“Scostumato di m...a”, la persona offesa rientra in casa: gesto di eleganza, non di paura

Nessun dubbio sul reato di ingiuria attribuibile al condomino che ha apostrofato in malo modo un vicino di casa. Però la decisione della persona offesa di prendere la porta di casa e sottrarsi allo scontro non è valutabile come frutto di paura, bensì come scelta volontaria di allontanarsi da una situazione molesta. Cade, quindi, l’ipotesi del reato di minacce.

Scontro condominiale – come da abitudini italiche – volano parole grosse ed epiteti poco gradevoli, tutto ‘sublimato’ da atteggiamenti per nulla cordiali, anzi anche vagamente ostili. Legittima la condanna per il reato di ingiuria nei confronti del condomino che ha apostrofato il vicino di casa come “scostumato di m a”. Non regge, invece, l’ipotesi delle minacce, nonostante la persona offesa, visto lo ‘spirito’ del condomino ‘su di giri’, abbia preso la porta di casa, allontanandosi volontariamente Cass., sent. numero 29221/2014, sez. V Penale, depositata oggi . Parole grosse. Poco edificante la scena, poco edificanti anche i toni e i contenuti. Ciò rappresenta, probabilmente, l’acme di tensioni ‘sotterranee’ tra gli abitanti del palazzo. Ma, questa volta, si va fuori dal seminato Un condomino rivolge l’espressione “scostumato di m a” al vicino di casa, che, peraltro, vista la situazione per nulla serena, aveva già preso la porta di casa. Ad ascoltare le parole incriminate rimane, però, la moglie della persona offesa. E ciò basta per contestare al condomino ‘su di giri’ il reato di «ingiuria». Ma, per i giudici, la situazione è ancora peggiore così l’uomo viene anche condannato per il reato di «minacce». Fatale la constatazione che l’uomo aveva «tenuto un comportamento minaccioso, che aveva indotto la persona offesa ad andare via», rientrando in casa. Fuga. Però la posizione dell’uomo, finito sotto accusa, migliora in ultima battuta. Decisive le valutazioni compiute dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ritengono difficile contestare, in questa vicenda, il «reato di minaccia», che, è bene ricordarlo, «non può prescindere dalla rappresentazione, ad opera dell’agente, di un male futuro ed ingiusto, la cui verificazione dipenda dalla sua volontà». Nessun dubbio, chiariscono i giudici, sul fatto che l’uomo abbia «proferito una espressione verbale dal contenuto sicuramente offensivo e volgare», però non si può sostenere – come è stato fatto invece in Appello – che il «tono minaccioso e iroso» delle parole utilizzate abbia spinto «la persona offesa ad allontanarsi velocemente». A conferma di questa valutazione anche il fatto che proprio la persona offesa abbia spiegato di essere rientrato in casa semplicemente per «sottrarsi ad un comportamento molesto», non certo per paura. Azzerata, quindi, l’ipotesi delle «minacce». Confermato, invece, il reato di «ingiuria».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 maggio – 4 luglio 2014, numero 29221 Presidente Bevere – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione Z.G., avverso la sentenza del Giudice di pace di Cosenza, in data 18 dicembre 2012 con la quale è stato condannato alla pena pecuniaria, in ordine ai reati di ingiuria e minacce, commessi il 25 febbraio 2007, in danno di B.G. L'imputato è stato ritenuto responsabile di avere, tra l'altro per l'ennesima volta, rivolto alla persona offesa, sia pure dopo che questa si era allontanata, ma alla presenza della moglie, sul pianerottolo di casa, l'espressione scostumato di merda , avendo tenuto, altresì, un comportamento minaccioso che aveva indotto la persona offesa, appunto, ad andare via. Deduce personalmente l'imputato 1 la inosservanza degli articolo 612 e 594 c.p. La insussistenza del reato di minacce avrebbe dovuto essere dedotta dal fatto che la persona offesa si era lamentata di un tono di voce, dello Z., quasi minaccioso , mentre non era stato precisato, nemmeno ad opera di quella, quale sarebbe stato l'ingiusto danno minacciato requisito non indicato nel capo di imputazione e tantomeno nella motivazione della sentenza impugnata. Quanto al reato di ingiuria, l'impugnante segnala la mancata ricorrenza del presupposto della presenza della persona offesa, al momento in cui l'agente teneva la condotta lesiva in suo danno mancanza attestata anche dalla deposizione della moglie del denunciante 2 la violazione degli articolo 498 e 503 cpp, essendo stato consentito alla persona offesa, non costituita parte civile, di porre domande ai testi. Alla odierna udienza la difesa ha eccepito anche la irregolarità della querela , non essendo avvenuta, la identificazione del querelante, nelle forme previste dal codice. Il ricorso è fondato nei limiti che si indicheranno. Occorre sgomberare il campo dalla questione procedurale posta col secondo motivo di ricorso , invero manifestamente infondato sotto un