L’atto amministrativo illegittimo, che persegue interessi pubblici, non configura abuso di ufficio

La illegittimità degli atti amministrativi non è di per se esaustivamente significativa della configurazione del reato di abuso di ufficio, laddove non possa escludersi il fine primario del perseguimento di un interesse pubblico da parte dei pubblici ufficiali.

Questo il principio affermato dalla Sezione II Penale della Cassazione nella sentenza n. 32649 del 27 luglio 2013. Abuso di ufficio e novella del 1997. Se la fattispecie dell’abuso di ufficio prevista dall’art. 323 c.p. non è stata toccata dalla recente riforma Severino” legge 190/2012 , che ha profondamente innovato la disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione incidendo, invero, soprattutto sulle figure della corruzione e della concussione provvedendo, come si è osservato, allo spacchettamento” di quest’ultima , vi è da chiedersi come mai detta ampia riforma abbia lasciato completamente intonsa proprio questa fattispecie, da sempre considerata centrale nel novero dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La risposta va verosimilmente individuata a partire dal rilievo che dopo la novella del 1990, che riformò integralmente ed alla radice la disciplina del delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, proprio la fattispecie di cui all’art. 323 c.p. oggetto di numerose questioni di legittimità costituzionale era stata oggetto di una stravolgente riforma ad opera della legge n. 234 del 16 luglio 1997. Intervenuta prima che la Corte costituzionale, investita da diverse ordinanze di rinvio, che lamentavano la non sufficiente tassatività e determinatezza della fattispecie, avesse avuto modo di decidere, la novella del 1997, sinteticamente, ha a significativamente ridimensionato l'ambito della rilevanza penale della condotta, contenendo l'invasività della azione giudiziaria penale, b focalizzato l'attenzione sull'elemento oggettivo a discapito di quello soggettivo, c introdotto quale elemento costitutivo della fattispecie la violazione di norma di legge o di regolamento anche quale ipotesi dell'obbligo di astensione , d strutturato il delitto quale reato di evento, caratterizzato non da dolo specifico, bensì intenzionale. La ratio politico-criminale che ha mosso l’intervento del legislatore è stata quella di circoscrivere in modo essenziale l'area degli illeciti amministrativi penalmente rilevanti, delineando contorni e limiti netti all'intervento punitivo di natura penale. I confini dell’abuso di ufficio. La condotta materiale della fattispecie, che prescinde oggi, nonostante la rubrica, da ogni riferimento all'abuso d'ufficio, si tratteggia sul presupposto essenziale della inosservanza di specifiche prescrizioni normative, sia nel corso dell' iter formativo del provvedimento amministrativo, sia nella generale attività della funzione pubblica. Ciò premesso, secondo la miglior dottrina Padovani , seguita anche dalla prevalente giurisprudenza, un’interpretazione dell’art. 323 c.p. in armonia con il principio di precisione e di riserva di legge impone che nel termine norme di legge o di regolamento debbano essere ricomprese solo ed esclusivamente quelle disposizioni normative a contenuto precettivo, che prescrivono specifici modelli di comportamento da osservarsi puntualmente dal pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio durante lo svolgimento della funzione o del servizio. Premesso che l'art. 323 c.p. contiene, in avvio, una clausola di riserva espressa secondo cui la sanzione opera nei confronti dei soggetti legittimati pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, l’elemento centrale della fattispecie è che trattasi non più di un reato formale , ma di evento . Se infatti la precedente ipotesi criminosa esigeva soltanto il perseguimento della finalità del danno o del vantaggio, dopo la riforma del 1997 il fatto-reato è integrato solo laddove si realizzino più limitate condotte ed il reato si consuma solo con la realizzazione del precipuo obiettivo di un ingiusto vantaggio patrimoniale dell'agente od altrui, oppure di un danno ingiusto di altri. Importante è dunque sottolineare che ai fini della integrazione del reato è ingiusto solo il vantaggio che non si fondi in un corrispondente diritto sostanziale o che, comunque, non possa rinvenire tutela nell'ordinamento giuridico, sicché resta insufficiente, ai fini della valutazione relativa di ingiustizia del vantaggio o del danno, la