Respinte le prove presuntive fornite dal contribuente: il giudice deve motivare il suo rifiuto

Il giudice di merito deve motivare il rifiuto di considerare eventuali prove fondate su presunzioni prodotte dal contribuente in tema di prelevamenti bancari.

La SC, con la sentenza numero 16575, depositata il 2 luglio 2013, ha ritenuto che il giudice deve argomentare in modo trasparente le ragioni del proprio convincimento in caso di mancato accoglimento di prove presuntive fornite dal contribuente nel caso specifico prelevamenti bancari . Ricostruzione di movimenti finanziari. L’accertamento bancario, disciplinato dall’articolo 32 Dpr numero 600/1973, si fonda sulla ricostruzione di movimenti finanziari non giustificabili da parte dell'imprenditore sia persona fisica che società commerciale ovvero dal lavoratore autonomo. Tale norma prevede l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, mentre per l’ufficio l’invito al contraddittorio con il contribuente non costituisce un obbligo ma una mera facoltà di cui può avvalersi in piena discrezionalità Cass. numero 2821/2008 . In particolare, il comma 1, numero 2, dell’articolo 32 prevede che sono considerati ricavi ovvero compensi i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito di rapporti finanziari, salvo che il contribuente non indichi il soggetto beneficiario di questi movimenti e che tali movimenti non risultino dalle scritture contabili. L’accertamento in esame è sempre rimesso al rilascio di una specifica autorizzazione a procedere rilasciata dall’organo amministrativo preposto Direttore Regionale dell’Agenzia delle entrate ovvero dal Comandante Regionale della Guardia di Finanza e rappresenta un mero atto discrezionale quindi non dovuto che assolve la doppia funzione di atto di legittimazione all'uso dello strumento di indagine finanziaria e di atto di controllo del corretto utilizzo di tale strumento. Sull’onere probatorio. In tema di onere probatorio l’esistenza di costi per specifici oneri e/o costi deducibili rectius interessi passivi , debitamente documentati dall’istituto bancario, costituisce un onere probatorio che grava sul contribuente, mentre spetta all’ufficio dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria Cass. sent. 14 novembre 2012, numero 19852 . Le presunzioni derivanti dalle movimentazioni bancarie hanno carattere relativo, con la possibilità, quindi, di prova contraria da parte del contribuente e riguardano sia i prelevamenti che i versamenti Cass. 25 marzo 2011, numero 6906 . Il caso. Nella fattispecie in esame la società aveva impugnato un accertamento ai fini Iva, Irpef ed Irap emesso a seguito di un processo verbale in cui era contestato un maggior reddito imponibile e ciò sa seguito di movimentazioni bancarie. Sia in primo che secondo grado il ricorso non era accolto e la società ha proposto ricorso per cassazione lamentando che il giudice del merito non aveva chiarito nelle motivazioni il fatto che tutti i prelevamenti contestati avessero trovato rispondenza nelle scritture contabili, violando il dettato del citato articolo 32 nella parte in cui legittima la presunzione che i prelevamenti corrispondono a ricavi «sempreché non risultino dalle scritture contabili». Rifiuto da motivare. La SC, accertato che i verificatori avevano ritenuto “irregolari” le annotazioni solo perché registrate come prelevamenti di cassa mentre in realtà le somme erano state prelevate per pagare i fornitori, ha ritenuto che la CTR aveva fatto riferimento erroneamente a versamenti, mentre in realtà si trattava di prelevamenti, e che non è sufficiente l’irregolare registrazione di un prelevamento bancario per invertire l’onere della prova a sfavore del contribuente e considerare il prelievo come ricavo. I giudici hanno affermato, quindi, che rispetto a tali specifiche e dettagliate argomentazioni emerse nel giudizio il giudice del merito effettivamente ha omesso di motivare in modo trasparente il proprio convincimento, limitandosi a generiche considerazioni circa la fondatezza della presunzione riguardante i versamenti bancari, a fronte invece di precise giustificazioni contabili fornite dalla società ricorrente. Alla luce di quanto precede la SC ha cassato la decisione di secondo grado rinviando ad altra sezione della stessa commissione tributaria.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 22 maggio 2 luglio 2013, numero 16575 Presidente Cicala – Relatore Iacobellis Fatto e diritto ritenuto che, ai sensi dell'articolo 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione Il relatore cons. G. C., letti gli atti depositati Osserva La CTR di Palermo ha rigettato l'appello della Fratelli T. srl , appello proposto contro la sentenza della CTP di Catania numero 151-12-2008 che aveva integralmente respinto il ricorso della predetta società avverso avviso di accertamento ai fini IVA-IRPEF-IRAP 1999, emesso a seguito di PVC nel quale erano stati contestati un maggior reddito imponibile un maggior valore netto della produzione ed un maggior volume d'affari rispetto a ciò che era stato dichiarato, e ciò sulla scorta delle acclarate movimentazioni bancarie, fatte oggetto di apposita indagine. La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che, da un canto, è principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità l'imputazione a ricavi dei versamenti eseguiti sul conto corrente bancario, in mancanza di prova