Tre nuove sentenze che affrontano le questioni sottese alla liquidazione delle spese nei procedimenti sommari e nella chiamata del terzo in causa. Analizzati anche i presupposti ed i rapporti delle responsabilità ex articolo 96, commi 1 e 3, c.p.c
È palese la portata innovativa delle sentenze dei Tribunali di Lecce, sez. dist. di Tricase, di Monza e di Reggio Emilia numero 1569, rispettivamente dello scorso 4 ottobre, del 30 e del 25 settembre, che oltre ad analizzare le suddette problematiche, esaminano i criteri di liquidazione sia delle spese di lite nelle varie fasi che delle sanzioni previste dall’articolo 96 c.p.c I casi. Il primo è un’azione di reintegra nel possesso, ex articolo 1068 c.c., iniziata nel febbraio del 2009 e conclusa col rigetto della domanda, la condanna alle spese del ricorrente, ma senza fissare l’udienza di prosecuzione nel merito. Impugnava, perciò, questa ordinanza ex articolo 645 c.p.c Approfondendo l’evoluzione della normativa in materia ed i contrasti giurisprudenziali sulla condanna alle spese in questo step , il G.I. conclude che la fase di merito è solo eventuale, ma deve provvedere, sia in caso di accoglimento che di rigetto della domanda, alla condanna alle spese anche della fase sommaria. Non fa alcun espresso richiamo alle nuove tariffe, ma è chiara la loro applicazione visto che la sentenza è stata emessa nella loro vigenza. Nella fattispecie ha confermato l’ordinanza. Il secondo è un’azione revocatoria ai sensi dell’articolo 2901 c.c. in cui una società, creditrice di una cospicua somma, accusava la ditta debitrice di aver venduto ad una terza impresa, fondata qualche giorno prima dalla moglie e dal figlio del titolare di questa ultima, alcuni beni per sottrarli alle sue pretese creditizie. Dopo aver esplicato l’istituto, il G.I conclude per l’applicazione in via analogica dei parametri stabiliti dal DM 140/12 anche ai processi sommari e sancisce la liquidazione della fase decisoria se manca la distinzione tra questa e quella istruttoria. Ha liquidato solo lo studio della controversia, le fasi introduttive ed istruttoria, ma non quella decisoria. Nel terzo un geometra citava in giudizio una ditta per il saldo della sua attività di CTP in due procedimenti, la quale resisteva negandola e contestando la congruità dei compensi richiesti. Chiedeva l’autorizzazione a chiamare in causa il legale che l’aveva difesa e la condanna in solido dei due professionisti. In un primo momento è stata rigettata l’autorizzazione, visto il rapporto occasionale col difensore, ma, a seguito della proposizione di una riconvenzionale, le è stato concesso di citare la propria assicurazione. Il G.I. ha accolto la domanda attorea condannando la convenuta a rifondere le spese processuali sia all’attore che all’assicurazione. È stata condannata a versare una somma ad entrambi per responsabilità processuale aggravata. Tutte concordano sulla retroattività delle nuove tariffe e nel derogare al divieto di rimborsare gli oneri accessori. Il procedimento sommario. L’articolo 703 c.p.c. è stato novellato nel 2006 LL. 51 e 54/06 eliminando l’automatismo e l’obbligatorietà tra la fase sommaria ed il giudizio di merito. Diventa, così, eventuale e su impulso di parte ha 60 giorni dalla conclusione della fase sommaria o dalla «ordinanza interdittale» di accoglimento o di rigetto del reclamo per chiedere al giudice di fissare l’udienza di prosecuzione. In caso contrario l’ordinanza mantiene la sua efficacia seppur non invocabile in un altro processo articolo 669 octies comma 7 e 8 c.p.c. . Questa riforma, già anticipata da quella del 2005, non ha risolto il dubbio sulla liquidazione delle spese, che risultava un elemento accessorio in questa prima parte del giudizio, anche se ha rimosso l’elemento che giustificava l’assenza della condanna. In effetti la dottrina e la Consulta avevano rilevato che, viste le lacune dell’articolo 669 septies c.p.c. sancisce solo l’immediata esecutorietà della condanna alle spese, ma non le regolamenta , sarà regolata dall’articolo 91 c.p.c. in osservanza della ratio della L.80/05 deflattiva e di «attenuazione della strumentalità strutturale della fase sommaria». Ergo l’ordinanza deve sempre contenere «il regolamento delle spese di lite avverso al quale» può essere proposta l’opposizione ex articolo 669 septies e 645 c.p.c Contrasto giurisprudenziale sulla condanna alle spese in assenza di impugnazione o nel rigetto della stessa . Un primo orientamento ritiene che, spirati i termini sopra descritti per chiederne la revoca od in caso di rigetto del reclamo, sul punto si formi un giudicato interno. Una seconda tesi, ritenuta più corretta e condivisibile, invece, ritiene che l’opposizione riguardi solo la condanna alla spese in sé considerata, svincolandola da ogni valutazione sul merito del provvedimento. Una volta concluso il giudizio di merito, se accolto il gravame, è ragionevole la sua revoca, poiché si applica il dettame dell’articolo 91 c.p.c Quali fasi sono liquidabili? Il G.I di Monza, analizzando questo tema, ribadisce che essa segue la soccombenza. Infatti rilevando la sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi alla base della