mera caratterizzazione dell'illegittimità dell'azione o dell'omissione che li ha causati. Il caso . La pronuncia che si annota riguarda un’ordinanza del Tribunale del riesame di Latina emessa nell’ambito di una vicenda relativa a sequestro preventivo di un terreno oggetto di provvedimento espropriativo, a seguito di un precedente annullamento con rinvio della Suprema Corte. Avverso tale provvedimento ricorrono i pubblici ufficiali evidenziando come il Tribunale del riesame di Latina, invece di conformarsi alla sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Cassazione, avesse nuovamente confermato il provvedimento di sequestro senza considerare che gli Ermellini avevano statuito, già con la prima pronuncia di annullamento, come la mera illegittimità degli atti amministrativi non fosse di per sé significativa della configurabilità del reato allorchè non si potesse escludere, come era nel caso di specie, l’effettivo e non meramente strumentale perseguimento di un interesse pubblico da parte degli indagati. Sul secondo ricorso la Suprema Corte non può che prendere atto del fatto che il Tribunale del Riesame abbia confermato, ancora una volta, la illegittimità degli atti amministrativi e da tale constatazione abbia ritenuto sussistente il fumus commissi delciti della fattispecie di abuso di ufficio. Questa volta, tuttavia, la scure della Cassazione si abbatte con tutta la sua forza sulla ordinanza impugnata annullando senza rinvio e disponendo la restituzione dei beni sottoposti a vincolo, evidenziando come - pur riconosciuto e fermo il potere del giudice penale di apprezzare autonomamente la illegittimità di un atto amministrativo - nel valutare la sussistenza del delitto di abuso di ufficio, anche nella fase cautelare reale, non possa il giudice penale prescindere dal rilievo che, con sentenza definitiva del Consiglio di Stato, si fosse accertato che gli indagati avevano agito perseguendo un interesse pubblico e dunque senza alcun interesse privato o vantaggio individuale. Circostanza questa che appare decisiva, pur in fase cautelare reale, laddove l’esame deve limitarsi alla verifica della sussistenza di un fumus commissi delicti , considerato che oggi, dopo la riforma del 1997, come sopra si è evidenziato, il delitto di abuso di ufficio è reato a dolo intenzionale e di evento, in senso naturalistico, evento rappresentato dal proprio o altrui vantaggio patrimoniale ingiusto o dall’altrui danno, escluso nel caso di specie dall’accertato - seppur nella sede giudiziaria amministrativa - perseguimento di un primario interesse pubblico da parte degli indagati.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 29 maggio - 26 luglio 2013, n. 32649 Presidente Fiandanese – Relatore Verga Motivi della decisione Con ordinanza in data 9 giugno 2012 il Tribunale del riesame di Latina decidendo a seguito di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in data 18.1.2012 che aveva annullato l'ordinanza pronunciata dal tribunale del riesame in data 6.10.2011, confermava il decreto di sequestro preventivo di area terriera sita nel comune di OMISSIS , adottato il 9 agosto 2011 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Latina nei confronti di P.M. , M.J. e il comune di Sperlonga, in relazione all'ipotesi criminosa di abuso d'ufficio e di omissione di atti d'ufficio, formulata nei confronti di P.M. , nella sua qualità di responsabile del settore lavori pubblici del Comune di omissis , D.S.T. , assessore all'urbanistica e M.J. , assessore del comune di omissis delegato dal sindaco. Il decreto di sequestro preventivo aveva ad oggetto l'aria terriera sita nel comune di omissis ed era stato disposto in relazione all'ipotesi criminose di abuso di ufficio e di omissione di atti d'ufficio formulata nei confronti dei predetti in relazione al diniego illegittimo espresso a D.V.A. in relazione alle istanza di autorizzazione alla realizzazione di un parcheggio provvisorio e temporaneo sull'area foglio 13 particella 53 del Comune di omissis , area successivamente espropriata con decreto del 12 luglio 2000 e relazione alla quale il Comune disponeva ed eseguita illegittimamente l'immissione in possesso, malgrado il Consiglio di Stato avesse sospeso in via cautelare la sentenza del Tar Lazio che riteneva la legittimità dell'esproprio, nonché per aver omesso di decidere su analoghe istanze inoltrate dal medesimo D.V. per le stagioni 2006 2007 2008 in violazione dell'articolo due legge 241 1990 e articolo due