La Cassazione torna ancora sull’abuso del diritto

Gli indici sintomatici dell’abuso del diritto non vanno ricercati nella causa, o negli effetti giuridici del negozio, ma devono essere ricercati nelle logiche di mercato e nei principi di economicità della gestione. Laddove tali requisiti di economicità non siano rinvenibili e la fattispecie negoziale posta in essere consenta di realizzare un trattamento fiscale più favorevole rispetto a quelli che sarebbero stati ottenuti con un'operazione rispondente alle suddette logiche, allora, la carente giustificazione economica dell'operazione e la realizzazione di un risparmio fiscale consentono di pervenire a qualificare l'operazione come abusiva.

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 18633/18 depositata il 13 luglio è nuovamente tornata sulla tematica dell’abuso del diritto. Il caso. Nel caso di specie la controversia traeva origine dall'impugnazione da parte di una società nella veste di consolidata di un avviso di accertamento relativo ad IRES 2006, con il quale, in relazione al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione Consolidato nazionale e mondiale 2007 , si era disconosciuta, ai sensi dell'articolo 37 bis Dpr numero 600/73, la deducibilità di interessi passivi, perché maturata in relazione ad un finanziamento erogato dalla controllante estera ed utilizzato dalla società contribuente per l'acquisto del pacchetto azionario di altra società italiana a lei venduto dalla stessa controllante. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso e la decisione, appellata dall'Agenzia delle entrate, veniva poi integralmente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale. In particolare infatti, secondo il Giudice di appello, l'intera operazione era sostenuta da valide ragioni economiche, quali, tra le altre, l'eliminazione dal mercato nazionale di uno dei maggiori concorrenti, e senza indebito risparmio d'imposta, anche considerato che da tale operazione non era scaturito alcun effetto economico diverso da quello che si sarebbe realizzato laddove la società contribuente avesse acquistato direttamente la partecipazione e contratto un debito nei confronti della banca. L'Agenzia delle entrate ricorreva in Cassazione deducendo, tra le altre, la violazione dell'articolo 37-bis d.P.R. numero 600/1973, dell'articolo 53 Cost. e del principio di divieto di abuso del diritto. Secondo la prospettazione difensiva, infatti e contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di appello, nella specie ricorrevano tutte le quattro condizioni richieste dalla norma al fine della configurazione dell'abuso. In particolare, secondo l'Agenzia delle entrate, l’operazione in contestazione, il cui fine ultimo avrebbe potuto ottenersi egualmente attraverso il conferimento dalla controllante estera alla controllata italiana, nella forma di aumento gratuito del capitale, aveva quale unico scopo l'indebito vantaggio fiscale, costituito da una riduzione dell'imponibile in Italia. Infatti, avendo la società contribuente e la società italiana di cui era stato acquisito il pacchetto societario optato per il consolidato nazionale, l'operazione avrebbe permesso di ridurre la base imponibile per effetto degli oneri finanziari corrisposti, mentre, senza i suddetti oneri finanziari, la società italiana non avrebbe realizzato le perdite fiscali indicate in dichiarazione e, conseguentemente, il reddito complessivo globale della dichiarazione consolidata sarebbe risultato notevolmente più elevato. L’Amministrazione finanziaria contestava inoltre la sentenza impugnata anche per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, laddove il Giudice di appello aveva motivato la convenienza economica dell'operazione con l'asserita eliminazione di un grosso concorrente dal mercato, mentre la società “acquisita” tale non era, essendo una Società appartenente allo stesso gruppo. La decisione. La Suprema Corte, in diritto, premette innanzitutto che, in relazione all'istituto dell'abuso del diritto, di elaborazione comunitaria e successivamente accolto anche dall'ordinamento statale, è ormai consolidato l'orientamento di legittimità nel senso di ritenere che l'operazione economica che abbia quale suo elemento non necessariamente unico, ma comunque predominante ed assorbente lo scopo elusivo costituisce condotta abusiva, ed è, pertanto, vietata allorquando non possa spiegarsi altrimenti o, in ogni caso, in modo non marginale che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, incombendo, peraltro, sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, e gravando invece sul contribuente l'onere di allegare l'esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate cfr., tra le altre, Cass. numero 5090 del 28.2.2017 . Rileva dunque la Cassazione che gli indici sintomatici, ai quali occorre attingere per la dimostrazione dell'abusività della condotta, non vanno