revocatoria e che gli stessi possono essere ricavati anche da presunzioni semplici Cass. civ. nnumero 8735/00 e 5359/00 , evidenzia come i parametri fissati dalla nuova disciplina sulle tariffe siano applicabili, per analogia, anche ai processi sommari articolo 7 DM 140/12 . Si ricordi che il processo di cognizione prevede quattro fasi studio della controversia, introduttiva, istruttoria e decisoria. Nella fattispecie è mancata una netta distinzione tra le ultime due, poichè l’istruttoria è consistita nella produzione dei documenti che hanno permesso la definizione rapida della vertenza. Non ha, quindi, liquidato la fase decisoria. Nuove tariffe e terzo chiamato in causa. Il G.I reggino ha sancito, richiamando la giurisprudenza di legittimità costante, che la soccombenza della parte comporta la loro refusione al terzo, qualora essa attenga anche la pretesa che ha giustificato la sua chiamata in causa. Nella fattispecie c’era una connessione logico-causale tra l’azione e la chiamata in garanzia dell’assicurazione, perciò la condanna è consequenziale. Possibile coesistenza delle condanne per lite temeraria e per responsabilità processuale aggravata . È questo il punto focale e più interessante della terza pronuncia. Il secondo istituto, rafforzato dalla riforma processuale del 2009 L. 69/09 e dalla L. 134/12 articolo 55 , è forgiato sull’abrogato articolo 385 c.p.c., che prevedeva un’analoga sanzione per il processo di Cassazione. È una «sanzione processuale civile», in cui tale funzione prevale su quella risarcitoria Trib. Varese 02/10/12 , volta a punire chi resiste in giudizio od ne attiva uno pur essendo in mala fede o con grave negligenza, per deflazionare il carico della giustizia, diminuire i costi sociali e ristabilire il fair play processuale. Vi è piena compatibilità tra queste due figure, che risultano accessorie alla condanna alle spese di lite hanno gli stessi presupposti, possono essere inflitte d’ufficio o su richiesta della parte,avanzata per la prima volta anche nella precisazione delle conclusioni, perché inscindibili dalle sue pretese risarcitorie. Unica eccezione sono le cause previdenziali l’articolo 152 disp. att. richiama solo la lite temeraria articolo 96, comma 1, c.p.c. . Nulla, dunque, vieta che possano essere richieste dal terzo chiamato in causa od inflitte allo stesso. La giurisprudenza costante e recente, poi, ha fornito un’interpretazione estensiva del lemma «sentenza» contenuto nel primo comma, identificandolo con qualsiasi atto con valenza decisoria tutti i provvedimenti sommari ex articolo 702 ss c.p.c., cautelari ante causam , di volontaria giurisdizione e similia giurisprudenza costante della corte, Tribb. Verona 21/03/11, Piacenza del 15/11/11 e Torino ord. 16/10/10, Cass. civ. numero 17902/10 e CDS 1209/12 sempre sul processo amministrativo articolo 26 Dlgs. 194/10 . Si noti che il legislatore ha lasciato carta bianca all’importo della sanzione, perciò la giurisprudenza, ancora un volta, ha colmato questa lacuna. Infatti la citata pronuncia veronese prevede una forbice tra un minimo di un quarto ed un massimo del doppio delle spese di lite. La condanna ex articolo 96, comma 3, c.p.c. deve essere parametrata alla gravità dell’abuso ed/od ai criteri dettati dall’articolo 614 c.p.c. valore della causa, natura della prestazione ed entità del danno . Nella fattispecie è stata comminata una sanzione pari alla metà delle spese di lite.
Tribunale di Monza, 30 settembre 2012 Giudice Unico Silvia Giani Motivazione della decisione rilevato in fatto che - La San Ca. Pe. Srl è creditrice nei confronti della ditta Autotrasporti F.lli I. snc per l’importo di euro 6.360,00 di cui alla fattura numero 304 del 21 gennaio 2011 cfr docomma 2, 3, 4 - La società debitrice Autotrasporti F.lli I. snc ha ceduto in data 1 agosto 2011 alcuni beni mobili registrati – e cioè Autocarro tg omissis, trattore stradale tg omissis trattore stradale tg omissis - alla società Eur. sas di Co. A. docomma 5 . - La detta società acquirente, con la sede legale in Sesto San Giovanni alla Via omissis, sede anche della società venditrice-debitrice Autotrasporti, era stata costituita qualche giorno prima dai soci A. Co. e Ro. I. vedi docomma 6 , rispettivamente moglie e figlio di I. G., titolare della ditta Autotrasporti F.lli I. Docomma 7 . - I resistenti non si sono costituiti nel presente giudizio nonostante regolare notifica del ricorso e del decreto e pertanto sono stati dichiarati contumaci. Ciò accertato in fatto, si osserva quanto segue. - Sussistono gli elementi oggettivi e soggettivi dell’azione revocatoria. - Per quanto attiene all’eventus damni, ad integrare il presupposto dell’azione revocatoria non è richiesta la compromissione del diritto del creditore, essendo sufficiente che l’atto di cui si chiede la revoca renda incerta o anche soltanto difficoltosa la realizzazione del credito, con una modifica della situazione patrimoniale del debitore che ne renda incerta l’esecuzione coattiva del credito, compromettendone la fruttuosità cfr ad exemplum, Cass. numero 6676/1998 . - Quanto agli elementi soggettivi, il ricorrente deve provare, da un lato, la conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore da parte del debitore e dall’altra, essendo l’atto pregiudizievole oneroso, la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio. - La prova di tale atteggiamento soggettivo ben può essere fornita per presunzioni ex plurimis, Cass. numero 7452/2000 . - La società ricorrente ha un credito certo nei confronti della ditta Autotrasporti F.lli I. snc vedi docomma 2 e 3 . - Nel caso di specie è provato che il credito della ricorrente è antecedente all’avvenuta cessione dei beni vedi docomma 2, 3 e 5 e che, con la cessione contestuale di tre distinti beni mobili registrati vedi docomma 5 , la società venditrice, piccola società di persone, ha sostanzialmente svuotato il suo patrimonio, diminuendo le proprie garanzie creditorie. - Anche nel caso di persona giuridica il requisito “va accertato avendo riguardo all'atteggiamento psichico della persona fisica che la rappresenta, ai sensi del principio stabilito dall'articolo 1391 c.c., applicabile all'attività delle persone giuridiche” Cass. numero 8735/2009 . - La conoscibilità del pregiudizio da parte del terzo si verifica ogni qual volta l’atteggiamento soggettivo e le qualità personali e/o professionali del terzo facciano presumere secondo l’ordinaria prudenza ed avvedutezza la conoscenza delle condizioni economiche del venditore. - La prova della conoscenza del pregiudizio da parte del debitore e del terzo, “necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione re-vocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente” Cass. 5359/2000 . - Nel caso di specie i soci della società acquirente sono la moglie e il figlio del rappresentante della ditta Autotrasporti F.lli I. vedi docomma 7 - l’amministratore della ditta Eur. è la sig.ra Co., moglie del sig. I. G. vedi docomma 6 e 7 - la sede della Eur. sas è in Sesto San Giovanni, alla Via F. d. D., dove si trova la sede della società Autotrasporti F.lli I. snc vedi docomma 1 e 6 - la società Eur. sas è stata costituita il 27 luglio 2011 e cioè pochi giorni prima della cessione dei beni vedi docomma 6 . - Da tutti questi elementi si evince dunque la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al debitore e al terzo acquirente, consistente nella consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie della ricorrente. - Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in favore della ricorrente secondo parametri ministeriali introdotti ai sensi dell’articolo 9 d.l. 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. 27/2012, che ha abrogato le pregresse tariffe, in considerazione del fatto che il procedimento sommario, e quindi l’attività difensiva, sono conclusi dopo la fine di luglio 2012. I parametri approvati con decreto del Ministero della giustizia 20 luglio 2012, numero 140 sono articolati per scaglioni di valore delle controversie, che distingue il processo di cognizione in quattro fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria e prevede compensi globali e forfettari per ciascuna fase, indicando valori medi di liquidazione per scaglione, discrezionalmente aumentabili o diminuibili entro soglie percentuali, tenuto conto del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero, dell’importanza e della complessità delle questioni trattate e del pregio dell’opera prestata v. articolo 4 e 11 d.m. 140/2012 . - Nel rito sommario s’applicano per analogia i parametri di liquidazione delle spese previste per il rito ordinario di cognizione v. l’articolo 7 d.m. 140/2012 . - Nel caso di specie è mancata ogni distinzione tra fase istruttoria e fase decisoria, atteso che l’ordinanza è emessa senza discussione e la fase istruttoria genericamente intesa è stata celere essendo la causa documentale. - Pertanto, ciò valutato e considerato lo scaglione fino ad euro 25.000,00, si ritiene di liquidare per la fase di studio e la fase introduttiva il valore medio di liquidazione, aumentato di circa il 60%, e quindi rispettivamente euro 880,00 fase di studio , e 480,00 fase introduttiva per la fase istruttoria, considerata la completezza della documentazione prodotta e l’assenza di istruttoria orale, il valore medio di liquidazione, aumentata di circa il 20%, e quindi euro 660,00 e nulla per la fase decisoria e quindi complessivamente in euro 2.020,00 a titolo di compensi. - Alla luce di tali considerazioni i convenuti vengono, quindi, condannati in solido alla rifusione delle spese liquidate in euro 2.020,00 per compensi ed euro 210,00 per spese, oltre accessori di legge P.Q.M. - In accoglimento della domanda proposta dall’attrice, dichiara l’inefficacia verso la società creditrice San Ca. Pe. srl dell’atto di trasferimento di proprietà r.p. Omissis 08 settembre 2011 relativo al bene mobile registrato al PRA Autocarro Furgone Citroen tg omissis, dell’atto di trasferimento di proprietà r.p. Omissis 08 settembre 2011 relativo al trattore stradale Scania tg omissis dell’atto di trasferimento di proprietà r.p. A610454L del 08 settembre 2011 relativo al trattore stradale Scania tg omissis. - Condanna i convenuti in solido alla refusione integrale delle spese processuali in favore della ricorrente, che si liquidano in euro 210,00 per spese ed euro 2.020,00 per compensi, oltre iva e cpa come di legge.
Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 25 settembre 2012, numero 1569 Giudice Gianluigi Morlini Fatto Promuovendo la presente controversia, il geometra Am. ha chiesto la condanna della Bs. Costruzioni al pagamento della complessiva somma di euro 5.616,00 per il compenso relativo all’attività di consulente tecnico di parte prestata in due distinte controversie giurisdizionali. Ha resistito la Bs., non negando l’effettivo svolgimento dell’attività né l’astratta congruità del prezzo richiesto, ma sostanzialmente addebitando al proprio CTP, nonché al difensore che all’epoca assisteva la Bs. stessa, l’esito negativo della controversia, contestando in particolare all’avvocato la scelta processuale di non avere esperito un accertamento tecnico preventivo, ed al CTP di non avere sostenuto che anche in assenza di tale accertamento si sarebbero potuti accertare i difetti delle opere eseguite da controparte. Per tali motivi, la convenuta ha chiesto il rigetto della domanda attorea ed in via riconvenzionale la solidale condanna del geometra Am. e del precedente difensore, del quale ha domandato l’autorizzazione alla chiamata in giudizio, al risarcimento dei danni. Il Giudice allora procedente ha rigettato l’istanza di chiamata in causa del precedente difensore, sussistendo nei confronti dello stesso un rapporto solo occasionalmente collegato a quello principale. A seguito della proposizione della riconvenzionale, la Bs. ha chiesto ed ottenuto la chiamata in giudizio della propria assicurazione INA per essere eventualmente manlevata nelle denegata ipotesi di condanna, ed INA si è ritualmente costituita argomentando l’assenza di responsabilità della propria assicurata. Diritto a La domanda attorea è in tutta evidenza fondata, e come tale va accolta. Ribadito infatti che non è in contestazione né l’effettivo svolgimento dell’attività di CTP, né l’astratta adeguatezza del compenso richiesto, risulta di palmare evidenza l’insussistenza dell’addebitata responsabilità professionale. Infatti, pacifico essendo che non dipendono certo dal CTP né la scelta di proporre o meno un ricorso per ATP né la valutazione della strategia processuale, risulta infondato già in fatto il rilievo per il quale il CTP non avrebbe evidenziato i difetti delle opere eseguite da controparte o non avrebbe comunque sostenuto la tesi che, anche in assenza di tale preventivo accertamento, i difetti erano ancora riscontrabili. E’ infatti facile replicare che, in realtà, il geometra Am., in corso di causa, ha sempre sostenuto l’esistenza di tali difetti e la persistente possibilità di accertarli in corso di causa cfr. in particolare all. 8, 12, e 14 parte attorea . Senza quindi nemmeno dovere dar corso all’istruttoria testimoniale richiesta da parte convenuta, e previa quindi conferma del rigetto delle istanze istruttorie reiterate in sede di precisazione delle conclusioni, deriva l’infondatezza del rilievo mosso all’opera del geometra Am., ciò che impone l’accoglimento della domanda attorea, con il riconoscimento dei richiesti interessi ex D.Lgs. 231/2002, decorrenti dal 16/4/2009, data delle nota pro forma nonché ed il rigetto della riconvenzionale, fondata su un preteso inadempimento dell’Am. stesso. In ragione del rigetto della domanda riconvenzionale, rimane ovviamente assorbita la domanda di manelva dell’Am. verso INA. b Non vi sono motivi per derogare ai principi generali codificati dall’articolo 91 c.p.comma in tema di spese di lite, che, liquidate come da dispositivo in assenza di nota, sono quindi poste a carico della soccombente parte convenuta ed a favore della vittoriosa parte attrice. La convenuta deve poi essere condannata a rifondere anche le spese di lite della terza chiamata, atteso che, laddove l’attore risulti soccombente nei confronti del convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, è l’attore stesso a dovere rifondere le spese del terzo Cass. numero 8363/2010, Cass. numero 21933/2006, Cass. numero 12301/2005, Cass. numero 7168/2004, Cass. numero 6514/2004, Cass. numero 19181/2003, Cass. numero 5262/2001, Cass. numero 8166/1997, Cass. numero 3835/1989, Cass. numero 13126/1988, Cass. numero 3740/1987, Cass. numero 3770/1981 , laddove, come nel caso che qui occupa, vi è regolarità causale della chiamata, intesa come prevedibile sviluppo logico e normale della lite, ed astratta fondatezza della chiamata in manleva, accertata incidentalmente. c Deve poi altresì procedersi ad una condanna dell’opponente anche ai sensi del novellato articolo 96 comma 3 c.p.c., a tenore del quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Sul punto, si osserva che la norma introdotta nel tessuto codicistico dalla L. numero 69/2009, recepisce ed estende a tutti i processi il meccanismo dell’articolo 385 comma 4 c.p.c., precedentemente dettato per il solo processo di Cassazione ed ora coerentemente abrogato ma non si applica al processo previdenziale, posto che l’articolo 152 disp. att. c.p.comma richiama solo il primo comma, non anche il terzo comma dell’articolo 96 c.p.comma Per espressa scelta normativa, la pronuncia