contraria fornita dalla parte contribuente e che, d'altro canto, le risultanze di un conto corrente bancario non intestato direttamente alla società bensì ad un amministratore, sono utilizzabili dal fisco se è accertato, anche a mezzo di presunzioni semplici, che le operazioni si riferiscano in realtà all'impresa come era anche nel caso di specie, non avendo l'amministratore fornito elementi concreti e rimandando alla contabilità la giustificazione di quelli della società che -infine il contribuente non aveva fornito validi ed idonei elementi di prova per consentire al giudice di formarsi un'opinione . La F.lli T. spa ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La parte intimata non si è difesa. Il ricorso ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore può essere definito ai sensi dell'articolo 375 c.p.c Infatti, con il primo motivo di censura improntato sia al vizio di motivazione sia alla violazione dell'articolo 32 del DPR numero 600/1973 e dell'articolo 51 del DPR numero 633/1972 , la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito oltre ad essersi riferito ai versamenti di conto corrente, mentre in contestazione era soltanto la valorizzazione dei prelevamenti nulla abbia chiarito nell'ottica degli elementi concreti utilizzati ai fini del proprio convincimento e con particolare riferimento al nucleo logico delle censure contenute in atto di appello e cioè al fatto che tutti i prelevamenti contestati trovavano rispondenza nelle scritture contabili . In tal modo la CTR aveva anche violato il menzionato articolo 32 nella parte in cui legittima la presunzione che i prelevamenti corrispondano a ricavi sempreché non risultino dalle scritture contabili . Il motivo appare fondato e da accogliersi. Ed invero la parte oggi ricorrente ha dato conto, in maniera autosufficiente, delle critiche contenute in atto di appello in relazione al fatto che non è sufficiente l'irregolare registrazione di un prelevamento bancario per invertire l'onere della prova a sfavore del contribuente e considerare il prelievo ricavo , di poi evidenziando che i verificatori avevano ritenuto irregolari le relative annotazioni solo perché registrate come prelevamenti di cassa, mentre le somme erano state prelevate per pagare i fornitori. Rispetto a queste specifiche e dettagliate contestazioni su di un fatto manifestamente determinate ai fini della soluzione della questione controversa il giudice del merito ha effettivamente omesso di argomentare in maniera trasparente le ragioni del proprio convincimento, limitandosi a generiche considerazioni circa la fondatezza della presunzione concernente i versamenti bancari ciò che fa fondatamente dubitare che egli abbia colto il nucleo della questio facti , così venendo meno al dovere di motivare in maniera adeguata su quanto oggetto di contraddittorio. Sul punto, pertanto, la sentenza appare meritevole di cassazione. Quanto invece al secondo e terzo motivo di impugnazione, quest'ultimo appare rivolto verso un passaggio dialogico della decisione le eccezioni rivolte alla sentenza appellata non si discostano poi molto da quelle già esposte ne ricorso introduttivo che non può considerarsi ratio decidendi ma mera locuzione di supporto, sicché il motivo deve considerarsi inammissibilmente formulato il secondo poi improntato alla insufficiente motivazione, oltre che alla violazione degli articolo 32 e 37 del DPR numero 600/1973 e dell'articolo 51 del D.P.R.633/1972 è fondato sul rilievo che per le movimentazioni di danaro pari a £ 554.867.212 complessive risultanti sul conto corrente dell'amministratore non può valere la presunzione di legge di imputazione a ricavi, in difetto della prova dell'intestazione fittizia. La censura in questione appare infondata e da disattendersi, alla luce dell'insegnamento di questa Corte per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza numero 13391 del 12/09/2003 secondo cui In sede di rettifica e di accertamento d'ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell'articolo 37, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, l'utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all'ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall'Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati . Poiché nella specie di causa come emerge dalla motivazione della sentenza qui impugnata detta presunzione è stata rinvenuta nella circostanza che l'amministratore non abbia fornito giustificazione alcuna circa l'origine dei movimenti bancari risultanti sul conto a lui intestato, non vi è luogo a ritenere che la pronuncia sia viziata per violazione di legge o difetto di motivazione. Consegue da quanto detto che solo la prima la censura debba essere accolta e che la controversia vada rimessa al medesimo giudice di secondo grado che -in diversa composizione tornerà a pronunciarsi sulla questioni oggetto della parziale cassazione della sentenza di secondo grado, alla luce del corretto principio di diritto da applicarsi, e regolerà anche le spese del presente grado di giudizio. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza, per inammissibilità e manifesta infondatezza. Roma, 10 settembre 2012 che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta i residui. Cassa la decisione impugnata, in relazione a quanto accolto, e rinvia alla CTR Sicilia che, in diversa composizione, provvedere anche sulle spese di lite del presente grado.