duplice profilo. In primo luogo , rileva qui il profilo dell'interesse alla deduzione, atteso che, in mancanza di sanzione processuale alla violazione segnalata, come si dirà in seguito, non viene specificato nel ricorso quale sarebbe il risultato di prova che , conseguito alla formulazione della domanda non consentita, avrebbe avuto un risultato decisivo o comunque rilevante ai fini della sentenza pronunciata. In secondo luogo, la giurisprudenza di questa Corte è concorde nell'osservare che la violazione delle norme che regolano le modalità di assunzione delle deposizioni testimoniali e segnatamente quelle sui soggetti legittimati dal codice di rito a porre le domande, non comporta anche che vi sia stata assunzione di prova in violazione dei divieti posti dalla legge e quindi che si sia operativa la sanzione della inutilizzabilità prevista dall'articolo 191 cpp. Ugualmente non si apprezzano gli estremi per la individuazione di nullità ai sensi dell'articolo 178 cpp vedi Sez. 2, Sentenza numero 35445 del 08/07/2002 Ud. dep. 11/09/2003 Rv. 227360 . Inammissibile è poi la questione, posta per la prima volta nella udienza dinanzi a questa Corte, a proposito del presunto difetto di validità della querela. Anche le Sezioni unite di questa Corte hanno convalidato l'assunto, più volte ribadito dalla giurisprudenza a Sezioni semplici, secondo cui non solo la irregolare identificazione del proponente la querela, ma anche la mancata identificazione di esso non determina l'invalidità dell'atto allorché ne risulti accertata la sicura provenienza Sez. U, Sentenza numero 26268 del 28/03/2013 Cc. dep. 17/06/2013 Rv. 255584 . Nel caso di specie tale ultima evenienza può dirsi acquisita come è desumibile anche dal fatto che la escussione della persona offesa si è posta in linea di continuità storica e logica con l'atto propulsivo della procedura. E' invece fondato in parte il primo motivo di ricorso. E' del tutto da condividere la osservazione dell'impugnante secondo cui la configurazione del reato di minaccia non può prescindere dalla rappresentazione, ad opera dell'agente, di un male futuro ed ingiusto, la cui verificazione dipenda dalla sua volontà. Nel caso di specie, tuttavia, emerge dalla stessa motivazione adottata dal giudice a quo, che tale evenienza non si sia verificata, avendo l'imputato proferito una espressione verbale dal contenuto sicuramente offensivo e volgare ma non anche minaccioso nel senso sopra specificato. Ancora, il giudice ha affermato, invero, che il suddetto comportamento dell'imputato, non nuovo a tal genere di imprese, è stato posto in essere con fare iroso e minaccioso , tanto da indurre la persona offesa ad allontanarsi velocemente. Ma si tratta, all'evidenza, di una sorta di sovrapposizione della valutazione del giudice alla realtà oggettiva dei fatti, emergendo dalla descrizione di essi ad opera della persona offesa come riportata in sentenza la sola volontà di sottrarsi ad un comportamento dell'imputato di tipo molesto, ma pur tuttavia estraneo a qualsivoglia rappresentazione, anche soltanto gestuale, di un futuro male ingiusto dipendente dalla sua volontà. Per tale ragione, non prevedendosi la possibilità di una diversa valutazione delle stesse circostanze di fatto in sede di eventuale rinvio , questa stessa Corte apprezza con immediatezza, ai sensi dell'articolo 129 comma 1 cpp, la insussistenza del fatto reato ed adotta la conseguente decisione di annullamento senza rinvio, finalizzata altresì alla rideterminazione del trattamento per il reato residuo, fermo il giudicato parziale sull'an della responsabilità e la conseguente impossibilità di futura declaratorio di prescrizione in ordine al reato di ingiuria per quanto si dirà in seguito. Invero, quanto a tale ultima fattispecie, la censura dell'impugnante è manifestamente infondata. Opera nella specie il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui può configurarsi la ingiuria anche quando la vittima delle espressioni offensive non possa dirsi effettivamente presente e cioè quando, come nel caso di specie, per distrazione o per rumori interferenti non sia riuscita a percepire l'esatta portata delle espressioni ad essa rivolte, ma ne sia stata immediatamente informata da altre persone presenti Sez. 5, Sentenza numero 4872 del 24/03/1972 Ud. dep. 06/07/1972 Rv. 121583 . Risponde del reato, infatti, anche colui che si serva, per la comunicazione, di un intermediario, per quanto non concorrente essendo sufficiente l'indubbia consapevolezza dell'agente che l'ingiuria sia comunicata all'offeso e che questi ne abbia effettiva comunicazione Sez. 2, Sentenza numero 2781 del 17/10/1961 Ud. dep. 08/02/1962 Rv. 098794 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di minacce e con rinvio al Giudice di Pace di Cosenza per la determinazione della pena in ordine al residuo reato di ingiuria.