può essere effettuata d’ufficio e non ha limite nella determinazione dell’importo della condanna, come invece vi era nell’articolo 385 c.p.comma ora abrogato. Pur nel silenzio della norma, è opinione pacifica quella per la quale non vi sono ostacoli a ravvisare la configurabilità della fattispecie anche nei confronti del terzo chiamato, come nel caso del presente giudizio, o del terzo intervenuto. Così come era già stato chiarito con riferimento al primo comma, la domanda non è poi proponibile al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata, e quindi in via autonoma, consequenziale e successiva, davanti ad altro giudice, salvo il caso in cui la possibilità di attivare il mezzo sia rimasta preclusa in forza dell’evoluzione propria dello specifico processo dal quale responsabilità aggravata ha avuto origine, essendovi cognizione inscindibile sull’an e sul quantum della pretesa risarcitorie ed è formulabile per la prima volta anche in sede di precisazione delle conclusioni, non attenendo al merito della controversia in quanto non idonea a mutare oggetto e causa petendi della domanda. Nonostante il comma 1 parli di ‘sentenza’, l’applicazione dell’articolo 96 comma 3 c.p.comma è poi generalmente riferita a tutti i procedimenti in cui vengono regolate le spese di lite, quali volontaria giurisdizione, cautelari ante causam, sommario di cognizione ex articolo 702 bis e ss. c.p.comma cfr. Trib. Piacenza 15/11/2011 numero 855/2011 e ord. 22/11/2010, Trib. Verona 21/3/2011 e 1/7/2010, Trib. Torino ord. 16/10/2010 . Ad avviso di questo Giudice e come peraltro già precisato da autorevole Dottrina, inoltre, la pronuncia non abbisogna della preventiva instaurazione del contraddittorio ex articolo 101 c.p.c., essendo posterius e non prius logico della decisione di merito in questi termini cfr. anche Trib. Piacenza 15/11/2011 numero 855/2011 e ord. 22/11/2010 per la giurisprudenza di questo Tribunale, cfr. Trib. Reggio Emilia nnumero 729/2012 e 712/2012 . Tre sono invece le principali questioni sulle quali non si è formata un’univoca posizione interpretativa, e sono quelle relative alla natura della norma, al suo ambito di applicazione ed all’entità della condanna. In particolare, è discusso se, per procedere alla condanna ai sensi del terzo comma, sia o meno richiesta l’esistenza di un danno di controparte se siano o meno richiesti i requisiti della lite temeraria di male fede e colpa grave, previsti dal primo comma dello stesso articolo 96 quali siano infine i parametri che devono guidare la discrezionalità del giudice nel quantificare l’importo della condanna. Ciò posto, con riferimento alla prima tematica della natura della norma, questo Giudice, aderendo alla tesi già propugnata da parte della Dottrina e condivisa dalla quasi totalitaria maggioritaria giurisprudenza di merito, ritiene che l’articolo 96 comma 3 c.p.comma introduca nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia deflazionando il contenzioso ingiustificato cfr. Trib. Varese 23/2/2012, 6/2/2001, 22/1/2011, 27/5/2010, 30/10/2009 Trib. Piacenza 15/11/2011 numero 855/2011, 7/12/2010, ord. 22/11/2010 Trib. Verona 21/3/2011, ord. 1/10/2010, 20/9/2010, ord. 1/7/2010 Trib. Minumero Milano decomma 4/3/2011 Trib. Foggia 28/1/2011 Trib. Rovigo sez. dist. Adria 7/12/2010 Trib. Roma sez. dist. Ostia 9/12/2010 Trib. Varese sez. dist. Luino ord. 23/1/2010 Trib. Roma 11/1/2010 Trib. Prato 6/11/2009, Trib. Milano ord. 29/8/2009. In questi esatti termini, sia pure come obiter dictum, anche Cass. numero 17902/2010, e, per la giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato numero 1209/2012. Per la giurisprudenza di questo Tribunale, cfr. Trib. Reggio Emilia nnumero 729/2012 e 712/2012 . Risulta conseguentemente esclusa, come peraltro ben lumeggiato dai lavori preparatori, la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è stata prevista a favore della parte e non dello Stato, al probabile fine di rendere effettivo il recupero della somma e quindi l’afflittività della sanzione. E’ infatti ben vero che la teorica del danno punitivo, conosciuta negli ordinamenti anglosassoni nelle forme dei punitive o exemplary damages comminati in funzione di deterrence a chi ha agito con malice o gross negligence in violazione della fairness processuale, è sostanzialmente estranea alla storia del nostro diritto civile. Ma è altrettanto vero che, per un verso, il contenuto letterale della norma pare inequivoco nel non presupporre l’esistenza di un danno di controparte e per altro verso non vi sono parametri costituzionali che vietano al Legislatore di introdurre tale tipologia di danno. Con riferimento invece alla tematica l’elemento soggettivo richiesto in capo al destinatario della condanna, pare a questo Giudice che possa essere seguita la tesi più garantista, che postula comunque la presenza del requisito della malafede o della colpa grave, non già della sola colpa lieve od addirittura della mera soccombenza così Trib. Piacenza 15/11/2011 numero 855/2011, 7/12/2010, ord. 22/11/2010 Trib. S Maria Capua a Vetere 26/9/2011 Trib. Verona ord. 21/3/2011, ord. 1/10/2010, sent. 20/9/2010 Trib. Foggia 28/1/2011 Trib. Oristano