Partita IVA non significa reddito alto

Il criterio, secondo cui l’ammissione al patrocinio gratuito si basa sul reddito imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, si riferisce solo ai soggetti che abbiano effettuato una regolare dichiarazione dei redditi e non a chi abbia omesso ogni dichiarazione. In tale ultima ipotesi i redditi, ai fini della valutazione di ammissibilità al patrocinio, possono essere accertati, facendo ricorso agli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni semplici, previste dall’articolo 2729 c.c, che, però, devono essere gravi, precise e concordanti.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 12405, depositata il 17 marzo 2014. Il caso. Il Tribunale di Messina respingeva l’opposizione di una donna contro il provvedimento, con cui era stata revocata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. A seguito di controlli, era risultato che la donna fosse titolare di un’impresa individuale, con relativa partita IVA, per cui il Tribunale aveva desunto che essa, attraverso tale ditta, avesse percepito redditi non indicati, né dichiarati. La donna affermava, invece, che l’impresa fosse inattiva e di aver sanato la mancata comunicazione di cessazione della partita IVA con effetto retroattivo. La partita IVA non è stata mai utilizzata. Veniva proposto ricorso in Cassazione, contestando l’assenza di qualunque indizio di avvenuta utilizzazione della partita IVA o di percezione di reddito, e sostenendo che la mera titolarità di una partita IVA non significa, per presunzione semplice, che i soggetti titolari siano depositari di un reddito non dichiarato, mentre il condono sanante costituisce la prova contraria circa la presunzione semplice contenuta nel provvedimento di revoca. Inoltre, la revoca può essere disposta solo se risulti provata la mancanza di reddito, mentre i giudici di merito ritenevano provata la sussistenza originaria di redditi, senza previamente accertarli. Il criterio probatorio, enunciato dall’articolo 2729 c.c., presuppone, a suo giudizio, la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, non operando il giudizio presuntivo in assenza di riscontri e contestazioni precise, sulla base di elementi concreti. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione riteneva che la questione da risolvere fosse se la titolarità di una partita IVA potesse costituire, di per sé, un elemento presuntivo sufficiente ai fini del giudizio di superamento dei limiti di reddito, previsti per l’accesso al patrocinio gratuito. Anche le presunzioni vanno bene. Il criterio, secondo cui l’ammissione al patrocinio gratuito si basa sul reddito imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, si riferisce solo ai soggetti che abbiano effettuato una regolare dichiarazione dei redditi e non a chi abbia omesso ogni dichiarazione. In tale ultima ipotesi i redditi, ai fini della valutazione di ammissibilità al patrocinio, possono essere accertati, facendo ricorso agli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni semplici, previste dall’articolo 2729 c.c., tra cui rientrano il tenore di vita dell’interessato e dei familiari e qualsiasi altro fatto indicativo della percezione di redditi leciti o illeciti. L’onere della prova. L’ammissibilità della prova contraria non modifica il procedimento logico che, secondo l’articolo 2729 c.c., il giudice deve seguire per affermare l’inversione dell’onere della prova in ordine ai presupposti reddituali per l’accesso al patrocinio. Spetta, infatti, al ricorrente dimostrare il suo stato di non abbienza, mentre tocca al giudice verificare l’attendibilità di tali affermazioni. Tuttavia, tale iter presuppone, in ogni caso, la previa corretta individuazione delle presunzioni gravi, precise e concordanti, la cui ammissione consenta di ritenere, secondo l’apprezzamento del giudice, il superamento dei limiti di reddito. Presunzioni gravi, precise e concordanti. I requisiti di gravità, precisione e concordanza, previsti dall’articolo 2729 c.c., affinché gli indizi possano assurgere al rango di prova presuntiva, devono valutarsi con rigore e con adeguato riferimento ai fatti noti, da cui risalire con deduzioni logiche ai fatti ignorati. Nel caso di specie, i giudici di merito non davano conto di ulteriori circostanze, come ad esempio il tenore di vita, da cui fosse desumibile la percezione di redditi non dichiarati, inferendo esclusivamente dalla titolarità della partita IVA l’insussistenza del requisito reddituale. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 – 17 marzo 2014, numero 12405 Presidente Romis – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. P.M.E. ricorre per cassazione avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Messina, decidendo ai sensi dell'articolo 99 d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, ha respinto l'opposizione avverso il provvedimento con il quale era stata revocata l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato già pronunciata il 12/10/2011. 2. Il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato era stato revocato in quanto, a seguito di accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza a norma dell'articolo 96, comma 2, d.P.R. numero 115/2002, è risultato che l'istante fosse titolare di impresa individuale denominata Edil Lory di Pop Mariana Emilia con relativa partita IVA per l'esercizio dell'attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali con sede in XXXXX, domicilio fiscale in OMISSIS , ed inizio attività il 15/12/2008, da ciò desumendo il Tribunale la presunzione che l'istante, attraverso tale ditta, avesse percepito redditi non indicati né dichiarati. 3. È stato esperito il ricorso ai sensi dell'articolo 99, d.P.R. numero 115/2002, argomentando dal fatto che l'impresa era inattiva e che l'istante aveva sanato l'omessa comunicazione di cessazione della partita IVA con effetto retroattivo al 2008. Il giudice dell'opposizione, ritenendo che la cancellazione della partita IVA con efficacia retroattiva, in data successiva al provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio, non potesse costituire elemento idoneo a legittimare un giudizio di fondatezza dell'opposizione, ha rigettato il ricorso. 