La residenza comune, in questo caso non provata, costituisce il primo dato indiziario da cui poter desumere l’esistenza della convivenza da nessun dato può dedursi che hanno provveduto al suo mantenimento per gli stessi motivi è stata fatta un’altra causa da altre persone.
Questo è il caso che ha dovuto decidere la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 4841, depositata il 26 febbraio 2013. Un ragazzo rumeno muore in Italia, i parenti chiedono il risarcimento dalla Romania. Un ragazzo rumeno muore in Italia in un incidente stradale, a bordo di un’auto di proprietà e guidata da un suo connazionale. Dalla Romania, tramite un procuratore speciale, gli zii della vittima, o almeno presunti tali, chiedono il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del nipote, chiamando in causa il guidatore e la sua assicurazione. Tribunale e Corte d’Appello respingono le domanda risarcitoria, ritenendo non dimostrato né il rapporto di parentela né quello di convivenza. I due ricorrono allora per cassazione della sentenza di appello per la sua contraddittorietà e per la mancata considerazione unitaria delle risultanze istruttorie. La domanda di partenza si basa sul fatto di aver cresciuto a mantenuto la vittima come se fosse stato un figlio. La Corte respinge il ricorso e conferma le decisioni del merito. La convivenza non è provata, nessun risarcimento. E’ stato infatti corretto aver ritenuta essenziale la mancata prova della residenza comune, visto che, in materia, la residenza è il primo dato indiziario da cui desumere la convivenza. Il certificato del Sindaco del Comune in Romania, oltre a essere stato presentato in ritardo, è generico, «stante l’attestazione della iscrizione nel registro agricolo con la famiglia della nonna, con residenza apparentemente diversa da quella dei ricorrenti». In ogni caso non è stata fornita alcuna documentazione in grado di dimostrare che i ricorrenti avessero provveduto al mantenimento e all’istruzione della vittima, come fotografie o attestati scolastici. Altri sostengono di aver mantenuto loro la vittima. Peraltro c’è una situazione di incertezza derivante dal fatto che un’altra causa di risarcimento era stata promossa da altre persone, sul presupposto, anch’esse, di avere provveduto ad allevare e mantenere la vittima. Dalle varie testimonianze, compresa quella del Parroco del Comune, non è emersa con chiarezza la convivenza. Per questi motivi, i presunti zii della vittima non hanno diritto ad alcun risarcimento dei danni.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 16 gennaio – 26 febbraio 2013, numero 4841 Presidente Finocchiaro – Relatore Carluccio Ritenuto che, prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui agli articolo 376 e 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione che la relazione ha il seguente contenuto “1. E.L. , nella qualità di procuratore speciale di B.G. e P. — zii con un rapporto di assistenza e convivenza con C B. - agiva per il risarcimento dei danni conseguenti alla morte del suddetto C. , trasportato nell'autovettura di proprietà e condotta da Ma Ba. , convenendo in giudizio il Ba. e la rispettiva assicurazione. Il Tribunale di Bassano del Grappa rigettava la domanda ritenendo non dimostrato il rapporto di parentela, né quello di convivenza di fatto con il defunto. 2. L'impugnazione proposta da E. , nella qualità, veniva rigettata dalla Corte di appello di Venezia sentenza del 12 luglio 2010 . 3. Avverso la suddetta sentenza E. , nella qualità, ricorre per cassazione, con due motivi. L'Assicurazione si difende con controricorso. Ba. non svolge difese. È applicabile ratione temporis la legge 18 giugno 2009, numero 69. Proposta di decisione 1. I motivi, strettamente connessi, sono esaminabili congiuntamente. Sostanzialmente, il ricorrente censura la sentenza per contraddittorietà e insufficienza della motivazione, per la mancata considerazione unitaria delle risultanze istruttorie, oltre che per omessa motivazione sotto il profilo del mancato esame di testimonianze e di documenti articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., restando non pertinente l'invocazione dell'articolo 112 cod. proc. rispetto al mancato esame di documenti inoltre, invoca la violazione dell'articolo 345 cod. proc. civ. in ordine alla produzione in appello del certificato del Sindaco. 2. La Corte di merito, nel confermare il rigetto della domanda, dopo aver preliminarmente dato atto che la domanda si fondava non solo sul rapporto parentale zii della vittima ma anche sulla convivenza di fatto, per avere i ricorrenti allevato e mantenuto la vittima come se fosse un figlio, da un lato ha escluso la certezza del rapporto parentale, dall'altro ha escluso la convivenza di fatto. Le censure del ricorso riguardano proprio l'esclusione della convivenza con coloro che richiedono il risarcimento. 