ord. 17/11/2010 Trib. Pescara sent. 30/9/2010 Trib. Padova ord. 10/11/2009, ord. 2/11/2009, ord. 30/10/2009. Per la giurisprudenza di questo Tribunale, cfr. Trib. Reggio Emilia nnumero 729/2012 e 712/2012 . Invero, pur essendo la questione oggettivamente opinabile, militano a favore di tale ricostruzione un argomento letterale ed uno logico-sistematico. In particolare, da una prima angolazione e sotto il profilo strettamente letterale, va osservato che la norma è stata introdotta come comma 3 del già esistente articolo 96 c.p.c., dettato proprio in tema di lite temeraria in quanto connotata dall’avere agito con malafede o colpa grave e tale inserimento nel medesimo articolo rende ragionevole ritenere che il requisito soggettivo del primo comma debba reggere anche la fattispecie del terzo comma. Da un punto di vista logico-sistematico, poi, la natura sanzionatoria della norma non può che presupporre, a pena di irrazionalità del sistema, un profilo di censura nel comportamento del destinatario della condanna, ciò che appunto deriva dal suo elemento soggettivo di dolo o colpa grave. Né, ad avviso del Giudice, può far diversamente opinare l’incipit della nuova previsione normativa, che introduce la norma con l’inciso “in ogni caso”. Detto inciso, infatti, può essere interpretato non già nel senso di disattendere quanto previsto dal primo comma con riferimento alla necessità del profilo della temerarietà della lite bensì con riferimento alle peculiarità poi poste dallo stesso terzo comma rispetto quanto previsto dal primo comma, id est alla possibilità di operare la pronuncia d’ufficio e senza istanza di parte, nonché alla possibilità di operare la condanna anche in assenza di un danno di controparte. Proprio le differenziazioni da ultimo citate in ordine all’officialità della pronuncia ed all’assenza della necessità di un danno, rendono teoricamente possibile la coesistenza di una pronuncia di condanna ai sensi del primo comma con una ai sensi del terzo comma pur se tale ipotesi devi ritenersi più che residuale, stante la limitatezza dell’area applicativa dell’articolo 96 comma 1 c.p.c., che secondo la pacifica interpretazione della Suprema Corte presuppone la prova di un danno non aliunde risarcito ed ha così trovato applicazione concreta in rarissime ipotesi. La terza ed ultima problematica riguarda invece l’entità della sanzione monetaria, atteso che, come detto, la norma non prevede limiti edittali. Probabilmente, la soluzione più ragionevole ed utile ad orientare la discrezionalità del giudice è quella che utilizza il parametro delle spese di lite. In particolare, il protocollo del Tribunale di Verona, forse attualmente il più noto a livello nazionale, si è orientato nell’individuare nella forbice tra il minimo di un quarto ed il M. del doppio delle spese di lite scelta quest’ultima che ricalca quella fatta dal Legislatore nell’ormai abrogato articolo 385 c.p.comma in tema di ricorso per Cassazione , l’entità della condanna ex articolo 96 comma 3 c.p.comma Quanto al parametro che deve guidare la concreta scelta dell’ammontare, se si aderisce alla tesi, qui condivisa, della natura sanzionatoria della pronuncia, esso deve essere quello della gravità dell’abuso processuale. Infatti, gli altri parametri possibili - quali ad esempio il valore della controversia, la natura della prestazione e l’entità del danno, richiamati anche dall’articolo 614 bis c.p.comma in tema di astreintes – paiono volti più alla quantificazione del danno che alla quantificazione di una sanzione. Quanto sopra offre le coordinate per la statuizione sul caso concreto, ravvisandosi tutti i presupposti per la pronuncia ex articolo 96 comma 3 c.p.comma In particolare - l’articolo 96 comma 3 c.p.comma è ratione temporis applicabile, posto che la causa è stata introdotta nel marzo 2011, e quindi dopo l’entrata in vigore della L. numero 69/2009 - la pronuncia può essere resa d’ufficio, senza bisogno di instaurare il contraddittorio sul punto e senza che sia provato un danno di controparte - sussiste, da parte di Bs., una colpa grave, consistita nell’avere resistito in giudizio ed addirittura formulato domanda riconvenzionale, in modo manifestamente temerario e strumentalmente a fini dilatori, ciò che è testimoniato dalla proposizione di una tesi giuridicamente del tutto inconsistente e infondata già in fatto, in ragione di quanto esposto sub a . Ciò detto, stimasi equo indicare nella metà di quanto liquidato a titolo di spese di lite per ciascuna parte, l’entità della condanna ex articolo 96 comma 3 c.p.comma P.Q.M. il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa - condanna Bs. Costruzioni s.r.l. a pagare a Am. M. euro 5.616 al lordo della ricevuta d’acconto, oltre interessi ex D.Lgs. numero 231/2002 dal 16/4/2009 al saldo - condanna Bs. Costruzioni s.r.l. a rifondere a Am. M. le spese di lite del presente giudizio, che liquida in euro 200 per rimborsi, euro 2.500 per compensi, oltre IVA, CPA ed articolo 14 TP - condanna Bs. Costruzioni s.r.l. a rifondere a INA Assiitalia le spese di lite del presente giudizio, che liquida in euro 1.800 per compensi, oltre IVA, CPA ed articolo 14 TP - condanna Bs. Costruzioni s.r.l. a pagare a Am. M. ex articolo 96 comma 3 c.p.comma euro 1.250 - condanna Bs. Costruzioni s.r.l. a pagare a INA Assitalia ex articolo 96 comma 3 c.p.comma euro 900.
