Romeo cercò di uccidere Giulietta, ma l’Italia è innocente: la lotta alla violenza domestica rispetta le norme internazionali

Le leggi sulla violenza domestica rispettano le linee guida internazionali e non violano, perciò, gli articolo 3 e 14 Cedu. La CEDU assolve l’Italia dalle accuse, mosse dalla ricorrente, circa la loro efficacia nel tutelare le vittime e di discriminare le donne.

È quanto deciso dalla CEDU, sez. II, nella sentenza Rumor v. Italia ricomma 72964/10 depositata il 27 maggio 2014. Il caso. Verona città dell’amore, ma non per i protagonisti di questa lite, in realtà residenti nella provincia. Nel 2008, durante una lite, alla presenza del figlio di 3 anni l’altro di pochi mesi dormiva un keniota sequestrò e picchiò, minacciandola con un coltello ed un paio di forbici, la compagna italiana, che riportò lesioni ed una commozione celebrale. Arrestato subito fu condannato, con rito abbreviato, a 3 anni e 4 mesi di reclusione sequestro, tentato omicidio e violenza domestica aggravata , in parte scontata ai domiciliari presso centri di accoglienza, ritenuti troppo prossimi alla casa della donna 2 e 15 KM , ove tuttora risiede. Fu privato della patria potestà, poi ripristinata nel 2012 dal Tribunale minorile di Venezia. Ricorreva alla CEDU, lamentando l’inadeguatezza delle nostre leggi sulla violenza domestica, ritenute discriminatorie nei confronti delle donne, in violazione degli articolo 13 e 14 Cedu respinto. Quadro normativo internazionale. È riassunto nella sentenza Opuz v. Turchia del 9/6/09. In ogni caso la Convenzione ONU, i documenti ed i dossier CEDAW e la raccomandazione numero 5 del 2002 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, anche con dossier su queste piaghe sociali, invitano gli stati ad adottare misure e politiche di welfare atte a conseguire la parità di genere, eliminando ogni forma di discriminazione e di violenza, specie su soggetti inermi e deboli tramite l’intervento su settori specifichi della società lavoro, famiglia, scuola etc. , sensibilizzando i media, l’opinione pubblica ed i singoli cittadini per far sì che le vittime, superino la paura e la vergogna, denunciando questi abusi. Tutto ciò è stato ribadito dalla Convenzione d’Istanbul del 2010, recepita recentemente dal nostro ordinamento le aggravanti dell’articolo 46 sono state integralmente trascritte nella L. numero 119/13 che converte con modifiche il d.l. numero 93/13 erroneamente nota come Decreto sul femminicidio, pur non essendo nominato in alcun modo, reato non ancora codificato dal nostro ordinamento, malgrado i numerosi disegni di legge pendenti presso le camere v. commento di Spinelli, Femminicidio e responsabilità di Stato, sulla presunta inadeguatezza delle risposte istituzionali alla violenza di genere . Le accuse. Le critiche sulla carenza d’informazione sul processo penale, sulla scelta del centro, sulle presunte minacce subite dal direttore dello stesso, sulla carenza di assistenza psicologica ed il sottoporre l’uomo ad una rieducazione psicologica sono state smentite dal nostro Governo, che ha evidenziato l’inattività della donna. Se avesse denunciato subito l’estrema vicinanza del centro e la percezione di una minaccia per sé ed i figli, si sarebbe trovata un’altra sistemazione. Non ha fornito prove delle sue asserzioni, risultate, poi, infondate. Divieto di tortura, di trattamenti inumani e degradanti. La Corte ha ribadito che «i maltrattamenti devono raggiungere un livello minimo di gravità se si vuole rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 3. La valutazione di questo minimo è relativa dipende da tutte le circostanze del caso, quali la natura e il contesto del trattamento, la durata, gli effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima» Eremia v. Moldova del 28/5/13 . Le citate norme internazionali ed il combinato disposto degli articolo 1 e 3 Cedu impongono agli Stati, «all’interno della loro giurisdizione», obblighi positivi di cura e protezione contro ogni forma di violenza vietata dall’articolo 3, incluse quelle derivanti «dai trattamenti amministrati dai privati» come nel nostro caso. Non vi è dubbio che la donna ed i figli rientrino nella definizione di «individui vulnerabili» e quindi siano degni di tale tutela. La risposta dell’Italia è stata efficacie? Lo Stato, in forza di queste norme, però, non ha alcun obbligo d’informare le vittime sui processi penali e sul rilascio del reo, tanto più che la nostra legge prevede tali oneri informativi solo se la vittima si è costituita parte civile, facoltà di cui la donna non si è avvalsa. Inoltre la scelta del luogo dei domiciliari è frutto di una corretta e dettagliata analisi post-sentincing del giudice, coadiuvato dai carabinieri e l’uomo ha seguito un percorso psicologico riabilitativo, sì che nulla può essere rimproverato all’Italia. Nessuna violazione degli articolo 3 e 14 Cedu. La CEDU, perciò, afferma che «le autorità avevano messo in atto un quadro legislativo che consente loro di prendere misure contro persone accusate di violenza domestica e che quel quadro è stato efficace nel punire il colpevole del reato di cui la ricorrente è stata vittima e prevenire il ripetersi di attacchi violenti contro la sua integrità fisica».

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