Custodia cautelare in carcere solo se il pericolo di reiterazione criminosa è effettivo

La misura della custodia cautelare in carcere deve essere applicata non sulla base di una valutazione aspecifica del contesto in cui è maturato il delitto ma tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, soprattutto per quanto concerne il pericolo di reiterazione criminosa.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4718 del 31 gennaio 2014. Il fatto. Il Tribunale di Vallo della Lucania disponeva la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di un imputato accusato di omicidio volontario premeditato aveva accoltellato un uomo dopo aver appreso che aveva compiuto atti di violenza sessuale nei confronti di sua figlia con quella degli arresti domiciliari. Proponeva appello il pm della sede, deducendo l’illegittimità della nuova misura, tenuto conto dell’obiettiva gravità del fatto. Il Tribunale di Salerno accoglieva l’appello e annullava l’ordinanza impugnata, ripristinando la misura della custodia cautelare in carcere, rilevando che le esigenze cautelari – il pericolo di recidiva, l’assenza di capacità di autocontrollo nella commissione del reato – non potevano ritenersi cessate, anche perché dalla consulenza tecnica effettuata era emerso che l’omicidio non era stato commesso su un soggetto in fuga ma su un individuo fermo, con modalità particolarmente efferate elevato numero di colpi, in pieno giorno, in una pubblica piazza e nelle vicinanza della stazione dei carabinieri, con premeditazione . Proprio queste ultime disvelavano una ferocia dimostrativa di una determinazione delinquenziale e di una pericolosità elevatissima con perdita di qualsivoglia controllo e raziocinio, tali da non superare la sussistente presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere. Tutto ciò rendeva impossibile prevedere il rispetto o meno da parte dell’imputato della limitazione degli arresti domiciliari in presenza di circostanza analoghe a quella che lo aveva portato a farsi ragione con la descritta ferocia. L’uomo ricorre in Cassazione. Sussiste davvero pericolo di reiterazione criminosa? Secondo il ricorrente, i giudici di appello non avevano adeguatamente valutato le cause del delitto, ossia la violenza sessuale nei confronti della figlia perpetrata dalla vittima, enfatizzando, invece, eccessivamente le modalità esecutive e non le risultanze della consulenza autoptica, secondo cui le la vittima non era in fuga ma ferma e la coltellata mortale era stata una sola. Il ricorso merita accoglimento, essendo insufficiente la struttura argomentativa dell’ordinanza impugnata in relazione al pericolo di reiterazione criminosa. Non basta, infatti, dire che l’efficacia degli arresti domiciliari non è pronosticabile in relazione a future condotte violente nei confronti delle proprie figlie. Tale valutazione si basa, infatti, su elementi la premeditazione, la fredda organizzazione dell’omicidio che risultano, in realtà, insussistenti. Proprio per tali ragioni, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame alla luce dei principi illustrati.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 novembre 2013 – 31 gennaio 2014, n. 4718 Presidente Cortese – Relatore Cavallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 22 luglio 2011 il GUP del Tribunale di Vallo della Lucania, disponeva la sostituzione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di R.M. - arrestato nella flagranza del delitto di omicidio volontario premeditato perché in data omissis , in omissis , sferrava all'indirizzo di N.G. otto coltellate utilizzando un coltello da cucina della lunghezza totale di 32 cm e lo feriva cagionandone la morte - con quella degli arresti domiciliari, avendo detto giudice ritenuto che il motivo a delinquere l'avere l'imputato appreso che la vittima aveva commesso degli atti di violenza sessuale sulla figlia minorenne , combinato con il decorso del tempo e con la vita anteatta dell'imputato, consentissero di ritenere più adeguata la misura sostituita rispetto a quella originariamente applicata, risultando in particolare i predetti elementi in grado di superare la presunzione relativa di adeguatezza della sola custodia in carcere. 2. Avverso tale decisione proponeva appello il Pubblico ministero della sede, deducendo che illegittimamente era stata applicata la misura degli arresti domiciliari, attesa la presunzione, sia pure relativa, di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere posta dall'art. 275 comma 3 cod. pen., tenuto conto dell'obiettiva gravità del fatto e dell'inidoneità degli elementi valorizzati dal primo giudice per superare la ridetta presunzione. 3. In accoglimento dell'appello del Pubblico ministero, il Tribunale di Salerno costituito ex art. 310 cod. proc. pen., con provvedimento deliberato il 24 giugno 2013, annullava l'ordinanza impugnata e ripristinava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di R.M. , che nelle more della definizione del procedimento cautelare era stato condannato, all'esito del giudizio abbreviato, alla pena di anni dieci di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata aggravante della premeditazione. Il Tribunale riteneva infatti fondate e condivisibili le argomentazione del PM appellante, rilevando che le esigenze cautelari - già ravvisate, in sede di riesame, sotto il profilo del pericolo di recidiva, in quanto le modalità del fatto dovevano ritenersi espressive di una rilevazione delinquenziale evidentemente sopita e disvelata - a seguito dell'azione criminale subita, quanto meno putativamente, dalla propria figlia - con una azione violentissima di ragion fattasi senza alcuna capacità di autocontrollo, ostensiva di una determinatezza delinquenziale quanto meno collegata ai casi in cui vengano commessi reati nei confronti di componenti della sua famiglia” - non potevano ritenersi cessate, posto che degli elementi di novità addotti - la