Confermata la condanna del papà, reo di avere leso la dignità del vicino di casa. Impossibile appellarsi a una ipotetica provocazione putativa, fondata sulla convinzione, ragionevole eppure erronea, di avere subito un fatto ingiusto, ossia le offese ai danni della figlioletta. L’uomo avrebbe dovuto prima chiedere spiegazioni al presunto offensore.
Secondo un motto popolare, “i bambini sono la bocca della verità”, ma, alle volte, vanno comunque presi con le molle Esemplare la vicenda vissuta da un padre, condannato per aver malamente apostrofato il vicino di casa, reo di avere, a sua volta, offeso la figlioletta. Decisive proprio le parole – rivelatesi false – della bambina. Ma, nonostante il contesto, non è possibile, per l’uomo, appellarsi alla ipotesi della “provocazione putativa”. Questo è quanto emerge dalle parole della Corte di Cassazione, nella sentenza numero 14021, del 25 marzo 2014. Bagarre. Nessun dubbio per i giudici, sia di primo che di secondo grado l’uomo è da condannare per avere «offeso l’onore» del vicino di casa, ‘bombardato’ con «espressioni volgari e ingiuriose». A provocare la bagarre, verbale, è, paradosso dei paradossi, la figlioletta dell’uomo, di appena 4 anni, la quale racconta di essere stata presa a parolacce dal vicino di casa. Subitanea la reazione, piena d’ira, dell’uomo. Ma c’è una ‘tara’, di fondo il racconto della bambina è assolutamente falso. Ella non è stata affatto «offesa dal vicino di casa». Le bugie della bimba. Ciò comporta, nonostante le obiezioni dell’uomo, la ‘cristallizzazione’ della condanna, che, secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, non può essere ‘attenuata’ da una ipotetica «provocazione putativa», poggiata sulla convinzione, «ragionevole, anche se erronea», di avere subito un «fatto ingiusto». Decisiva la ricostruzione della vicenda, da cui emerge, spiegano i giudici, che l’uomo ha «incautamente dato immediato credito alla figlia, di soli 4 anni, la quale aveva riferito di essere stata offesa dal vicino di casa, senza neppure preoccuparsi, prima di rivolgergli espressioni volgari ed ingiuriose, di chiedere spiegazioni al presunto offensore».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 gennaio – 25 marzo 2014, numero 14021 Presidente Marasca – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. C.A., ritenuto, con doppia sentenza conforme, responsabile del reato di ingiuria nei confronti di R.T., ricorre tramite il difensore avverso la sentenza di secondo grado Tribunale di Palermo sez. dist. di Partitico in data 1-10-2012 deducendo violazione di legge in relazione agli articolo 59 e 599, comma 2, cod. penumero . 2. Secondo il ricorrente, la provocazione putativa era stata erroneamente esclusa dal tribunale dal momento che, allorquando aveva offeso il vicino di casa, A. riteneva che questi avesse poco prima ingiuriato la figlioletta di quattro anni e il suo errore era ragionevole ed incolpevole non essendo esigibile, a differenza da quanto ritenuto in sentenza - nel che era ravvisabile anche motivazione intrinsecamente illogica -, che il prevenuto prima di reagire verificasse con ogni cautela la fondatezza di quanto riferito dalla bambina. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Esso si limita a reiterare la questione della sussistenza dell'esimente, già oggetto di puntuale disamina e motivata reiezione da parte del giudice di merito, il quale, facendo applicazione del principio, stabilito da una risalente ma non mutata giurisprudenza di questa corte, per il quale il riconoscimento della provocazione putativa esige che l'opinione del fatto ingiusto sia ragionevole anche se erronea e che l'errore sia ragionevole, plausibile e logicamente apprezzabile, ha concluso che tali elementi non ricorrevano nel caso di specie in cui l'imputato aveva incautamente dato immediato credito alla figlia di soli quattro anni, la quale aveva riferito di essere stata offesa dal vicino di casa -mentre era vero il contrario -, senza neppure preoccuparsi, prima di rivolgergli espressioni volgari ed ingiuriose, di chiedere spiegazioni al presunto offensore. 3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorso seguono le statuizioni di cui all'articolo 616 cod. proc. penumero , determinandosi in € 1000, in ragione della natura della questione dedotta, la somma da corrispondere alla Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000 in favore della Cassa delle Ammende.