La cancellazione dei dati per illegittima levata di protesto deve essere diretta al pubblico ufficiale che ha provveduto al protesto stesso

Il carattere meramente materiale e non tipicamente amministrativo dell’attività che la Camera di Commercio svolge in materia di pubblicazione dell’elenco dei protesti di cambiali e assegni, non impedisce al soggetto interessato di accertare l’illegittimità della levata del protesto e la conseguente cancellazione del suo nominativo dall’apposito elenco, ma tali domande non possono prescindere dalla presenza necessaria in giudizio del soggetto competente, cioè il pubblico ufficiale cui spetta il dovere di verificare la regolarità formale della compilazione del titolo.

Così ha deciso la Cassazione nella sentenza numero 26417 del 26 novembre 2013. Il caso. Una signora agiva nei riguardi della Camera di Commercio e del Garante della Privacy censurando l’illegittima levata di un protesto nei suoi riguardi per un assegno di cui aveva denunciato il furto. Accusava altresì la Camera di Commercio di non aver provveduto alla cancellazione del protesto decorsi 5 anni dalla levata, come previsto dalla legge 489/1995 modificata con legge 235/2000. Il protesto era stato levato nel 1991 e, ancora nel 2001, risultava registrato negli elenchi cartacei della Camera di Commercio La signora contestava inoltre la condotta del Garante della Privacy che non aveva disposto la cancellazione del protesto in quanto illegittimo, ma solo il blocco dei dati. La ricorrente perdeva la causa dinanzi al Tribunale di Roma e instaurava quindi il giudizio in Cassazione. Assegno rubato, protesto e privacy. È bene precisare che l’azione instaurata dalla ricorrente dal punto di vista processuale è disciplinata all’articolo 152 del d.lgs. 196/2003 codice sulla privacy . Tale norma dispone che tutte le controversie relative all’applicazione delle disposizioni del codice sulla privacy, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, sono attribuite all'autorità giudiziaria ordinaria che viene adita mediante ricorso depositato nella cancelleria del tribunale del luogo ove risiede il titolare del trattamento. Sulla questione il tribunale decide poi in composizione monocratica. La sentenza emanata all’esito del giudizio non è appellabile, ma solo ricorribile in Cassazione. Così ha fatto la signora ribadendo le doglianze svolte nel giudizio di merito. Gli Ermellini, nonostante il parere del P.M. favorevole all’accoglimento del ricorso, stroncano le ragioni della ricorrente sostenendo la carenza di legittimazione passiva della Camera di Commercio e del Garante della Privacy e contestando altresì l’errata formulazione dei quesiti di diritto. Sulla carenza di legittimazione passiva. Con riferimento alla carenza di legittimazione passiva, la Corte di Cassazione spiega che la pretesa di cancellare i dati relativi all’infondata levata del protesto non poteva essere rivolta nei riguardi della Camera di Commercio. In pratica gli Ermellini dimostrano che certamente è consentito al danneggiato agire per accertare l’illegittimità del protesto e la conseguente cancellazione, ma, specie con riferimento a tale seconda domanda, la pretesa deve essere rivolta nei riguardi del pubblico ufficiale che ha levato il protesto. Solo quest’ultimo infatti ha il dovere di accertare la sussistenza di tutti i requisiti formali del titolo per poi eventualmente provvedere di conseguenza in caso di mancato pagamento. Da ciò deriva che la mancata cancellazione non può essere addebitata alla Camera di Commercio in quanto potere e compito non spettante alla medesima.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 18 ottobre - 26 novembre 2013, numero 26417 Presidente Carnevale – Relatore Didone Ritenuto in fatto e in diritto 1.- Con ricorso al Tribunale di Roma ai sensi dell'articolo 152 del d.lgs. numero 196 del 2003 D.N.L., assumendo che la C.C.I.A.A. di Roma aveva illegittimamente levato un protesto per un assegno del quale aveva denunciato il furto nell'anno 1991, che, ancora alla data del 25.6.2001, detto protesto risultava pubblicizzato nel registro cartaceo dei protesti della medesima C.C. I.A.A. di , nonostante l'entrata in vigore della legge numero 489 del 1995, come modificata dalla legge numero 235 del 2010 istitutiva del registro informatico e dell'obbligo di cancellazione dei protesti dopo un quinquennio dalla loro levata, e lamentando che il Garante per la protezione di dati personali da lei adito si era limitato a disporre il blocco anziché la cancellazione dei dati e che siffatta situazione le aveva arrecato ingenti danni, ha chiesto la cancellazione del suo nominativo dal registro cartaceo dei protesti e la condanna in solido della C.C.I.A.A. di e dello stesso Garante al risarcimento di tutti i danni asseritamente subiti. Il Garante per la protezione dei dati personali e la C.C.I.A.A di Roma hanno chiesto il rigetto di entrambe le domande attoree. Con sentenza del 31.5.2006 il tribunale ha rigettato il ricorso. 1.1.