Il cortile diventa un parcheggio personale: il regolamento condominiale non può costituire una servitù

Il regolamento di condominio, per sua natura, è finalizzato a disciplinare l'uso dei beni comuni da parte dei singoli condomini. E' da escludere che la clausola con cui l'utilizzo di un bene condominiale viene riservato a favore esclusivo di un condomino, possa essere interpretata come una servitù. Ciò comporterebbe la negazione di due concetti fondamentali in materia di condominio ovvero - da un lato - del concetto stesso di bene comune, e - dall'altro - il totale annullamento del «pari uso e godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini».

La Corte di Cassazione, confermando sostanzialmente il punto di vista dei giudici di merito, rigetta le pretese del proprietario dell'appartamento a piano terra che voleva gestire in piena autonomia il cortile condominiale trasformando in un parcheggio ad uso esclusivo. La vicenda, a prima vista, sembrerebbe alquanto complessa ma, in sostanza, se ricondotta nelle sue linee essenziali, si riduce alla solita lite tra vicini. Qual è, questa volta, la pietra dello scandalo? Si tratta dell'uso del cortile che un proprietario trasforma in parcheggio personale impedendo l'accesso agli altri condomini. Così, a prima vista, la situazione sembrerebbe assurda. Cosa ci sarà dietro? Cerchiamo di ricostruire la vicenda. Il vincolo nasceva da una divisione ereditaria. Il fabbricato, originariamente, apparteneva a due fratelli. Alla morte di uno dei due, la sua quota viene suddivisa tra i suoi tre figli per cui, alla resa dei conti, il fabbricato appartiene a quattro comproprietari di cui uno detiene il 50% dell'intero fabbricato e gli altri tre, in comune pro indiviso, il restante 50%. I quattro decidono di dividere le proprietà per cui interviene un atto di divisione in virtù del quale il fabbricato viene diviso da cielo a terra ed il cortile, a sua volta, viene diviso in due parti uguali di cui una attribuita in via esclusiva al un solo soggetto. Successivamente i tre eredi decidono di procedere allo scioglimento della comunione, di conseguenza, a ciascun erede viene attribuito un distinto appartamento. Quanto al cortile condominiale, i fratelli decidono che esso sarebbe rimasto di proprietà comune ma, allo stesso tempo, sarebbe stato concesso in uso esclusivo all'assegnatario dell'appartamento a piano terra. Successivamente i fratelli vendono gli appartamenti assegnati per cui degli ‘estranei’ al nucleo familiare originario entrano a far parte del ‘palazzotto di famiglia’. Negli atti di vendita delle singole unità immobiliari, viene inserita una apposita clausola secondo la quale l'appartamento a piano terra, comprende sia le parti comuni del corpo di fabbrica, che l'area del cortile che viene indicato come «di uso esclusivo del proprietario dell'appartamento posto al piano terra». La ‘riserva’ del cortile a favore del condividente innesca la lite. E' proprio tale clausola che fornisce l'innesco della controversi in esame. Sta di fatto che l'appartamento a piano terra viene anch'esso venduto unitamente «al diritto di uso esclusivo dell'area cortilizia» il nuovo proprietario provvede ad eseguire alcune opere di ristrutturazione dell'appartamento che, ovviamente, coinvolgono anche gli spazi esterni. In cortile, in particolare, subisce una radicale trasformazione e quello che, originariamente, era un giardino, viene trasformato in parcheggio di uso esclusivo. Come se non bastasse, spunta una recinzione che impedisce agli altri condomini anche il semplice passaggio su quella che avrebbe dovuto essere un'area comune. Le opere di ristrutturazione scatenano le ire degli altri comproprietari che si rivolgono al giudice per chiedere il ripristino dello status quo ante. In definitiva i giudici devono rispondere al seguente quesito il diritto attribuito al proprietario dell'appartamento a piano terra sul cortile deve essere inteso come un diritto personale, quindi intrasmissibile, o come un diritto reale inerente al bene? Si