta data per scontata l'esistenza effettiva della riorganizzazione aziendale, con la richiesta di provare l'andamento negativo della gestione e la conseguente necessità di contenere i costi, il giudice di merito subordina l'esercizio delle prerogative imprenditoriali, che pure ritiene insindacabile, al riscontro di un requisito ulteriore e va oltre i limiti che egli stesso si è dato per la valutazione del comportamento datoriale. 7.- In definitiva, la riscontrata effettività della riorganizzazione aziendale è sufficiente a concretizzare il giustificato motivo oggettivo e rende superflua ogni ulteriore indagine circa le ragioni che hanno determinato la scelta imprenditoriale. Il secondo motivo di ricorso è, dunque, fondato. 8.- Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che la sentenza di merito parte dall'indimostrata circostanza che President s.r.l. avesse una seconda sede in Acireale e che, quindi, il datore dovesse dar prova che presso detta sede non esistessero mansioni cui il predetto potesse essere destinato. Tale affermazione è priva di riferimento agli atti del giudizio di merito, in quanto dal loro esame consentito in ragione del vizio denunziato risulta solo la circostanza che President s.r.l. avesse la sede legale in omissis e non in , v. anche la ragione sociale indicata in calce alla procura rilasciata per il giudizio di legittimità . La circostanza che presso la sede legale esistesse una specifica organizzazione aziendale, tale da assurgere a sede secondaria della società in aggiunta alla sede dell'albergo, sita in , è frutto non di uno specifico accertamento del giudice, ma oggetto di una affermazione apodittica, priva di riscontro concreto, e come tale inidonea a far scattare l'obbligo del repechage a carico del datore di lavoro. Anche il secondo motivo è, dunque, fondato. 9.- Fondati entrambi i motivi, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell'articolo 384, comma 2, c.p.comma pronunziando nel merito, la domanda deve essere rigettata. 10.- Sussistono giusti motivi per procedere alla compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda, compensando tra le parti le spese dell'intero giudizio.