- Ha osservato il giudice del merito che nessuna norma ha previsto l'obbligo per le C.C.I.A.A. di eliminare i registri cartacei dei protesti al momento dell'entrata in funzione dei registri elettronici e che tuttavia oggi, per effetto del divieto di pubblicizzare i protesti trascorsi cinque anni dalla loro levata, i registri cartacei non possono più essere consultati. Pertanto correttamente il Garante si è limitato a disporre il blocco dei dati della D. , non anche la loro cancellazione. In ogni caso la C.C.I.A.A. di Roma, sebbene con un certo ritardo, risultava essersi adeguata alla suddetta normativa, posto che da tempo non consentiva più la consultazione dei propri registri cartacei circostanza non contestata e comunque nessun pregiudizio la ricorrente avrebbe potuto subire dalla pubblicazione del protesto de quo, posto che accanto al suo nominativo risultava stampato il codice numerico 07 che, secondo la legenda riportata nello stesso Bollettino dei protesti, evidenziava trattarsi di protesto levato nei confronti di un titolo rubato o smarrito , come attestato dalle copie di detto Bollettino esistenti in atti. 2.- Contro la sentenza del Tribunale la D. ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi. Resiste con controricorso la C.C.I.A.A. di Roma, mentre non ha svolto difese il Garante. Nel termine di cui all'articolo 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria. 3.1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza e vizio di motivazione e formula - ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis - il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “è nulla la sentenza in cui non sia rilevabile la ratio decidendi e comunque le argomentazioni ivi addotte siano logicamente incomprensibili ovvero sia priva dell'enunciazione delle conclusioni delle parti, dell'esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”. 3.2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle domande ex articolo 112 c.p.c. e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c, il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “ai sensi e per effetto dell'articolo 112 del codice di procedura civile, avrebbe dovuto il Tribunale Civile di Roma pronunciarsi anche in relazione alla domanda con la quale si chiedeva al giudice di ordinare alla CCIAA l'indicazione delle finalità e delle modalità del trattamento relativo ai dati personali della ricorrente contenuti nei registri cartacei dei protesti e alla domanda di condanna al risarcimento dei danni conseguenti dalla sua inerzia del Garante”. 3.3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “l'ordinanza di rigetto ai sensi dell'articolo 17 della legge 106/96 in quanto il protesto non è stato levato è titolo esecutivo avente efficacia esecutiva per ottenere la cancellazione dell'illegittima pubblicazione del proprio nominativo sul registro cartaceo dei protesti o, comunque, consente all'interessato di chiedere ad altro Tribunale che la CCIAA cancelli il nominativo pubblicato nel registro cartaceo dei protesti”. 3.4.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “nell'ipotesi di assegno bancario rubato o smarrito sul quale sia stata falsificata la firma dell'emittente, con sottoscrizione con un nome chiaramente e totalmente diverso da quello del titolare del conto, il protesto dev'essere levato con riferimento al nome del traente inesistente e non con riferimento al conto di traenza dell'assegno con conseguente diritto alla cancellazione nel caso questa regola sia violata”. 3.5.- Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “in virtù della normativa indicata in rubrica, ed in particolare della legge L. numero 77 del 1955, avrebbe dovuto l'Autorità Giudiziaria disporre la cancellazione del nominativo della ricorrente dal registro cartaceo essendo il protestato incolpevole”. 3.6.- Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “i principi in materia di cancellazione del protesto prevedono che la cancellazione del protesto debba avvenire sia dal registro informatico che dal registro cartaceo dei protesti trascorsi 5 anni dalla sua levata”. 3.7.- Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “avrebbe dovuto l'Autorità Giudiziaria disporre la cancellazione del nominativo della ricorrente dal registro cartaceo sulla base della normativa a tutela dei dati personali, come anche attuata in materia archivistica, in quanto il nominativo della ricorrente non doveva essere trattato od essere identificabile oltre il tempo di conservazione necessario per lo svolgimento delle funzioni della CCIAA”. 3.8.- Con l'ottavo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “in base alla normativa richiamata in rubrica, avrebbe dovuto l'Autorità Giudiziaria considerare ogni prova indicata dai ricorrenti e, se del caso, motivare per quale motivo non l'abbia ritenuta rilevante ai fini della decisione”. 3.9.- Con il nono motivo la ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. Formula, ai sensi dell'articolo 366 bi_s c.p.c, il quesito di seguito trascritto per ragioni di sintesi se “in base alla normativa richiamata in rubrica, avrebbe dovuto l'Autorità Giudiziaria decidere su ogni istanza istruttoria indicata dalla ricorrente e, se del caso, motivare per quale motivo non l'abbia ritenuta rilevante”. 4.