Tribunale di Tricase, 4 ottobre 2012 Giudice Unico Gabriele Positano Fatto e diritto Il novellato articolo 132 c.p.c. esonera il giudice dal redigere lo svolgimento del processo. Va ritenuta legittima la motivazione c.d. per relationem cfr., da ultimo, Cass. 3636/07 , la cui ammissibilità – così come quella delle forme di motivazione c.d. indiretta - risulta definitivamente codificata dall’articolo 16 del d.lgs 5/03, recettivo degli orientamenti giurisprudenziali ricordati. Per consolidata giurisprudenza del S.C. il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’articolo 118 disp. att. c.p.c., non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni – di fatto e di diritto - “rilevanti ai fini della decisione” concretamente adottata scrive Cass. 27.7.2006 numero 17145 “La conformità della sentenza al modello di cui all'articolo 132 numero 4 c.p.c., e l'osservanza degli articolo 115 e 116, c.p.c., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell'esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica e adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo seguito “ Le restanti questioni non trattate non andranno ritenute come “omesse” per l’effetto dell’ error in procedendo , ben potendo esse risultare semplicemente assorbite ovvero superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudicante. La vicenda oggetto della pronuncia in esame trae origine da un ricorso per reintegra ai sensi dell'articolo 1168 c.c. depositato in data 17.2.09 e dall'ordinanza di rigetto del 12.3-24.4.2009 con la quale il Tribunale ha definito la fase sommaria condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite e non fissando l'udienza per la prosecuzione del giudizio di c.d. «merito possessorio». Ordinanza avverso la quale il ricorrente soccombente ha proposto opposizione ex articolo 645 c.p.c. La novella di cui alla l. numero 80 del 2005 in vigore dall'1 marzo 2006 la disciplina che ha regolato la controversia oggetto della ordinanza impugnata , nel riformulare l'articolo 703 c.p.c., ha aggiunto al richiamo alle norme sul procedimento cautelare uniforme contenuto al comma 2 l'espressa limitazione «in quanto compatibili» ed ha introdotto oltre al principio della reclamabilità del provvedimento interdittale, già pacifico nell'elaborazione giurisprudenziale il comma 4 secondo cui «se richiesto da una delle parti, entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo ovvero, in difetto, del provvedimento di cui al terzo comma» cioè, l'ordinanza interdittale «il giudice fissa innanzi a sè l'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito ». Il legislatore ha, dunque, eliminato l'automatismo della successione tra la fase sommaria e quella del c.d. «merito possessorio», prevedendo che solo su impulso di una delle parti, all'esito del provvedimento interdittale conclusivo della fase sommaria, il giudice provvede a fissare l'udienza per la prosecuzione del giudizio nella fase di merito mentre, in assenza di detta istanza, il procedimento si intende definito e la misura sommaria mantiene la sua efficacia, pur se non invocabile in altro giudizio in applicazione dell'articolo 669-octies, commi 7 e 8, c.p.c. per compatibilità ed identità di ratio . Previsione che, rendendo non più necessaria la fase del c.d. «merito possessorio», consente di evitare la prosecuzione di quei giudizi nei quali l'accertamento e la conseguente valutazione operati dal giudicante nel provvedimento interdittale risultino di per sè satisfattivi per l'interesse delle parti. La modifica normativa del 2006 non ha, in sostanza, inciso nè sull'unicità, nè sulla struttura bifasica del procedimento possessorio il quale, infatti, tanto nel petitum quanto nella causa petendi resta sempre legato all'originario ricorso atteso che l'atto di impulso indicato dall'articolo 703 comma 4 c.p.c. è una semplice istanza di prosecuzione del medesimo giudizio e il «nuovo» procedimento di reintegra o di manutenzione è ancora un giudizio unico a struttura bifasica nel quale, però, il c.d. «merito possessorio» prima necessario è ora divenuto soltanto eventuale. Pertanto va segnalata la ritualità del regolamento delle spese di lite contenuto nell'ordinanza, osservando che trattandosi di provvedimento sommario di rigetto risultava applicabile la disposizione di cui all'articolo 669-septies c.p.c. richiamata dall'articolo 703 comma 2 c.p.c. e che, comunque, la disposizione sulle spese sarebbe stata anche in ipotesi di ordinanza di accoglimento conseguenza dell'applicazione del generale principio di cui all'articolo 91 c.p.c. Si tratta di conclusione quella della diretta operatività dell'articolo 91 c.p.c. largamente condivisa in dottrina e giurisprudenza e che di recente ha trovato l'avallo della Corte costituzionale. La novella del 2005 pur avendo eliminato il legame necessario tra la fase sommaria e la fase di merito anche in ipotesi di provvedimento di accoglimento con l'articolo 703 comma 4 c.p.c. per il possessorio e con l'articolo 