tratterebbe di un diritto personale intrasmissibile. Secondo gli attori, il diritto di uso originariamente attribuito in sede di divisione rientrerebbe tra i c.d. diritti di natura personale che, come tali, non sarebbero trasmissibili a terzi. Quali le conseguenze? Trattandosi di un diritto di natura personale concesso al condividente, la vendita dell'unità immobiliare a piano terra avrebbe comportato l'estinzione del diritto per cui, a cascata, il cortile doveva essere considerato alla stregua di un bene comune condominiale e, parallelamente, doveva essere escluso il diritto di uso in via esclusiva da parte del proprietario dell'appartamento a piano terra. In parole povere la convenzione con cui i proprietari, originariamente, avevano convenuto tra loro di attribuire in via esclusiva l'uso del cortile condominiale ad uno di essi doveva essere intesa alla stregua di una obbligazione personale e, come tale, non trasmissibile a terzi. Porte sbarrate, quindi, alla configurabilità dell'obbligazione propter rem . Il cortile condominiale non può essere riservato ad un solo proprietario. I giudici di merito sono d'accordo nel ritenere che il cortile sia condominiale e condannano il proprietario dell'appartamento a piano terra alla riduzione in pristino ed all'eliminazione del cancello. Vietata anche la trasformazione del giardino in parcheggio di uso esclusivo. Il regolamento di condominio conterrebbe la costituzione di una servitù. Ovviamente la causa finisce in cassazione e il ricorrente, proprietario dell'appartamento a piano terra, cerca di ribaltare la situazione a proprio favore fornendo la propria versione dei fatti. Secondo il ricorrente la divisione con cui i fratelli avevano disciplinato i reciproci rapporti conteneva un regolamento di condominio e tale regolamento, a sua volta, contemplava una apposita clausola con la quale il cortile veniva assegnato in via esclusiva all'appartamento a piano terra. Tale clausola, secondo il ricorrente, doveva essere interpretata alla stregua di una costituzione di servitù gravante sul cortile, posta a favore dell'appartamento a piano terra. Non si tratterebbe, quindi, di un “diritto di uso personale” bensì di una vera e propria servitù a favore dell'unità a piano terra. La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6582 del 27 aprile, ritiene la tesi del ricorrente del tutto infondata. Il regolamento di condominio, sostengono gli Ermellini, essendo finalizzato a disciplinare l'uso ed il godimento dei beni comuni da parte di condomini, non può essere considerato come una fonte di costituzione di una servitù. Il regolamento condominiale, nel disciplinare l'uso ed il godimento dei beni comuni da parte dei condomini può legittimamente limitare il godimento del bene da parte di uno o più condomini ma non può arrivare al punto di escludere totalmente alcuni partecipanti al condominio dall'uso del bene condominiale. Manca l'utilitas tra fondo servente e fondo dominante. E non è tutto! La servitù comporta l'esistenza di un rapporto tra fondo servente e fondo dominante in virtù del quale il primo è diretto ad assicurare una utilità al secondo. Nel caso in esame mancherebbe tale elemento in quanto, più che una servitù a beneficio dell'appartamento a piano terra, si pretenderebbe di escludere tutti gli altri proprietari dall'uso della cosa comune riservandola ad esclusivo vantaggio di un solo condomino con la conseguenza che gli altri proprietari si vedrebbero esclusi totalmente dall'uso e godimento dei beni comuni. In realtà, a ben vedere, ci sarebbe anche un altro aspetto da non tralasciare non solo gli altri comproprietari si vedrebbero esclusi dal godimento della res ma dovrebbero ugualmente provvedere alla sua manutenzione essendo, il cortile, pur sempre un bene comune.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 marzo – 27 aprile 2012, numero 6582 Presidente Triola – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 18-6-1997 F.A. e C R. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna G.A M. , esponendo di aver acquistato da G C. con atto per notaio Gullà del 14-12-1990 un appartamento facente parte di un fabbricato sito in Bologna assumevano che l'acquisto comprendeva le parti comuni, tra cui un'area cortilizia allora identificata dai mappali 134 b e 135 b successivamente 60 e 135 , e che nell'atto si precisava che vigeva destinazione ad uso esclusivo del proprietario dell'appartamento posto al piano terreno della suddetta area cortilizia. Gli attori aggiungevano che il proprietario dell'appartamento al piano terreno E C. sempre in data 14-12-1990 con rogito per notaio Gullà con numero di repertorio successivo al sopra menzionato atto di compravendita lo aveva alienato al convenuto unitamente al diritto di uso esclusivo sull'area cortilizia, diritto che, avendo natura personale, non poteva essere ceduto ai sensi dell'articolo 1124 c.c Il F. e la R. , rilevato che il M. nel dicembre 1992, a seguito di lavori di ristrutturazione, aveva alterato l'area cortilizia mutandone la destinazione da giardino a parcheggio precludendo così ai comproprietari un qualsiasi uso di essa, anche di semplice passaggio, chiedevano dichiararsi l'inesistenza del diritto di uso esclusivo, ordinarsi al convenuto il ripristino della destinazione dell'area, la rimozione del cancello illegittimamente apposto nonché del muro, inibirsi il passaggio con veicoli sull'area stessa e condannarsi il M. ai risarcimento dei danni. Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto delle domande attrici, affermando la piena validità del suo diritto sull'area in questione quale risultante dai rogiti di acquisto. Con sentenza del 21-2-2002 il Tribunale adito dichiarava l'inesistenza del diritto di uso esclusivo sull'area per cui è causa, ordinava al convenuto di rimettere in pristino l'area contraddistinta dai mappali 134 a el35 b, in particolare procedendo alla rimozione del cancello ed all'abbattimento del muro, nonché di astenersi dal parcheggiare veicoli o autoveicoli sulle aree contraddistinte dai mappali 134 a, 134 b e 135 b. Proposto gravame da parte del M. cui resistevano il F. e la R. la Corte di Appello di Bologna con sentenza del 22-3-2006 ha rigettato l'impugnazione. Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto un ricorso affidato ad un'unica articolata censura cui il F. e la R. hanno resistito con controricorso depositando successivamente una memoria. Motivi della decisione Con l'unico motivo formulato il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 e segg. -1021 e segg. - 1117 e segg. - 1123 e segg. - 1126 e segg. - 1138 - 1058 e 1059 c.c. - 112 c.p.c. e vizio di motivazione premesso che l'intero edificio sito in via OMISSIS apparteneva originariamente in parti uguali ai germani S C. e C C. , e che alla morte di quest'ultimo gli erano succeduti i figli M. , E. e G. , egli rileva che con rogito Paolella del 25-10-1954 i quattro comproprietari si erano attribuiti l'esatta metà in verticale della palazzina e, con la parte edificata, la corrispondente metà del cortile sottostante successivamente con atto a rogito Vico del 30-5-1989 i tre suddetti germani avevano proceduto allo scioglimento della comunione tra loro costituita attribuendosi in proprietà individuale, in ordine alla metà dell'edificio e della corte ad essi pervenuta per successione e per atto a rogito Paolella del 1954, distinti appartamenti siti in quell'ala dell'edificio, specificando che l'area cortilizia identificata con i mappali 134 b e 135 b, pur rimanendo di proprietà comune, sarebbe stata di uso esclusivo dell'assegnatario dell'appartamento al piano terreno infine G C. in data 14-12-1990 aveva venduto al F. ed alla R. il secondo piano della parte della palazzina suddetta attribuitale in proprietà individuale con la divisione del 1989 con la specificazione nel rogito che l'area cortilizia in questione era destinata ad uso esclusivo del proprietario dell'appartamento posto al piano terreno , e la stessa G C. nonché i germani E. e M. sempre in data 14-12-1990 avevano venduto