- La resistente, nel controricorso, ha sollevato la questione della propria legittimazione passiva in ordine alle domande contro di essa proposte. Appare, pertanto, opportuno evidenziare che “il carattere materiale e non tipicamente amministrativo dell'attività che la Camera di commercio svolge in materia di pubblicazione dell'elenco dei protesti di cambiali e di assegni, in osservanza dell'articolo 3 della legge 12 febbraio 1955, numero 77, non preclude al soggetto interessato all'accertamento della illegittimità della levata di protesto ed alla conseguente cancellazione del suo nominativo dall'apposito elenco di convenire in giudizio anche la Camera di commercio, affinché l'eventuale pronuncia - alla cui ottemperanza quest'ultima non potrebbe in ogni caso sottrarsi - faccia direttamente stato anche nei suoi confronti per la parte relativa all'obbligo di cancellazione. Essendo, tuttavia, la domanda di cancellazione strettamente collegata all'accertamento della illegittimità della levata di protesto, il giudizio non può prescindere dalla presenza necessaria del soggetto cui questa potrebbe essere astrattamente addebitata soggetto che, nel caso in cui venga dedotta la illegittimità del protesto di un assegno bancario in quanto emesso con firma di traenza diversa da quella del titolare del conto corrente, va identificato non già nella banca trattarla - non discutendosi della illegittimità del rifiuto di pagamento in rapporto alla inesistenza della provvista -, ma unicamente nel pubblico ufficiale che ha levato il protesto, cui compete la verifica della regolarità formale della compilazione dell'assegno all'atto della sua emissione” Sez. 1, numero 14991 del 2006 e, anche in relazione alla legge numero 235 del 2000, Sez. 1, numero 14005 del 2010 . Peraltro, il presente giudizio ha ad oggetto domande e si è svolto con il rito di cui al d.lgs. numero 196/2003 e, quale titolare del trattamento, la CCIAA è responsabile della correttezza dei dati trattati. La cancellazione del protesto che si assume illegittimamente levato, dunque, doveva essere richiesta con altre forme e in contraddittorio con i responsabili mentre solo il legittimo trattamento dei dati relativi al protesto di cui non è stata chiesta ritualmente la cancellazione e l'asserita tardiva eliminazione dei dati potrebbero essere imputata alla CCIAA perché, ai sensi dell'articolo 4 comma 1, della L. numero 235 del 2000 con il quale è stato sostituito l'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 3 bis del d.l. 18 settembre 1995, numero 385, conv., con modif., dalla L. 15 novembre 1995, numero 480 - la notizia di ciascun protesto è conservata nel registro informatico fino all'intervento della sua cancellazione e, comunque, ove questa non sia avvenuta, per cinque anni dalla pubblicazione. 5.- Ciò premesso, osserva preliminarmente la Corte che anche recentissimamente le Sezioni unite hanno ribadito che “è inammissibile, per violazione dell'articolo 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo” Sez. Unumero , Sentenza numero 21672 del 23/09/2013 nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale veniva posto un quesito circa la possibilità per il giudice, ai sensi degli articolo 115 e 116 cod. proc. civ., di fondare la propria decisione attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte in atti dai difensori delle parti in lite, senza chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia . Peraltro, “in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la ratio dell'articolo 366 bis. cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati” Cass. sez. unumero del 16345/2013 . Le stesse Sezioni Unite hanno da tempo chiarito, poi, che “è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d'impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all'altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto” Sez. UN Sentenza numero 7770 del 2009 . In altri termini, “è inammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dei numeri 3 e 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ., salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all'articolo 366 bis cod. proc. civ. applicabile ratione temporis alla fattispecie, sebbene abrogato dall'articolo 47 della legge 18 giugno 2009, numero 69 ” Sez. 3, Sentenza numero 12248/2013 . Resta in ogni caso fermo il principio per il quale è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge Sez. U, Sentenza numero 26020/2008 . 5.1.- Alla luce dei principi esposti sub p.5, l'ottavo e il nono motivo sono inammissibili per assoluta genericità dei quesiti,mentre le rimanenti censure - fatta eccezione per quelle di cui al primo motivo - sono inammissibili per la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dei numeri 3 e 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ., non accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo. Infine, il primo motivo è infondato alla luce dell'adeguata e congrua motivazione della sentenza impugnata, innanzi riassunta sub p.1.1 e in relazione a quanto esposto sub p.4 in merito all'estraneità della resistente rispetto ai danni imputabili alla dedotta illegittimità della levata del protesto. 6.- Da ultimo, è infondata la richiesta della resistente di cancellazione della frase “vendita dei protestati” contenuta nel ricorso sub VIII.6.b e alla correlata richiesta di condanna al risarcimento dei danni perché non può essere disposta, ai sensi dell'articolo 89 cod. proc. civ., la cancellazione delle parole che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell'esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte Sez. 3, Sentenza numero 26195 del 2011, la quale ha escluso che fossero offensive dell'altrui reputazione le parole - come l'avverbio subdolamente -, che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell'esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell'avversario . Le spese del giudizio di legittimità - nella misura determinata in dispositivo - seguono la soccombenza. Ai sensi dell'articolo 154, comma 6, d.lgs. numero 196/2003 copia del presente provvedimento sarà trasmessa, a cura della cancelleria, al Garante per la protezione dei dati personali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.