«Sei una donna senza palle». La mitridizzazione non si applica all’ingiuria: il cumulo di provocazioni giustifica la reazione

Costituisce ingiuria l’espressione «sei senza palle» anche se riferita ad un soggetto di sesso femminile.

Inoltre, non possono formare oggetto di ricorso per Cassazione i vizi che non sono stati oggetto dei motivi d’appello. La provocazione rilevante ex articolo 599 c.p. deve essere valutata attraverso una analisi complessiva della condotta posta in essere dall’offeso che può estendersi oltre i limiti della immediatezza. Costituisce dunque ‘fatto ingiusto’, da valutarsi quale causa di non punibilità ex articolo 599, numero 2, c.p., la condotta dell’offeso che, costantemente e nel tempo, abbia dato corso a comportamenti che, se pur singolarmente analizzati non assumano a penale rilevanza, danno, complessivamente considerati, conto di un atteggiamento volto a ‘scatenare’ la reazione ingiuriosa. L’analisi circa la sussistenza dei presupposti portati dall’articolo 599 numero 2 c.p. non è di esclusiva competenza del Giudice del merito. Il caso. L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di ingiuria commesso nei confronti di una propria collaboratrice, assoggettata a vincolo di subordinazione gerarchica, per aver pronunciato nei suoi confronti l’espressione «sei una donna senza palle». La difesa dell’imputato aveva sostenuto in primo grado ed in appello che l’espressione ex sé non rivestisse i caratteri dell’ingiuria posto che essa, riferendosi ad una donna, ne descriveva di fatto lo stato anatomico e che, in ogni caso, l’espressione medesima era stata provocata dalla condotta posta in essere dall’offesa. Condannato l’imputato in primo e secondo grado, posto che i giudici di merito non avevano ravvisato la reciprocità delle ingiurie in relazione all’espressione utilizzata dalla persona offesa «ma con chi credi di parlare con tua madre o tua sorella» né fatto ingiusto nella richiesta di protocollare un’istanza della persona offesa volta ad ottenere l’emissione da parte del dirigente di un ordine scritto inerente un incarico precedentemente affidatole, proponeva ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione in ordine alla inesistenza di espressioni di carattere offensivo, sussistenza della scriminate della reciprocità delle offese, sussistenza di fatto ingiusto atto scriminare la reazione offensiva del ricorrente e intervenuta prescrizione del reato. La Corte con la pronuncia in commento ha accolto il ricorso formulato, formulando principio di diritto da applicarsi in relazione al disposto dell’articolo 599, numero 2, c.p. Le continue provocazioni giustificano la reazione. La pronuncia in commento si muove e si pone nel solco di una piuttosto consolidata linea interpretativa che ha cominciato ad affermarsi nei primi anni del secolo. Prima di analizzarne i contenuti appare opportuno segnalare come la Corte abbia ribadito la propria impossibilità di giudicare circa la sussistenza di vizi in relazione a lagnanze che dovevano essere già note al difensore al momento della formazione dell’atto d’appello. Si tratta a ben vedere di un fenomeno relativo all’applicazione di quel fair trial che, in questo momento occupa con evidenti effetti, i pensieri della Suprema Corte. In virtù del principio enunciato nel brocardo di origine anglosassone, il difensore ha l’obbligo giuridico di dedurre e denunciare tempestivamente i vizi e financo le nullità, nel momento stesso in cui prende contezza della loro esistenza. Si tratta di un filone giurisprudenziale finalizzato a disinnescare quella sorta di ‘bombe ad orologeria’ costituite da vizi motivazionali o nullità appositamente non rilevate dal difensore con l’espressa finalità di renderne manifesta l’esistenza solo avanti alla Corte di cassazione confidando così in una maturazione dei termini prescrizionali. A ben vedere il filone giurisprudenziale di cui si tratta è finalizzato a rendere maggiormente efficiente il meccanismo processuale e ad improntare il suo funzionamento a regole di lealtà processuale fra le parti, seppur surrettiziamente, processualmente ‘sanzionate’. Una applicazione giurisprudenziale, di diritto vivente, che la classe forense dovrebbe accogliere con attenzione e soddisfazione posto che l’ingresso dei principi fair non può che essere considerato un passo avanti nella