ricercati nella causa funzione economico sociale , o negli effetti giuridici del negozio o della complessa operazione negoziale, ma devono essere ricercati “nel limite imposto dalla convenienza economica dell'operazione”, nel senso che, data la peculiare situazione economico patrimoniale ed il tipo di organizzazione aziendale o societaria del soggetto, rilevate ex ante rispetto alla operazione economica da compiere, detto limite è rispettato se la modifica di tale situazione, mediante l'attività negoziale posta in essere, è rispondente a logiche di mercato ed in ultima analisi ai principi di economicità della gestione. Laddove tali requisiti di economicità non siano, invece, rinvenibili nell'operazione realizzata, ma la fattispecie negoziale posta in essere consenta, comunque, di realizzare, mediante una diversa allocazione delle risorse economico-patrimoniali preesistenti, un trattamento fiscale più favorevole, allora la duplice combinazione di tali elementi carente giustificazione economica dell'operazione, realizzazione di un risparmio fiscale consente di pervenire a qualificare l'operazione come elusiva, in quanto diretta esclusivamente ad impedire la verificazione del presupposto di imposta cfr., Cass.numero 26781/2013 21782/2011 . Il Giudice di appello, con la sentenza impugnata, come visto, aveva ritenuto di non avallare la ricostruzione dell'operazione come effettuata dall'Ufficio, ritenendo che i fatti economici riconducibili all'acquisizione di azioni societarie non potessero essere ricondotti alla normativa antielusiva di cui all'articolo 37-bis del d.P.R. numero 600/1973 e che, con le operazioni poste in essere, la società contribuente avesse utilizzato comunque istituti giuridici del tutto leciti. La sentenza impugnata illustrava poi i vantaggi e le opportunità economiche che erano state raggiunte, anche grazie alla eliminazione di un “grosso concorrente”, per poi concludere che, in tale contesto, era logico ed economicamente conveniente che fosse la Società italiana a sostenere l'onere dell'indebitamento e che, con l'operazione conclusa le sinergie esistenti fra le due società avevano consentito di realizzare importanti risparmi di costi. Tutto l'iter motivazionale seguito dal Giudice di appello, secondo la Cassazione, si poneva però “in assoluto contrasto rispetto alla normativa di riferimento”. Evidenziano infatti i giudici di legittimità che la CTR, da un canto, aveva valorizzato la liceità e legittimità degli strumenti giuridici complessivamente utilizzati per pervenire all'acquisizione del pacchetto azionario, laddove, però, l'utilizzo di strumenti e negozi leciti è proprio una delle connotazioni tipiche delle operazioni elusive, ma soprattutto aveva erroneamente rapportato l'esistenza di valide ragioni economiche agli effetti giuridici della complessa operazione negoziale e non, come invece avrebbe dovuto, all'operazione infragruppo contestata, ovvero al finanziamento concesso dalla controllante estera olandese alla società contribuente e da questa utilizzato per l'acquisto dell'intero pacchetto azionario dalla stessa finanziatrice. Conclusioni. L’oggetto della contestazione, in casi di abuso del diritto, non è l’evasione di imposta, rispetto alla quale dimostrare dove e come è stato occultato il presupposto di imposta, ma un’operazione, oggetto di riqualificazione secondo la natura fisiologica che l’Ordinamento esige in base al principio di capacità contributiva, alla luce della dimostrazione - da parte dell’Ufficio, degli indizi che fanno dubitare della motivazione economica sottesa all’operazione e dei vantaggi fiscali con essa perseguiti - da parte del contribuente, viceversa, delle valide ragioni economiche sottese all’operazione contestata valide ragioni economiche che dunque dovrebbero giustificare anche i vantaggi fiscali ottenuti, da inquadrare, a quel punto, se giustificati, non come illecito vantaggio, ma come legittimo risparmio di imposta. Il perno dell’abuso del diritto consiste dunque nell’individuazione del vantaggio fiscale illegittimamente raggiunto solo grazie all’aggiramento delle norme, o meglio, solo grazie alla formale predisposizione di operazioni non “fisiologiche” vedi Cass. 1465/2009 . In tale direzione, frutto dell’evoluzione giurisprudenziale di Cassazione, si è mosso infine anche il legislatore nazionale l. numero 23/2014, articolo 5 , che, nel delegare al Governo l'attuazione della disciplina dell'abuso del diritto e dell'elusione fiscale, ha indicato tra i principi e i criteri direttivi quelli di «definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta» «garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale» «considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell'operazione abusiva» rectius scopo essenziale «escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l'operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali» «stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell'operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda del contribuente» v. Cass. 4604/14 e 1372/11 . E, in attuazione di tali principi, è stato infine introdotto l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, laddove si stabilisce che «configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» comma 1 e che si considerano a operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali b vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali, o con i principi dell'ordinamento tributario, precisando che sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato comma 2 . Il medesimo legislatore poi chiarisce che, «ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale» comma 4 , «non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente» comma 3 . Devono comunque ritenersi escluse dalla nozione di abuso del diritto le ipotesi di condotte illecite fraudolente, od anche soltanto simulatorie, in quanto il fenomeno abusivo deve iscriversi nell'ambito delle sole condotte lecite e non occulte essendo realmente diretta la volontà dei contraenti abusivi alla produzione degli effetti giuridici previsti dalla legge , che consentono di perseguire legalmente il risultato finale previsto, ad esempio attraverso l'uso indiretto del negozio od il collegamento negoziale od anche eventuali deroghe negoziali allo schema tipico dei contratti o commistioni tra discipline negoziali differenti, dovendo, in sostanza, ravvisarsi il connotato della abusività della condotta nel risultato finale, che viene raggiunto dalle parti costruendo l’operazione economica. A tutto questo non si era conformata la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Civile, sentenza 7 dicembre 2017 – 13 luglio 2018, numero 18633 Presidente Piccininni – Relatore Crucitti Fatti di causa La controversia trova origine dall'impugnazione da parte di Nutricia Italia s.p.a. nella veste di consolidata di avviso di accertamento relativo ad IRES 2006 con il quale in relazione al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione Consolidato nazionale e mondiale 2007 , si era disconosciuta, ai sensi dell'articolo 37 bis D.P.R. 600/73, la deducibilità di interessi passivi perché maturata in relazione ad un finanziamento erogato dalla Nutricia International B.V. alla Nutricia s.p.a. ed utilizzato da questa per l'acquisto del pacchetto azionario della Mellin s.p.a. a lei venduto dalla stessa Nutricia International B.V. La Commissione Tributaria Provinciale accolse il ricorso della Società e la decisione, appellata dall'Agenzia delle entrate, è stata integralmente confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia. In particolare, secondo il Giudice di appello, l'intera operazione era sostenuta da valide ragioni economiche quali, tra le altre, l'eliminazione dal mercato nazionale di uno dei maggiori concorrenti, senza indebito risparmio d'imposta e da tale operazione non era scaturito alcun effetto economico diverso da quello che si sarebbe realizzato ove Nutricia Italia s.p.a. avesse acquistato direttamente da FINDIM S.A. la partecipazione di Mellin e contratto un debito nei confronti della banca. Avverso la sentenza ricorre l'Agenzia delle entrate su tre motivi. La Società resiste con controricorso, ulteriormente illustrato con deposito di memoria ex articolo 378 cod. proc.civ. Ragioni della decisione 1.La controricorrente eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, non essendo stata depositata copia autentica della sentenza impugnata notificata in data 3 aprile 2013 , e perché l'atto sarebbe stato redatto in violazione dell'articolo 366, co 1 numero 3 cod.proc.civ. 1.1.La prima eccezione è infondata, in fatto, risultando versata agli atti la sentenza impugnata con relata di notificazione rectie con equipollente attestazione di ricezione presso l’ Ufficio-front office dell'Agenzia delle Entrate Ufficio di Milano e, in diritto, alla luce del principio affermato, di recente, dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza numero 10648 del 02/05/2017 secondo cui «in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex articolo 369, comma 2, numero 2, cod.proc.civ., al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest'ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio» . 1.2.Egualmente infondata è, poi, la seconda eccezione rispondendo il ricorso ai dettami di cui all'articolo 366, co 1, numero 3 c.p.c. in quanto sufficientemente specifico. 2.Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell'articolo 295 c.p.c. e dell'articolo 39 del d.lgs.numero 546/1992 laddove la Commissione tributaria regionale d'ora in poi C.T.R. non aveva disposto la sospensione del processo malgrado fosse a conoscenza della pendenza di processo instaurato con l'impugnazione dell'avviso di accertamento fondato sui medesimi fatti e notificato alla stessa Nutricia Italia s.p.a., nella qualità di consolidata. 