all'esponente i residui appartamenti di loro proprietà tra i quali quello al piano terreno con la specificazione che l'area cortilizia per cui è causa era destinata all'uso esclusivo del proprietario dell'appartamento al piano terreno . Il ricorrente assume che la Corte territoriale ha omesso di considerare che i germani C. con l'atto del 1989 non si erano limitati ad assegnarsi i singoli cespiti risultanti dallo scioglimento della comunione tra di essi esistente, ma anche di disciplinare l'utilizzo delle cose di proprietà comune, tra cui la destinazione dell'area cortilizia nei termini sopra enunciati pertanto nel negozio divisionale era contenuto un regolamento di condominio contenente la costituzione di una servitù d'uso a carico della corte comune in favore dell'appartamento al piano terreno quindi l'espressione uso esclusivo di un condomino individuava un vincolo pertinenziale speciale tra il bene di proprietà comune e la quota immobiliare di proprietà del singolo, non già tra il bene comune ed un soggetto identificato in quanto tale non si trattava dunque di un diritto personale a contenuto obbligatorio, ma di una regolamentazione dell'uso del bene comune che prevedeva la costituzione di una servitù consistente nella limitazione imposta ai restanti condomini ovvero alle controparti nell'uso del cortile antistante l'appartamento al piano terreno riservato in via esclusiva a colui che ne era il proprietario né poteva giungersi a conclusioni diverse, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata, per il fatto che i contraenti avevano utilizzato l'espressione proprietario dell'appartamento sito al piano terreno invece che menzionare l'appartamento infatti tale terminologia non era idonea a qualificare il diritto attribuito al singolo condomino come uso personale ed obbligatorio, piuttosto che come diritto di godimento esclusivo nell'ambito del rapporto condominiale che, in quanto tale, siccome reale, resta efficace indipendentemente dalla successione nella titolarità del bene al cui godimento è collegato infatti i termini uso ed uso esclusivo si rinvengono nello stesso significato anche nelle disposizioni relative al condominio negli edifici. Il ricorrente sostiene infine che l'interpretazione letterale e logico - sistematica dell'atto divisionale del 1989 da esso propugnata era confortata dal comportamento delle parti, atteso che i coniugi F. dal 1990 fino al 1997 avevano pacificamente osservato i limiti all'uso comune delle particene 60 e 135 imposti con la regolamentazione convenuta tra i germani C. con l'atto del 30-5-1989. La censura è infondata. La Corte territoriale, esaminando l'unico motivo di appello con il quale il M. sosteneva che la clausola contenuta in entrambi i rogiti stipulati il 14-12-1990 secondo la quale vige destinazione ad uso esclusivo del proprietario dell'appartamento posto al piano terreno .dell'area cortilizia identificata con il mappale 60 già 134 b e con il mappale 135 già 135 b integrava una obligatio propter rem imposta sul bene per cui è causa ed espressamente accettata dagli acquirenti F. e R. , ha disatteso tale assunto, ritenendo che si era in presenza di una convenzione - che prevedeva limitazioni al diritto di proprietà su di una cosa a beneficio di una singola persona - costitutiva di un diritto d'uso di natura personale a carattere obbligatorio, come tale non trasferibile in mancanza di apposita norma derogatoria ha poi aggiunto che le parti avevano ribadito, nei rispettivi rogiti, la comproprietà sulla zona in questione. Orbene, sulla base di tali premesse, a prescindere dall'osservare che il motivo in esame, prospettando l'esistenza di un regolamento condominiale contenuto nell'atto di divisione del 30-5-1989 con il quale sarebbe stata costituita una servitù d'uso a carico della suddetta area cortilizia in favore dell'appartamento al piano terreno, attualmente di proprietà del M. , presenta profili di censura generici rispetto alla richiamata ratio decidendi della sentenza impugnata, si rileva che le enunciate