costruzione del rito avversariale. La pronuncia in commento però assume rilievo anche sotto il profilo, certamente più evidente e sotto un certo punto di vista affascinante, relativo all’introduzione nel sistema dell’istituto della provocazione cumulativa. Detto istituto, apparentemente generato da un ossimoro, è in realtà invocata da decenni nella aule giudiziarie e, segnatamente con straordinaria frequenza, avanti al Giudice di Pace divenuto giudice primo, e spesso ultimo, di vicende processuali imperniate sulla violazione dell’articolo 594 c.p Capita che l’offensore pronunci la frase offensiva la cui sostanza deve essere valutata come insegna la sentenza de qua in relazione al significato effettivo che essa assume e non già rispetto a quello letterale in esito a condotte, singolarmente analizzate irrilevanti ex articolo 599 c.p., ma che, cumulativamente considerate siano in grado di dar conto di un atteggiamento provocatorio e connotato dai criteri di ingiustizia richiesti dalla scriminate speciale. Ora una interpretazione strettamente letterale del precetto penale escluderebbe di poter dare un qualsiasi rilievo a suddette condotte, ma, una più efficace, concreta e condivisibile lettura della disposizione alla luce della ratio legis della norma, non può che portare a considerare che ‘la goccia’ molto spesso nel ‘far traboccare il vaso’, è in grado di dar corso ad una sorta di tracimazione verbale che si concreta nelle forme tipiche dell’ingiuria. Proprio alla luce di queste considerazione, che come è evidente attengono ad una sfera propria e tipica più che del mondo giuridico dell’esperienza comune, la Corte di Cassazione ha cominciato a creare, a far tempo dal 2004 e con le sentenze citate nel provvedimento in commento, l’istituto della ‘provocazione cumulativa’, atto ad adattare il disposto della norma al mutar dei tempi. Purtroppo l’istituto non ha ancora una applicazione diffusa ed incontrastata recenti pronunce in tema analogo, si veda ad esempio quanto pubblicato su Diritto e Giustizia in tema di ingiuria in relazione alle espressioni utilizzate da un Preside nei confronti di una insegnate in esito ad una vicenda disciplinare lunga mesi o a quanto statuito con riferimento alle ingiurie pronunciate nei confronti del locatario insistente hanno manifestato la difficoltà della Suprema Corte ad accettare pacificamente che le valutazioni in tema di ingiustizia e reazione debbano essere considerate non solo in relazione alla contemporaneità ma anche alla stregua dei rapporti complessivamente in essere tra le parti. Il veleno quotidiano della provocazione non immunizza, ma anzi, costituisce causa scriminante della reazione. Mitridate sta per essere ‘sfrattato’ dal Palazzaccio!

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 aprile – 21 giugno 2012, numero 24964 Presidente Oldi – Relatore Zaza Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nocera inferiore dei 15/04/2010, S.M. veniva condannato alla pena di Euro 200 di multa per il reato di cui all'art.594 cod. penumero , commesso il omissis rivolgendo a A.R. , assistente amministrativo presso l'istituto scolastico dei quale il S. era direttore amministrativo, le espressioni “A questo punto dico che mi hai rotto il cazzo con le tue richieste, tu non sei una donna, ma una femmina senza palle”. La Corte territoriale evidenziava in particolare il carattere offensivo delle espressioni sopra riportate, pur se pronunciate nel contesto di un'accesa discussione nata dall'insistenza della A. perché il S. protocollasse un'istanza della parte offesa diretta ad ottenere l'emissione di un ordine scritto per un incarico precedentemente affidatole. 2. L'imputato ricorrente deduce violazione di legge e difetto di motivazione in ordine 2.1. al ritenuto carattere offensivo delle espressioni contestate, lamentando l'omessa valutazione della diversa formulazione di dette espressioni, rispetto a quanto riportato nell'imputazione, per come riferite dalla A. nel corso dell'istruttoria dibattimentale nei termini “io alla fine dirò che tu sei una femmina senza palle”, e la ravvisabilità in questi ultimi termini della scriminante del diritto di critica rispetto ad un'accesa discussione nella quale la A. era spalleggiata dal marito sindacalista 2.2. alta mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione maturata prima dei processo d'appello 2.3. al disconoscimento dell'esimente della reciprocità delle offese a fronte dell'offensivo riferimento della parte offesa alla madre dell'imputato, morta appena un mese prima, con l'espressione “come ti permetti? Credi di parlare con tua madre o con tua sorella?” 