Vietata la ‘doggy bag’, ossia negata la possibilità di portar via dal proprio tavolo il cibo rimasto. Tale scelta del titolare della struttura alberghiera è legittimamente vista come un’imposizione assolutamente ingiusta. Per questo, la reazione sopra le righe del cliente è da valutare come frutto dello stato d’ira del momento, e quindi non punibile.
‘Doggy bag’ vietata assolutamente intransigente – anche su questo punto – il titolare della struttura alberghiera. Ma questa è, per il cliente, solo la punta dell’iceberg così, egli, di fronte all’impossibilità di portar via gli avanzi di cibo rimasti al proprio tavolo – ecco, appunto, la ‘doggy bag’ – prima di mettersi in strada a fare il turista, perde la tramontana e critica duramente l’albergatore. Egli, più precisamente, parla di servizi da schifo Nonostante il ‘peso’ delle parole utilizzate, però, l’uomo non è punibile per l’ipotizzato reato di ingiuria il suo sfogo verbale, in qualità di cliente, è valutabile come frutto dello stato d’ira dal “fatto ingiusto” rappresentato dai disservizi della struttura e dai divieti imposti dal titolare dell’albergo. Cassazione, sentenza numero 29942, sez. V Penale, depositata oggi . Divieto. Casus belli è il «diverbio» avuto dall’uomo «con i gestori dell’albergo» di cui era ospite, e frutto anche del «divieto di asportare i residui del cibo» per la propria ‘doggy bag’. Tale episodio, però, è acme dei malumori del cliente per la presunta «insufficiente qualità» dei servizi offerti dalla struttura. Per giunta, la vicenda conquista addirittura gli onori delle cronache giornalistiche locali, che riportano le lamentele dell’uomo, il quale – riproponendo pari pari il concetto espresso nella discussione coi titolari della struttura – definisce «uno schifo il servizio offerto dall’hotel». Ciò conduce alla condanna dell’uomo per il «reato di ingiuria», avendo egli, secondo i giudici, offeso l’onore dei proprietari della struttura. Ma questa valutazione viene modificata, in maniera netta, dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, accogliendo il ricorso dell’uomo, ritengono sussistere, a favore dell’uomo, l’«esimente della provocazione». Qual è, di preciso, la provocazione subita dal cliente? Molto semplicemente, secondo i giudici, i «disservizi» della struttura e l’«imposizione di regole pretestuose ed ingiuste», come il divieto, per il cliente, di portar via gli avanzi di cibo presenti sul suo tavolo. Ci si trova, sempre secondo i giudici, di fronte a un «fatto ingiusto», quello realizzato dal titolare della struttura, che ha provocato, nel cliente, uno «stato d’ira» tale da rendere comprensibile uno sfogo verbale per nulla ortodosso. Ciò rende l’uomo «non punibile».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 maggio – 8 luglio 2014, numero 29942 Presidente Palla – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Trento confermava la condanna di M.F. per il reato di ingiuria commesso nel corso di un diverbio con i gestori dell'albergo di cui era ospite e del cui servizio lamentava l'insufficiente qualità, mentre, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, lo assolveva da quello di diffamazione a mezzo stampa ad oggetto le analoghe doglianze manifestate ad un giornale locale e da quest'ultimo riportate in un articolo, ritenendo la sua condotta espressione del legittimo esercizio del diritto di critica e provvedendo conseguentemente alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio e dell'entità della provvisionale liquidata in prime cure in favore delle parti civili. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato deducendo la contraddittorietà della motivazione e il mancato riconoscimento dell'esimente della provocazione. Sotto il primo profilo osserva il ricorrente come, tanto nelle dichiarazioni rilasciate alla stampa, come nel corso del diverbio con gli albergatori, il M. avesse fatto ricorso ad espressioni in tutto identiche sostanzialmente concentratesi nel definire uno schifo il servizio offerto dall'hotel che la Corte distrettuale, con motivazione per l'appunto illogica e contraddittoria, aveva valutato in maniera opposta ai fini della configurabilità del legittimo esercizio del diritto di critica. Non di meno, pur riconoscendo che l'istruttoria dibattimentale avesse dimostrato l'effettività dei disservizi denunciati dall'imputato, del tutto immotivatamente avrebbe escluso l'operatività della disposizione di cui al secondo comma dell'articolo 599 c.p. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti. In realtà infondata ai limiti dell'inammissibilità è la prima doglianza, giacchè la Corte distrettuale ha esaurientemente illustrato le ragioni per cui l'utilizzo del medesimo epiteto nei due differenti contesti dovesse portare a differenti conclusioni in ordine alla valutazione della penale rilevanza della condotta dell'imputato, precisando come nei confronti diretti con l'albergatore il M. non si fosse limitato alla specifica critica delle modalità di erogazione del servizio di ristorazione, bensì avesse trasceso in una più generale e gratuita aggressione verbale nei confronti della persona offesa e della struttura da lui gestita. Argomentazioni queste che non risultano manifestamente illogiche e con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato con la dovuta specificità. Il ricorso coglie invece nel segno nella critica al mancato riconoscimento dell'esimente della provocazione, nonostante i giudici d'appello avessero ammesso che la condotta ingiuriosa addebitata costituisse l'effettiva e sostanzialmente immediata reazione ai disservizi subiti dal M. ed all'imposizione di regole divieto di asportare i residui del cibo per costituire il c.d. “doggy bag”, riempire la propria borraccia dalla bottiglia servita a tavola non irragionevolmente ritenute pretestuose ed ingiuste dall'imputato. In realtà la fattispecie descritta in sentenza integra effettivamente quella tipizzata dal secondo comma dell'articolo 599 c.p., atteso che il fatto ingiusto altrui può essere costituito anche dalla lesione di regole comunemente accettate nella civile convivenza Sez. 5, numero 9907/12 del 16 dicembre 2011, P.C. in proc. Conti, Rv. 252948 , mentre la motivazione - invero assai generica - resa per escludere l'operatività dell'esimente si rivela intrinsecamente contraddittoria sul punto, una volta contestualizzata all'interno dei complessivo discorso giustificativo dei provvedimento. La sentenza deve dunque essere annullata senza rinvio per essere l'imputato non punibile ai sensi dell'articolo 599 comma 2 c.p. avendo agito nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere l'imputato non punibile ai sensi dell'articolo 599 comma 2 c.p.