argomentazioni espresse dal ricorrente a fondamento della presente impugnazione si rivelano infondate sotto diversi aspetti. Anzitutto deve escludersi che un regolamento di condominio, per sua natura finalizzato a disciplinare l'uso dei beni comuni da parte dei condomini, possa costituire un diritto di servitù su di un bene comune in favore di un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini se invero il regolamento di condominio, nel disciplinare l'utilizzazione delle cose comuni, può limitare il godimento su di esse da parte di uno o più condomini, non può peraltro restringere tale uso fino a svuotarlo di qualsiasi contenuto, come appunto pretenderebbe nella fattispecie il ricorrente con riferimento all'area cortilizia in questione tale conclusione è confermata dal rilievo che l'invocato diritto di servitù d'uso a carico della corte comune ed in favore dell'appartamento al piano terreno del fabbricato consistente nel divieto imposto agli altri condomini dell'uso del cortile antistante l'appartamento al piano terreno, uso riservato in via esclusiva al proprietario di tale immobile comporterebbe inammissibilmente non già un semplice peso imposto al fondo servente articolo 1027 c.c. , ma un totale annullamento di ogni facoltà di suo godimento da parte del F. e della R. , che pure ne sono comproprietari. Del resto la possibilità di configurare l'uso esclusivo su di un bene comune da parte di un condomino proprietario di una unità immobiliare come una servitù comporta la necessità di accertare la sussistenza della utilitas di cui all'articolo 1027 c.c., ovvero di un vantaggio diretto ed oggettivo del fondo dominante, a prescindere quindi dal fatto che tale diritto possa giovare al proprietario di tale fondo, posto che l’”utilitas non deve riguardare l'attività che si svolge sul fondo, ma deve ricollegarsi alla utilizzazione del fondo stesso in proposito peraltro il ricorrente non ha svolto alcuna apprezzabile deduzione. Del pari è infondato il profilo di censura con il quale il M. afferma che la propugnata interpretazione dell'espressione uso esclusivo riportata sia nell'atto divisionale del 30-5-1989 sia nei due rogiti di vendita del 14-12-1990 come riconoscimento di un diritto di godimento esclusivo di natura reale nell'ambito del rapporto condominiale, troverebbe fondamento anche nel riferimento in tali atti al proprietario dell'appartamento ai piano terreno per individuare il fondo dominante, non diversamente da come l'articolo 1126 ex. definisce l'avente diritto all'uso esclusivo di parti comuni con il termine il condomino . A prescindere dall'osservare che non è possibile ricavare da una norma che disciplina la ripartizione delle spese il riconoscimento della categoria dei diritti di uso esclusivo, si rileva che l'articolo 1126 ex. fa riferimento all'ipotesi in cui solo alcuni condomini, per la particolare posizione delle loro proprietà esclusive in relazione al lastrico solare, possano utilizzare tale parte comune, per cui pone a loro carico le spese per la riparazione della stessa in misura maggiore di quanto sarebbero tenuti in relazione alle tabelle millesimali di proprietà del resto la norma citata non fa riferimento ai condomini i quali hanno il diritto di uso esclusivo , ma ai condomini che hanno l'uso esclusivo . È comunque decisivo concludere al riguardo che, anche qualora si volesse ritenere che l'articolo 1126 c.c. preveda un diritto reale, ad una applicazione analogica della stesso osta il principio della tipicità dei diritti reali. Infine è appena il caso di sottolineare che il riferimento del ricorrente ad un vincolo pertinenziale tra l'area cortilizia comune e l'appartamento al piano terreno di cui è proprietario il M. si pone in evidente contraddizione con l'assunto sostenuto nello stesso ricorso circa la sussistenza di una servitù d'uso a carico della predetta area cortilizia in favore del suddetto appartamento. Il ricorso deve quindi essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 1500,00 per onorari di avvocato.