4. La ricorrente censura il provvedimento impugnato per omessa motivazione deducendo l'assenza di qualunque indizio di avvenuta utilizzazione della partita IVA o di percezione di reddito da parte dell'opponente, sostenendo che la mera titolarità di partita IVA non significa per presunzione semplice che i soggetti che ne sono titolari siano depositari di un reddito non dichiarato e che il condono sanante costituisce la prova contraria circa la presunzione semplice contenuta nel provvedimento di revoca. La ricorrente lamenta, altresì, violazione di legge, posto che ai sensi dell’articolo 112 lett. d d.P.R. numero 115/2002 la revoca può essere disposta solo se risulti provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articolo 76 e 92, mentre l'autorità giudiziaria ha ritenuto provata la sussistenza originaria di redditi senza previamente accertarli il criterio probatorio enunciato dall'articolo 2729 cod. civ. presuppone, si assume, la sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, non operando il giudizio presuntivo in assenza di riscontri e contestazioni precise, sulla base di elementi concreti. Secondo la ricorrente, la mera titolarità di una partita IVA, non unita a riscontri fattuali reddituali concreti, non ha altro valore che quello attribuito dalla legge, con facoltà di aderire al condono, che ha sanato ogni eventuale censura in merito alla mancata cessazione tempestiva della partita IVA. 5. Il Procuratore Generale, nella persona del Dott. Mario Fraticelli, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso. 6. Con memoria depositata in data 4/03/2014 la ricorrente ha comunicato l'avvenuta archiviazione del procedimento penale numero 961/2011, relativo al reato di cui all'articolo 95 d.P.R. numero 115/2002, sorto in seguito alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Premesso che il ricorso in esame è ammesso, a norma dell'articolo 99, comma 4, d.P.R. numero 115/2002 per violazione di legge, la questione da risolvere è se la titolarità di partita IVA possa costituire, di per sé, elemento presuntivo sufficiente ai fini del giudizio di superamento dei limiti di reddito previsti dall'articolo 76, comma 1, d.P.R. numero 115/2002. 3. La pronuncia dei giudici del merito si appalesa inficiata da erronea interpretazione della norma sopra richiamata. Sebbene sia consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, rilevano anche i redditi da attività illecite, che possono essere accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici di cui all'articolo 2729 c.c. ex ceteris, Sez. 4, numero 45159 del 04/10/2005, Bagarella, Rv. 232908 Sez. 6, numero 1390 del 17/04/1998, Pattarello, Rv. 211311 , l'indicazione di un limite reddituale al di sotto del quale l'imputato ha diritto al beneficio impone al giudice di indicare sulla scorta di quali elementi si possa operare tale giudizio presuntivo. 3.1. Questa Corte, con riferimento all'articolo 3 l. 30 luglio 1990, numero 217, che prevedeva una disposizione analoga all'attuale articolo 76 d.P.R. numero 115/2002, ha precisato che il criterio secondo cui l'ammissione al gratuito patrocinio si basa sul reddito imponibile risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi, si riferisce solo ai soggetti che abbiano effettuato una regolare dichiarazione dei redditi e non a chi abbia omesso ogni dichiarazione. In tale ultima ipotesi i redditi, ai fini della valutazione di ammissibilità al patrocinio, possono essere accertati facendo ricorso agli ordinari mezzi di prova ivi comprese le presunzioni semplici di cui all'articolo 2729 c.c., tra le quali rientrano il tenore di vita dell'interessato e dei familiari conviventi e qualsiasi altro fatto indicativo della percezione di redditi leciti o illeciti Sez. 3, numero 16583 del 23/03/2011, Polimeni, Rv. 250290 Sez. 1, numero 17430 del 25/01/2001, Lucchese, Rv.219161 . 3.2. L'ammissibilità della prova contraria, sancita anche con riferimento alla presunzione astrattamente disciplinata dall'articolo 76, comma 4-bis, d.P.R. numero 115/2002 Corte Cost. numero 139 del 14-16 aprile 2010 , non modifica il procedimento logico che, secondo la regola dettata dall'articolo 2729 cod. civ., il giudice è tenuto a seguire al fine di affermare l'inversione dell'onere della prova in ordine ai presupposti reddituali per l'accesso al patrocinio. Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte è affermato che spetti al ricorrente dimostrare, con allegazioni adeguate, il suo stato di non abbienza, e spetti al giudice verificare l'attendibilità di tali allegazioni, avvalendosi di ogni necessario strumento di indagine, ma tale iter argomentativo presuppone, in ogni caso, la previa corretta individuazione delle presunzioni gravi, precise e concordanti la cui ammissione consenta di ritenere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, il superamento dei limiti di reddito prescritti dalla legge. 3.3. Anche alla luce dell'interpretazione ampia riconosciuta dalla Corte di Strasburgo al concetto di “insufficienza dei mezzi economici”, che costituisce la ratio del diritto fondamentale dell'accusato all'assistenza gratuita riconosciuto dall'articolo 6, par. 3, lett. c CEDU Corte EDU 25/04/1983, Pakelli c. Germania , i requisiti di gravità, precisione e concordanza, indicati dall'articolo 2729 cod. civ., perché gli indizi possano assurgere al rango di prova presuntiva, debbono valutarsi con rigore e con adeguato riferimento ai fatti noti, dai quali risalire con deduzioni logiche ai fatti ignorati, il cui significato deve essere apprezzato senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative. 3.4. Nella fattispecie che occupa, come s'è visto, i giudici non sono pervenuti al divisamento espresso in virtù di una serie di elementi presuntivi, né hanno dato conto delle ulteriori circostanze quali, ad esempio, il tenore di vita , dalle quali fosse desumibile la percezione di redditi non dichiarati, inferendo esclusivamente dalla titolarità della partita IVA l'insussistenza del requisito reddituale. 4. Il provvedimento impugnato deve, quindi, essere annullato, con rinvio al Presidente del Tribunale di Messina per nuovo esame sul punto. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Presidente del Tribunale di Messina.