legge 15.005, così ragionando a D.V.A. un danno ingiusto . La corte di cassazione aveva annullato il provvedimento di sequestro con riguardo alla pertinenzialità del bene sequestrato ai fatti di reato e alla stessa configurabilità del delitto di abuso rilevando che non risultava esplicitata la relazione tra il sequestro del terreno, l'ipotizzato delitto di omissione continuata di atti d'ufficio e la prima tipologia di abuso indicata. Con riguardo al secondo profilo la suprema corte aveva rilevato che risultava omesso il necessario confronto argomentativo con la tipologia di opera per la quale l'esproprio risultava intervenuto, anche alla luce delle deduzioni difensive allegate per l'udienza del riesame in ordine al contenuto della sentenza del Tar sospesa con decreto presidenziale del Consiglio di Stato, dove ciò che rilevava prima ancora della questione afferente l'ambito dell'efficacia sospensiva era la considerazione del complessivo interesse pubblico argomentato dal tribunale amministrativo, idoneo ad influire appunto nella stessa configurazione giuridica dei fatti e sull'apprezzamento del danno del privato quale elemento costitutivo. Ierma l'autonomia della possibile rilevanza penale delle condotte e delle relative valutazioni del giudice penale, appariva infatti indubbio che la relazione tra il danno del privato e l'interesse pubblico complessivo dovevano essere oggetto di specifica motivazione, essendo la mera illegittimità degli atti amministrativi non per se significativa della configurazione del reato e l'effettivo e non strumentale fine primario di perseguimento di un interesse pubblico, legittimamente affidato all'agente dall'ordinamento idoneo ad escludere la sussistenza del reato. Ricorrono per Cassazione P.M. , M.J. e il comune di Sperlonga, a mezzo del difensore, deducendo che il provvedimento impugnato è incorso in 1. violazione e falsa applicazione degli articoli 325 e 606 comma 1 codice di procedura penale. Inosservanza delle norme processuali stabiliti a pena di nullità. Inefficacia della disposta misura cautelare reale a seguito del decorso del termine perentorio stabilito dall'articolo 324 comma 5 codice procedura penale per la pronuncia sulla richiesta. Lamenta che gli atti sono pervenuti nella cancelleria del tribunale in data 22 marzo 2012 e che il tribunale, come disposto dall'articolo 324 comma 5 codice di procedura penale, avrebbe dovuto pronunciarsi entro non oltre il termine di 10 giorni e quindi entro e non oltre il 1 aprile 2012, mentre l'ordinanza è stata depositata il 27 giugno 2012. 2. Violazione di legge in relazione agli articoli 324 e 127 codice di procedura penale. Ritiene il ricorrente nulla l'ordinanza impugnata a seguito della contestata ammissione a partecipare all'udienza camerale del difensore del denunciante. Sostiene che il tribunale ha omesso di pronunciarsi motivatamente sul punto. 3 - 4. violazione di legge con riguardo alla concessione al difensore del denunciante della facoltà di produrre documenti, depositare memoria difensiva e di interloquire nel corso della camera di consiglio. Violazione dell'obbligo che all'udienza camerale sia presente solo difensore degli indagati ed eventualmente essi stessi. Nullità dei provvedimenti implicitamente assunti. Violazione falsa applicazione dell'articolo 125 comma tre codice procedura penale. 5. violazione del diritto di difesa in relazione agli articoli 3, 24,111 e il 117 della Costituzione e della Cdu, violazione del diritto del difensore degli indagati di essere presente durante tutto il corso dell'udienza camerale. Ingiustificata fissazione del prosieguo dell'udienza in orario concomitante con precedente dichiarato impegno del difensore di partecipare all'udienza dibattimentale per la discussione, precedentemente fissata, in relazione alla quale il difensore stesso aveva dato ampie tempestiva comunicazione al tribunale del riesame. Lamenta anche che tale impedimento non è stato oggetto di verbalizzazione. 6. Violazione di legge in relazione all'articolo 125 comma 3 omessa pronuncia sulle eccezioni sollevate dal difensore degli indagati in relazione alla non consentita partecipazione dell'asserito difensore del denunciante all'udienza camerale del 7 giugno 2012. 