2.4. al disconoscimento dell'esimente della provocazione nella presentazione di un'istanza di natura meramente polemica nella quale si chiedeva l'emissione di un atto privo di effetti giuridici, nella pretesa che l'imputato protocollasse direttamente detta istanza e nell'aver più volte in precedenza la A. ed il marito minacciato il S. con le parole “ti faccio correre”, come riferito dalla teste E. . Considerato in diritto 1. Il motivo di ricorso relativo al ritenuto carattere offensivo delle espressioni contestate è infondato. La Corte territoriale teneva invero conto della dedotta difformità, rispetto a quanto riportato nell'imputazione, dell'espressione riferita dalla parte offesa nel corso del dibattimento e su quest'ultima, segnatamente nell'attribuzione alla A. dell'appellativo “femmina senza palle”, argomentava anche ai fini dell'esclusione della scriminante del diritto di critica. In proposito i giudici di merito motivavano coerentemente sul carattere oggettivamente offensivo dell'espressione, segnatamente richiamando le osservazioni della decisione di primo grado in merito al significato della stessa in quanto riferibile alla mancanza di virilità della persona offesa, naturalmente nel senso traslato del non manifestare la stessa una personalità matura e consapevole, ritenendosi d'altra parte superato il limite del legittimo esercizio del diritto di critica in un'aggressione, intesa in questi termini, della persona della A. in quanto tale e non dell'atteggiamento della stessa sul luogo di lavoro. Implicitamente disatteso per la sua evidente irrilevanza è poi il richiamo difensivo alla collocazione al futuro dell'espressione contestata nella formulazione “alla fine io dirò che sei una femmina ”, che non esclude la portata offensiva dei termini in quello stesso contesto pronunciati. 2. Parimenti infondato è il motivo di ricorso relativo alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. La doglianza del ricorrente non tiene infatti conto delle sospensioni del dibattimento dal 19/02/2009 al 16/04/2009 per impedimento dell'imputato per malattia e dal omissis al omissis ai sensi dell'art.2 bis legge numero 125 del 2008 per effetto delle quali il decorso del termine prescrizionale risulta spostato dal 20/05/2011 al 22/05/2012. 3. Il motivo di ricorso relativo al disconoscimento dell'esimente della reciprocità delle offese è inammissibile. Il punto non era infatti oggetto dei motivi di appello il che non consente di esaminare in questa sede la dedotta carenza motivazionale, non essendo stato il giudice di secondo grado investito della questione Sez. 1, numero 2176 del 20/12/1993, Etzi, Rv.196414 . 4. È invece fondato il motivo di ricorso relativo al disconoscimento dell'esimente della provocazione. Sul punto la sentenza impugnata, nel soffermarsi unicamente sul carattere asseritamente neutro della presentazione, da parte della persona offesa, di un'istanza manifestamente infondata, e nel richiamare le conclusioni della decisione di primo grado sulla mancanza di immediatezza della condotta contestata rispetto ai precedenti episodi di tensione fra il S. e la A. , trascurava di valutare il collegamento fra i due ordini di circostanze ai fini della ravvisabilità dell'ipotesi della provocazione “per accumulo” Sez. 1, numero 40550 del 22/09/2004, Angiuoni, Rv.230627 Sez. 1, numero 13921 del 02/03/2010, Goti, Rv.246658 e cioè della possibilità che la provocatoria pretesa di depositare l'istanza e di ottenere che la stessa venisse direttamente protocollata dall'imputato, aggiungendosi a precedenti situazioni nelle quali la parte offesa aveva rivolto espressioni minacciose o quanto meno sgradevoli nei confronti del S. , avesse indotto in quest'ultimo uno stato di ira adeguato a provocare l'espressione offensiva contestata. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata sul punto con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli per un nuovo esame che tenga conto della descritta esigenza motivazionale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli per nuovo esame.