sentenza di condanna e gli esiti di una consulenza tecnica da cui emergeva che l'omicidio non era stato commesso su un di un soggetto in fuga bensì in rapida successione su di un individuo fermo di fronte all'imputato - non valevano ad infirmare la fondatezza delle valutazioni svolte in sede di riesame in punto di pericolosità, tenuto conto, in particolare, che la sentenza, oltre a confermare la grave piattaforma indiziaria, aveva già tenuto conto, ma nell'ambito della sola dosometria della pena, delle particolari condizioni nelle quali era maturato il delitto, e che le modalità del delitto l'aver colpito la vittima con un numero elevato di colpi, in pieno giorno, in una pubblica piazza e nelle vicinanze di una stazione dei Carabinieri, con premeditazione , anche volendo escludere l'elemento della preordinazione, avevano disvelato una ferocia tale da ostendere una determinazione delinquenziale ed una pericolosità elevatissima con perdita di qualsivoglia controllo e raziocinio in grado di rendere recessivo l'elemento del movente fino a renderlo aspecifico e comunque non in grado di superare la sussistente presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, non apparendo pronosticabile, secondo i giudici dell'appello, che il R.M. , in caso di future condotte in danno delle proprie figlie o comunque del proprio nucleo familiare, rispetti spontaneamente la limitazione degli arresti domiciliari una volta colto dallo stato d'ira che lo ha spinto a farsi ragione da se medesimo con la descritta ferocia. 4. Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso il R.M. , tramite il suo difensore di fiducia, deducendone l'illegittimità - per violazione della legge processuale artt. 581 e 591 cod. proc. pen. , relativamente all'omessa declaratoria di inammissibilità dell'appello proposto dal Pubblico ministero, basato su motivi che si limitavano a denunziare in termini assolutamente generici la non proporzionalità della misura sostituita all'entità del fatto, a ragione dell'efferatezza del gesto - per manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza di elementi specifici idonei a superare la presunzione di adeguatezza ex art. 275 cod. proc. pen., evidenziandosi al riguardo che i giudici di appello, oltre a disattendere sostanzialmente i principi espressi in argomento dai giudici delle leggi, avevano illogicamente valutato come aspecifico il contesto in cui era maturato il delitto - preceduto dalla violenza sessuale perpetrata dalla vittima ai danni della figlia minore dell'imputato, enfatizzando oltre misura le modalità esecutive il numero delle pugnalate , ravvisando un pericolo di recidiva in base a illogiche supposizioni, svalutando di contro l'elemento di novità rappresentato dalla consulenza autoptica, che pure consentiva di escludere che l'omicidio fosse stato commesso su di un uomo in fuga, dato questo certamente idoneo a ridimensionare il livello di pericolosità sociale del ricorrente, ignorando altresì il dato che la coltellata mortale era stata unica, avendo le altre attinto in maniera superficiale il corpo della vittima, negando qualsiasi rilevanza al comportamento del R.M. successivo al fatto, ignorando la ricostruzione del fatto, compiuta dal giudice della cognizione ed il riconoscimento all'imputato delle attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante. 4.1 Con memoria depositata il 18 ottobre 2013, la difesa dell'imputato, ha insistito nella propria richiesta di annullamento dell'ordinanza impugnata, evidenziando come dall'esame delle motivazioni della sentenza di primo grado, non conosciute al momento della redazione del ricorso, emergeva che la contestata aggravante della premeditazione era stata esclusa dato questo, certamente idoneo a influire positivamente sul giudizio di pericolosità sociale del ricorrente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento, in quanto le censure formulate dal ricorrente, mentre si rivelano generiche ed autoreferenziali relativamente all'inammissibilità dell'appello proposto dal Pubblico ministero, colgono invece l'esistenza di reali insufficienze nella struttura argomentativa dell'ordinanza impugnata, laddove i giudici di. appello assumono ancora sussistente un pericolo di reiterazione criminosa giustificativo della più severa misura cautelare della custodia in carcere rispetto ad una misura meno afflittiva. Ed invero, se la motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari può dirsi sufficiente, per la parte in cui fa richiamo alle modalità del fatto e alla loro particolare gravità - per essere stato l'omicidio commesso in luogo pubblico e con l'esplicazione di una forte aggressività violenta - non altrettanto può dirsi per l'apparato argomentativo sviluppato dai giudici di appello in relazione al pericolo di reiterazione criminosa che ha reso indispensabile l'applicazione della misura più afflittiva. Non è infatti sufficiente l'argomento che l'efficacia della misura degli arresti domiciliari non appare pronosticabile a ragione di possibili reazioni violente dell'imputato in caso di comportamenti in grado di arrecare sofferenze alle proprie figlie, dal momento che tale giudizio prognostico espresso dai giudici dell'appello oltre a non valutare in alcun modo degli elementi pur significativi, quali l'assenza di precedenti penali e la vita anteatta dell'imputato, attribuisce di contro particolare rilevanza a degli elementi, quali il carattere premeditato dell'omicidio, la sua fredda organizzazione, che risultano in realtà insussistenti, almeno allo stato, come adeguatamente dimostrato dalla difesa attraverso la produzione della sentenza di condanna deliberata nel giudizio di primo grado e pubblicata nelle more, che ha escluso l'aggravante della premeditazione. Per le ragioni esposte, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame alla luce dei principi di diritto illustrati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Salerno.