7. Violazione di legge in relazione all'articolo 324 codice procedura penale. Errata ed omessa lettura delle risultanze del fascicolo del pubblico ministero, anche in relazione agli errori commessi dal pubblico ministero e Gip. Lamenta che il tribunale non ha correttamente letto gli atti processuali. In particolare non ha tenuto conto che la commissione, come dichiarato da tutti i componenti compreso il D.F. e confermato dalla segretaria G. il 29 giugno 2010 si era espressa per il rigetto dell'istanza di rilascio del p.d.c., circostanza che contrasta in modo vistoso con quanto affermato a pagina due dell'ordinanza impugnata. 8. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 627 del codice di procedura penale, in relazione all'obbligo del giudice del rinvio di uniformarsi ai principi contenuti nella sentenza della suprema corte per ciò che concerne le questioni di diritto in esse decise. Violazione di legge e vizio della motivazione per mancato esame delle deduzioni e documentazioni difensive richiamate nella memoria del 7 giugno 2012. Inosservanza ed erronea applicazione delle norme giuridiche che regolano il procedimento ed il processo amministrativo nonché dell'articolo 119 comma 1 lett. F decreto legislativo numero 104/10. Lamenta che nell'ordinanza impugnata non è stata prestata attenzione alla decisione della quarta sezione del Consiglio di Stato, numero 434 del 27 gennaio 2012, che ha respinto gli appelli proposti dal D.V. in quanto le censure erano destituite di fondamento. 9. Violazione dell'articolo 623 codice procedura penale violazione dei principi contenuti nella sentenza della Suprema Corte numero 4692/12 e del dovere di uniformarsi alla sentenza di annullamento. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 321 e degli articoli 323 e 328 del codice penale. Sostiene che l'ordinanza impugnata ha fatto mal governo dei principi indicati nella sentenza della corte di cassazione. Ritiene che la suprema corte aveva invitato il tribunale ad approfondire, seppure nei limiti dell'astratta configurabilità delle condotte contra lege ipotizzate nel decreto di sequestro preventivo, la ricorrenza dei presupposti di cui all'articolo 323 codice penale e conseguentemente dei presupposti di cui all'articolo 321 codice di procedura penale. L'impugnata ordinanza si è invece sottratta ingiustificatamente alla trattazione di tale tema, ritenendolo evidentemente scomodo. Sostiene che la sussistenza del fumus è solo apparentemente motivata, così come apparentemente motivata è l'affermazione della ricorrenza del presupposto del danno in relazione all'ipotesi delittuosa di abuso. Così come errata è l'affermazione del'asserita irrilevanza della decisione del Consiglio di Stato numero 434/12 confermativa della sentenza del Tar Latina n. 302/11. In particolare l'impugnata ordinanza non si è soffermata sul rilievo che più sentenze del giudice amministrativo hanno accertato la piena legittimità di tutti gli atti impugnati dal D.V. ed in particolare di quelli gravati con il ricorso definitivo dal Tar del Lazio sezione di Latina sentenza numero 356/08 risalente a ben 4 anni or sono è dunque in epoca antecedente le contestazioni rivolte dal pubblico ministero agli indagati. Ritiene fantomatico e indimostrato il nesso di pertinenzialità tra il terreno oggetto di sequestro e l'ipotizzato reato di abuso d'ufficio. Singolare è inoltre la pretesa secondo la quale il fumus del delitto di cui all'articolo 328 c.p. emergerebbe chiaramente nella disparità di trattamento attuata dall'ente comunale prima del 2006 e dopo il 2009. Secondo il ricorrente l'affermazione è gravemente errata alla luce della documentazione in atti e delle numerose sentenze decisioni del giudice di con le quali sono stati respinti tutti i ricorsi proposti dal D.V. , sentenze decisioni che il tribunale del riesame non ha esaminato. 10. Violazione di legge in relazione agli articoli 325 e 606 comma uno lettera B e C lo stravolgimento delle risultanze processuali. Violazione di legge e falsa applicazione dell'articolo 125 comma tre codice di procedura penale anche in relazione alla sussistenza dei presupposti fattuali dei reati contestati dal pubblico ministero e dei presupposti per l'applicazione della cautela reale. 11. Violazione di legge in relazione all'omesso esame dell'ampia documentazione depositata alla camera di consiglio del 6 ottobre 2011 violazione del generale principio del contraddittorio. Il primo motivo di ricorso è infondato. Nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di un provvedimento del tribunale del riesame da parte della Corte di cassazione, non è applicabile la disposizione di cui all'art. 309, decimo comma, cod. proc. pen., secondo la quale l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde immediatamente efficacia se la decisione sulla richiesta non interviene entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti cfr. Cass SSUU n. 5 del 1996 Rv. 204463 Sez. 6^ n. 35651 del 2003 Rv. 226513 Sez. 6, n. 22310 del 2006 Rv. 234736 . Anche i motivi sub 2, 3, 4 e 6 sono infondati. Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza con la sentenza Ivanovic del 29.5.2008 Rv. 239697 hanno affermato che nel giudizio di riesame del sequestro preventivo o probatorio la persona offesa che ha diritto alla restituzione delle cose sequestrate ha facoltà di intervento spontaneo, che non solo non produce alcuna irregolarità o nullità procedurale, ma rappresenta la manifestazione minore di una più ampia facoltà espressamente ammessa dalla legge, con la conseguenza che all'interveniente qualificato sono attribuite le stesse prerogative riconosciute al soggetto che ha proposto la richiesta di riesame, e quindi anche quella di produrre documenti e altri elementi di prova, nonché di partecipare all'eventuale giudizio di legittimità, da altri o da lui stesso promosso, con correlativo diritto a ricevere, in quest'ultimo caso, i prescritti avvisi, conformemente al disposto degli artt. 325, comma terzo, 311, comma quinto e 127, comma primo, cod. proc. pen Conclusione che non trova ostacolo nel disposto dell'art. 324/6 c.p.p., il quale, malgrado il richiamo alle forme previste dall'art. 127 c.p.p., sancisce l'obbligo dell'ufficio procedente di dare avviso della fissazione dell'udienza solamente a chi ha proposto la richiesta . Appare chiara, infatti, la preoccupazione del legislatore, suggerita dal rispetto dell'esigenza di speditezza dei giudizi, particolarmente avvertita in materia cautelare, di evitare complicazioni di qualsiasi natura, comprese quelle inerenti alla difficoltà, riscontrabile a volte nella pratica, di individuare i possibili aventi diritto alle notificazioni, quando si tratti di persone diverse da quelle, le cui posizioni soggettive risultino chiaramente dagli atti. Ed è indubbio che il D.V. rivestiva nel procedimento in esame la qualità di persona offesa alla quale poteva essere riconosciuta il diritto alla restituzione della cosa sequestrata. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell'udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le altre parti interessate, siano sentiti solo se compaiono N. 33283 del 2002 Rv. 222497, N. 14866 del 2004 Rv. 227918, N. 17312 del 2004 Rv. 228647, N. 22308 del 2004 Rv. 228093, N. 23323 del 2004Rv. 228867, N. 40542 del 2004 Rv. 230260, N. 20576 del 2005 Rv. 231360, N. 16555 del 2006 Rv. 234450, N. 23778 del 2006 Rv. 234726, N. 33392 del 2008 Rv. 240901 n. 14396 2009 Rv. 243263 Sezioni Unite N. 31461 del 2006 Rv. 234146. Il motivo sub 7 è inammissibile considerato che ai sensi dell'articolo 325 codice di procedura penale di ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma degli articoli 322 viste 324 codice di procedura penale, caso di specie, è ammesso solo per violazione di legge sono pertanto inammissibile i motivi volte a contestare il vizio di motivazione palesemente erronea e impropria. I residui motivi sono fondati. La corte di cassazione con la sentenza di annullamento ha affermato che i ricorsi di P. e M. erano fondati perché andavano condivise le due censure di fondo in ordine 1 alla pertinenzialità del bene sequestrato ai fatti di reato per i quali risulta procedersi 2 alla stessa configurabilità del delitto di abuso. Quanto al primo aspetto e tenuto anche conto del fatto che sul punto il provvedimento impugnato non aveva operato alcuna distinzione tra la pluralità di delitti e condotte contestualmente indicate non risultava esplicitata la relazione tra il sequestro del terreno, l'ipotizzato delitto di omissione continuata di atti d'ufficio e la prima tipologia di abuso indicata. Quanto al secondo aspetto risultava omesso il necessario confronto argomentativo con la tipologia di opera per la quale l'esproprio risultava intervenuto, anche alla luce delle deduzioni difensive allegate per l'udienza del riesame in ordine al contenuto della sentenza del Tar sospesa con decreto presidenziale del Consiglio di Stato, dove ciò che rilevava prima ancora della questione afferente l'ambito dell'efficacia sospensiva era la considerazione del complessivo interesse pubblico argomentato dal tribunale amministrativo, idoneo ad influire appunto nella stessa configurazione giuridica dei