2.1. In particolare, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione delle prove testimoniali, fatta dal giudice di primo grado, nel senso che non fosse sufficiente l'attestazione di aver visto la vittima nel Paese dei ricorrenti in Romania e in ordine alla assistenza prestata, essendo necessario, ai fini della convivenza, dimostrare l'identità di residenza. Poi, ha ritenuto non dimostrata l'identità della residenza, in mancanza di documentazione certificativa. Quanto al certificato rilasciato dal Sindaco del Comune in Romania, lo ha ritenuto inammissibile, perché prodotto tardivamente solo in appello, e, comunque, generico, stante l'attestazione della iscrizione nel registro agricolo con la famiglia della nonna, con residenza apparentemente diversa da quella dei ricorrenti. Inoltre, in generale, la Corte ha messo in evidenza la mancanza di altra documentazione da cui potesse desumersi che i ricorrenti avevano provveduto all'istruzione e al mantenimento della vittima fotografie, attestati scolastici nonché le incertezze derivanti dalla circostanza che altra causa di risarcimento era stata promossa da altre persone, sul presupposto di aver provveduto ad allevare e mantenere la vittima. 3. Le censure non hanno pregio. 3.1. Sotto un profilo, i ricorrenti individuano contraddizione tra l'avere la sentenza riconosciuto che la domanda era basata sulla convivenza di fatto e non sul rapporto parentale e l'aver ritenuto essenziale per escluderla la mancata prova della residenza comune. Tale contraddizione non sussiste atteso che, ragionevolmente, la residenza comune costituisce il primo dato indiziario da cui poter desumere l'esistenza della convivenza. 3.2. Quanto alle lacune evidenziate nella parte esplicativa del motivo in ordine all'esame della risultanze istruttorie, deve dirsi che esse non hanno carattere decisivo. La Corte, nel valutare complessivamente le testimonianze, comprese le dichiarazioni contenute in documenti provenienti da residenti in Romania, e provenienti dal Parroco dello stesso Paese, anche se non le ha partitamente richiamate, le ha ritenute sostanzialmente insufficienti a provare la convivenza e l'assistenza reciproca. Né dal contenuto delle stesse, risultante dalla loro riproduzione nel ricorso può dirsi che il giudice del merito abbia trascurato elementi decisivi. Con la conseguenza che la censura si sostanzia in una inammissibile richiesta alla Corte di legittimità di una rivalutazione nel merito. 3.3. Né maggior pregio ha il diverso profilo di censura, relativo al certificato del Sindaco, rispetto al quale i ricorrenti deducono la possibilità della produzione in appello, trattandosi di documento attinente alla condizione dell'azione. Tale profilo di diritto resta assorbito in concreto dalla circostanza che la Corte, oltre a ritenerlo inammissibile perché tardivo, ha valutato lo stesso documento generico ed inidoneo allo scopo. Ed in effetti, il documento, riprodotto in ricorso, non contiene dati decisivi in ordine alla residenza comune, facendo riferimento alla famiglia della nonna in relazione alla vittima. In definitiva, il ricorso va rigettato” che la suddetta relazione è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte. Considerato che, preliminarmente, quanto all'istanza del difensore del ricorrente volta al rinvio dell'adunanza camerale da un lato, è priva di fondamento, nella parte in cui prospetta un ritardo nella ricezione della relazione, risultando in atti la prova dell'avvenuta notifica ai sensi dell'articolo 140 cod. proc. civ. dall'altro, non può essere presa in esame, nella parte in cui, richiamando implicitamente l'articolo 153 cod. proc. civ., chiede di essere rimesso in termini per il deposito di memorie, essendo incorso nella decadenza del termine per causa ad esso non imputabile che, infatti, la disposizione invocata, come novellata dalla legge 18 giugno 2009, numero 69, è applicabile ai giudizi instaurati dopo la data di entrata in vigore della suddetta legge, secondo quanto disposto dall'articolo 58, comma 1, della stessa, e non a giudizio iniziato precedentemente nella specie nel 2007 che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato che le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. numero 140 del 2012, seguono la soccombenza nei confronti della società di assicurazione che, non avendo l'altro intimato svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso condanna il ricorrente, nella qualità, al pagamento, in favore della Generali Assicurazioni Spa, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.