669-octies comma 6 c.p.c. per i cautelari anticipatori cioè rimosso l'elemento che, nel previgente assetto normativo, aveva giustificato la mancata previsione delle spese per dette ordinanze, non ha introdotto alcuna previsione sul regolamento delle spese di lite, sicchè si è riproposto il dubbio interpretativo sulle spese. La funzione deflattiva che il legislatore 2005 ha inteso perseguire con l'attenuazione della strumentalità strutturale tra la fase sommaria e quella di merito e l'evidente contrasto che rispetto a tale esigenza determinerebbe il mancato regolamento delle spese di lite ha indotto la quasi unanime dottrina e giurisprudenza ad applicare al provvedimento interdittale possessorio ed al cautelare anticipatorio la disciplina generale di cui all'articolo 91 c.p.c. Tale soluzione è definitivamente acquisita, avendo trovato l’adesione della Corte Costituzionale in un giudizio avente ad oggetto proprio l'eccepita illegittimità costituzionale degli articolo 703 e 669-octies c.p.c. per la mancata previsione del regolamento delle spese di lite per l'ordinanza interdittale possessoria Trib. Firenze, sede distaccata di Empoli, numero 675 del 2006 reg. ord., pubblicata su G.U. numero 6 del 2007 . La Corte costituzionale ha rigettato l'incidente sul presupposto della ritenuta operatività nella specie della disciplina di cui all'articolo 91 c.p.c. In conclusione, nell'attuale normativa l'ordinanza interdittale deve sempre contenere il regolamento delle spese di lite, avverso al quale risulta poi applicabile il rimedio ulteriore rispetto all'eventuale reclamo dell'opposizione ai sensi degli articolo 669-septies e 645 c.p.c. Le considerazioni che precedono possono così sintentizzarsi a nella nuova disciplina di cui agli articolo 703 ss. c.p.c. il giudizio possessorio si articola in una prima fase sommaria instaurata con ricorso e definita con ordinanza ed in una seconda fase, quella del c.d. «merito possessorio», soltanto eventuale, con udienza di prosecuzione non più fissata dal giudice nel provvedimento interdettale, bensì rimessa all'impulso di una delle parti istanza da depositarsi nel termine perentorio di 60 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza interdittale o da quella a definizione dell'eventuale reclamo b tale ordinanza rispetto alla quale la mancata indicazione dell'udienza di prosecuzione si profila come conseguenza della mera eventualità del c.d. «merito possessorio» è impugnabile con il reclamo di cui all'articolo 669-terdecies c.p.c come espressamente previsto dall'articolo 703 comma 3 c.p.c. c che l'introdotta eventualità della prosecuzio del giudizio di merito rende compatibile, e quindi applicabile in ragione del richiamo di cui all'articolo 703 comma 2 c.p.c., la previsione di cui all'articolo 669-septies comma 2 c.p.c. in tema di pronuncia sulle spese in ipotesi di rigetto dell'istanza possessoria d che la successione non necessaria di fasi processuali rende in ogni caso ammissibile anche in ipotesi di accoglimento del ricorso o di declaratoria di cessazione della materia del contendere il regolamento delle spese di lite in applicazione del generale principio di cui all'articolo 91 c.p.c. Quanto ai profili sindacabili in sede di opposizione sulle spese, nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale si è discusso sulla stabilità di tale pronuncia sulle spese e sul rapporto con l'eventuale giudizio di merito. Secondo un primo orientamento non sarebbe possibile al giudice del merito revocare la pronuncia sulle spese contenuta nel provvedimento sommario, risultando preclusiva l'autonomia del rimedio oppositorio di cui agli articolo 669-septies e 645 c.p.c. di guisa che, decorso il termine per tale opposizione o infruttuosamente percorsa detta via, verrebbe a profilarsi una sorta di giudicato sul punto. Più convincente il diverso orientamento secondo cui il rimedio oppositorio può afferire esclusivamente alla legittimità della condanna alla spese in sè considerata rimedio svincolato da ogni valutazione sul merito del provvedimento innanzi al giudice dell'opposizione, cioè, non ci si può dolere di essere stati soccombenti nella fase sommaria, bensì solo dell'applicazione che il giudice della cautela abbia fatto dei principi sul regolamento delle spese di lite , sicchè nel giudizio del c.d. «merito possessorio» ove venga accertata l'infondatezza di quel diritto provvisoriamente riconosciuto in fase sommaria è ragionevole che anche l'accessoria condanna alle spese che su quell'erroneo riconoscimento aveva il suo fondamento possa essere revocata. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto della opposizione. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, così provvede l’opposizione e condanna la parte opponente, soccombente al pagamento delle spese di lite sostenute da Ru. M. A. che si liquidano in euro 20, per spese, euro 800, per diritti ed euro 1.200, per onorario di avvocato oltre accessori di legge se dovuti condanna l’opponente al pagamento delle spese di lite sostenute da S. R. che si liquidano in euro 30, per spese, euro 760, per diritti ed euro 1.050, per onorario di avvocato oltre accessori di legge se dovuti.