fatti e sull'apprezzamento del danno del privato quale elemento costitutivo. Osservava la Corte che ferma l'autonomia della possibile rilevanza penale delle condotte e delle relative valutazioni del giudice penale, appariva infatti indubbio che la relazione tra il danno del privato e l'interesse pubblico complessivo dovevano essere oggetto di specifica motivazione, essendo la mera illegittimità degli atti amministrativi non per se significativa della configurazione del reato e l'effettivo e non strumentale fine primario di perseguimento di un interesse pubblico, legittimamente affidato all'agente dall'ordinamento idoneo ad escludere la sussistenza del reato. Il giudice del rinvio ancora una volta ribadisce la illegittimità degli atti come già di per sé esaustivamente significativa della configurazione del reato, rilevando che dalla documentazione in atti emergeva che, rispetto al vincolo preordinato all'esproprio, posto con variante al piano regolatore generale approvato con DPRG n. 642/2000, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera era intervenuta solo nel 2009 e con la delibera numero 26 e quindi, poiché era intervenuta ben oltre il termine di efficacia del vincolo preordinato all'esproprio, in carenza assoluta di potere in concreto. Aggiungeva che tale circostanza, sebbene non confermata dalla copiosa produzione di sentenze amministrative acquisite in atti, non risultava tuttavia dalla stessa neanche smentita, atteso che evidentemente per il principio della domanda valevole nel giudizio amministrativo così come per il principio tantum devoiutum quantum appellatum, tale circostanza non risultava essere stata eccepita nel ricorso di primo grado, né reiterata in sede di appello. Pertanto riteneva che gli indagati avevano agito in palese violazione di legge e in particolare della legge che governa il procedimento espropriativo perché avevano agito in carenza di potere ivi compreso quando si erano immessi, nell'asserito interesse del comune, nel possesso del terreno del D.V. . A tal fine considerava irrilevante la decisione con cui il Consiglio di Stato aveva da ultimo confermato la sentenza del Tar Latina numero 302/11 atteso che quello che rilevava ai fini del fumus delicti era la valutazione ex ante della condotta e dell'elemento soggettivo, desunti da elementi e non da prove in senso tecnico trattandosi di fase cautelare. A parere del tribunale del riesame emergeva in maniera evidente il nesso di pertinenzialità tra il terreno oggetto di sequestro e l'ipotizzato reato di abuso di ufficio dei pubblici amministratori che si era estrinsecato proprio nella procedura ablatoria avente ad oggetto l'area sottoposta a sequestro, oltre che nella illegittima immissione in possesso della predetta aria, con evidente danno ingiusto a carico del privato, ingiustizia derivante dalla già rilevata carenza di potere che certo non poteva giustificare un'estinzione del diritto di proprietà del privato. È di tutta evidenza come le motivazioni incorrono nello stesso vizio già censurato nella sentenza di annullamento con l'ulteriore elemento della ritenuta irrilevanza della decisione del Consiglio di Stato che ha avuto sicuramente incidenza sulla legittimità del procedimento amministrativo. In sintesi non è dato comprendere come il provvedimento impugnato possa, sulla scorta della ricostruzione compiuta, ribadire la illegittimità degli atti amministrativi come già di per sé esaustivamente significativa della configurazione del reato a fronte di una sentenza di annullamento che ha affermato che la mera illegittimità degli atti amministrativi non è di per sé significativa della configurazione del reato e che non ha spiegato perché possa senz'altro escludersi l'effettivo e non strumentale fine primario di perseguimento di un interesse pubblico da parte dei ricorrenti idoneo ad escludere la sussistenza del reato, a fronte di una decisione del Consiglio di Stato che ha confermato la decisione del Tribunale amministrativo che aveva argomentato circa il complessivo interesse pubblico, come indicato nella stessa sentenza di annullamento. Il provvedimento impugnato dev'essere pertanto annullato senza rinvio, così come deve essere annullato il decreto di sequestro con conseguente restituzione del bene all'avente diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto del G.I.P. di Latina del 9 agosto 2011 e dispone la restituzione del bene in sequestro all'avente diritto. Si preveda a norma dell’art. 626 c.p.p