Doppio binario o federalismo previdenziale a geometria variabile?

In base all’articolo 21 della riforma forense in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale l’iscrizione agli Albi degli Avvocati comporta la contestuale iscrizione alla Cassa Nazionale ed Assistenza Forense.

Ne consegue che, una volta entrata in vigore la legge e una volta che Cassa Forense avrà determinato i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, circa 60.000 avvocati che oggi sono iscritti all’Albo ma non sono iscritti in Cassa Forense, dovranno obbligatoriamente iscriversi anche in Cassa Forense perché non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza se non su base volontaria e non alternativa a Cassa Forense. Attualmente Cassa Forense è governata dal sistema di finanziamento a ripartizione con calcolo retributivo della pensione. Tale impianto normativo non può accogliere 60.000 avvocati a reddito minimo se non adottando per loro il sistema di calcolo contributivo che è pure previsto nell’articolo 21 della legge di riforma. Si andrebbe così ad un sistema a doppio binario. Che cosa si intende per sistema a doppio binario? Nella materia penale si fonda sul dualismo fra scuola classica e scuola positiva, la prima, di stampo illuminista, affermava che l’individuo possiede il libero arbitrio per cui è libero di scegliere se commettere reati oppure no. Dunque la pena deve essere di tipo retributivo con conseguente proporzionalità tra reato commesso e pena inflitta. La scuola positiva, invece, sosteneva la predisposizione genetica al crimine, per cui il delinquente non è altro che un soggetto non responsabile dei propri atti e proprio per questo motivo è da considerarsi pericoloso socialmente e quindi venivano in campo le misure di sicurezza. Nel nostro caso versiamo però nel campo previdenziale dove l’articolo 14 della convenzione dei diritti dell’uomo non giustifica discriminazioni basate sul reddito. A mio giudizio quindi il doppio binario non è costituzionalmente sostenibile allo interno della medesima categoria nemmeno in nome della flessibilità di sistema. «Il rango e l’efficacia delle norme C.E.D.U., nonché il ruolo che i giudici nazionali e la Corte EDU rispettivamente rivestono nella interpretazione e nell’applicazione della Convenzione, sono delineati dal più recente orientamento della giurisprudenza costituzionale muovendo dalla considerazione che l’espressione “obblighi internazionali” contenuta nell’articolo 117, primo comma, Cost., riferendosi alle norme internazionali convenzionali anche diverse da quelle comprese nella previsione degli articolo 10 e 11 Cost., ha “colmato la lacuna prima esistente quanto alle norme che a livello costituzionale garantiscono l’osservanza degli obblighi internazionali pattizi”, con la conseguenza che “il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della C.E.D.U., si traduce in una violazione dell’articolo 117, primo comma, Cost.”. Posta una siffatta premessa a livello di regolazione delle fonti, le modalità operative secondo le quali il rapporto in esame trova svolgimento vedono in prima linea il giudice nazionale, che riveste il ruolo di “giudice comune della Convenzione” e come tale è investito del potere-dovere “di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti”. Il modus operandi del giudice nazionale in caso di ipotizzato conflitto tra una norma interna ed una norma C.E.D.U. dovrà essere quello di attivarsi, in prima battuta, per giungere, nei limiti di quanto consentito dalla formulazione della disposizione ed alla luce degli ordinari canoni di ermeneutica giuridica, ad una “interpretazione conforme” della norma interna a quella pattizia. In quest’opera, l’interprete dovrà avere riguardo alla “giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente”, in modo tale da rispettarne la “sostanza”. Ove, poi, l’interpretazione conforme non giunga all’esito sperato e permanga il supposto conflitto tra le due norme, il giudice nazionale è tenuto a sollevare, in riferimento al parametro dell’articolo 117, primo comma, Cost. – e, se si tratti di “norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta”, anche dell’articolo 10, primo comma, Cost. – la questione di legittimità costituzionale della norma interna confliggente. La giustificazione teorica di siffatto obbligo di attivare il controllo di costituzionalità e di adire il Giudice delle leggi risiede nel “meccanismo di rinvio mobile del diritto interno alle norme internazionali pattizie di volta in volta rilevanti” che opera tramite la “clausola del necessario rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, dettata dall’articolo 117, primo comma, Cost.”. Con ciò si esclude, dunque, che il giudice comune, a differenza di quanto accade per le norme del diritto comunitario ad “effetto diretto”, possa “procedere all’applicazione della norma della C.E.D.U. in luogo di quella interna contrastante”. La negazione del potere di “non applicazione” da parte del giudice comune vive in simbiosi, dunque, con l’affermazione del controllo accentrato di costituzionalità della norma interna che si ritenga lesiva della C.E.D.U., siccome, per il tramite dell’articolo 117, primo comma, Cost. o dell’articolo 10, primo comma, Cost. , in contrasto con la Costituzione stessa». Rapporti tra la giurisprudenza della Corte di Cassazione e la giurisprudenza della CEDU anno 2011 – Rel. numero 23/2011 bis, 22.12.2011 Due opzioni in luogo del doppio binario. A questo punto piuttosto che avventurarci nel doppio binario che è sospettato di illegittimità costituzionale vedo solo due opzioni che sono - esercizio per tutti gli iscritti a Cassa Forense dell’opzione al sistema di calcolo contributivo di cui alla legge 335/1995 e più recentemente 114/2011, articolo 24, comma 24 oppure - aderire alla proposta della Regione Veneto apripista di un federalismo differenziato cd. a geometria variabile per superare il centralismo dello Stato. «La definizione federalismo a geometria variabile , non di immediata comprensione, riassume invece un principio di assoluta chiarezza ed elementarietà se l'Italia, come è ormai ampiamente dimostrato dai fatti, viaggia a due velocità, è inutile, oltre che dannoso, incaponirsi sulla logica dell'uniformità tra Regioni che sono evidentemente diverse per efficienza e virtuosità, limitando così le possibilità di sviluppo a danno di tutti. Molto più corretto e vantaggioso è puntare a un federalismo differenziato, trasformando il dualismo Nord/Sud in una opportunità, attribuendo nuove funzioni legislative e amministrative, fino ad oggi esercitate dallo Stato, a quelle Regioni che sono già pronte a governare bene le proprie risorse e a superare strutture e controlli centralisti caratterizzati da una insopportabile burocrazia. Come questo possa avvenire lo ha spiegato il prof. Antonini attraverso tre nuovi disegni di legge da presentare a livello nazionale. Il primo, in attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, attribuendo nuove competenze legislative esclusive e concorrenti per il Veneto il secondo, regionalizzando numerose funzioni amministrative, come ad esempio le Soprintendenze, oggi svolte in Veneto da amministrazioni statali, come previsto dall'articolo 118 il terzo riguarda una proposta per far emergere forme di solidarietà occulta che ricadono sul sistema economico del Veneto e nel contempo rendere possibili forme di applicazione del principio di territorialità in materia previdenziale». Comunicato stampa numero 1953 del 13.11.2012 – Regione Veneto Questo non significherebbe dividere Cassa forense ma articolarla su realtà diverse che tengano conto del contesto economico-sociale diverso.