2.1. La censura, nei termini in cui è formulata, è inammissibile per più ordini di ragioni. Il mezzo di impugnazione, invero, con difetto di specificità, non indica né tanto meno riproduce i presupposti legittimanti la sospensione ex articolo 295 c.p.c. e si limita ad una censura generica e priva di riferimenti concreti attinenti alla vicenda processuale. 3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione dell'articolo 37 bis D.P.R. 600/1973, dell'articolo 53 Cost. e del principio di divieto di abuso del diritto, laddove la C.T.R. aveva escluso che, nel caso in esame, si fosse verificata la violazione dell'articolo 37 bis del D.P.R. numero 600/1970. Secondo la prospettazione difensiva, infatti e contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di appello, nella specie ricorrevano tutte le quattro condizioni richieste dalla norma al fine della configurazione dell'abuso. In particolare, l'operazione disconosciuta dall'Amministrazione finanziaria era il finanziamento concesso dalla Nutricia International all'epoca titolare del 100% delle azioni Mellin e della Nutricia Italia s.p.a. a quest'ultima Società e utilizzato per l'acquisto dell'intero pacchetto azionario Mellin dalla stessa finanziatrice. Secondo l'Agenzia delle entrate tale operazione, il cui fine ultimo avrebbe potuto ottenersi egualmente attraverso il conferimento della Mellin da Nutricia International a Nutricia Italia s.p.a. nella forma di aumento gratuito del capitale, aveva quale unico scopo l'indebito vantaggio fiscale costituito da una riduzione dell'imponibile in Italia. Infatti, avendo la Nutricia Italia s.p.a. e la Mellin s.p.a. optato per il consolidato nazionale, l'operazione avrebbe permesso di ridurre la base imponibile di quest'ultima Società per effetto degli oneri finanziari corrisposti dalla Nutricia Italia s.p.a. alla sua controllante Nutricia International mentre senza i suddetti oneri finanziari la Società italiana oggi controricorrente non avrebbe realizzato le perdite fiscali indicate in dichiarazione e, conseguentemente, il reddito complessivo globale della dichiarazione consolidata sarebbe risultato notevolmente più elevato. 4.Con il terzo motivo, infine, si denuncia, ai sensi dell'articolo 360, co 1, numero 5 cod.proc.civ. la sentenza impugnata di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio laddove il Giudice di appello aveva motivato la convenienza economica dell'operazione con l'asserita eliminazione di un grosso concorrente dal mercato mentre la Mellin s.p.a. tale non era, essendo una Società appartenente allo stesso gruppo. 4.Prima di procedere alla trattazione dei mezzi di impugnazione, appare opportuno premettere in fatto, come incontestato tra le parti, che a fronte dei vari atti con cui il gruppo Numico di diritto olandese del quale la controricorrente fa parte ha proceduto all'acquisizione della società Mellin s.p.a., l'operazione disconosciuta dall'Amministrazione finanziaria è l'ultima in ordine temporale, ovvero la vendita dell'intero pacchetto azionario della Mellin s.p.a. alla Nutricia Italia s.p.a. da potere della Nutricia International BV, all'epoca titolare del 100% sia delle azioni Mellin s.p.a. per averle avute conferite dalla sua controllante Numico che della Nutricia Italia s.p.a., il cui prezzo è stato corrisposto grazie a un finanziamento, con interessi semestrali ad un tasso del 4,3725%, effettuato in favore della compratrice dalla stessa venditrice da cui il disconoscimento della deducibilità dei relativi interessi passivi . 4.1. In diritto, in relazione all'istituto dell'abuso del diritto di elaborazione comunitaria in relazione ai tributi armonizzati e successivamente accolto anche dall'ordinamento statale in relazione alle imposte sui redditi ex articolo 37 bis D.P.R. numero 600/1973 va rilevato che, sulla scia della pronuncia delle Sezioni Unite numero 30055 del 23/12/2008, è, ormai, consolidato l'orientamento di questa Corte nel senso di ritenere che l'operazione economica che abbia quale suo elemento non necessariamente unico, ma comunque predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco costituisce condotta abusiva, ed è, pertanto, vietata allorquando non possa spiegarsi altrimenti o, in ogni caso, in modo non marginale che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, incombendo, peraltro, sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, mentre grava sul contribuente l'onere di allegare l'esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in quel modo strutturate cfr. tra le altre e di recente Cass.numero 5090 del 28.2.2017 la quale ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come abusiva, perché diretta unicamente ad ottenere un risparmio d'imposta, un'operazione con la quale una banca aveva stipulato un contratto di capitalizzazione per un'ingente somma di denaro con un istituto di credito appartenente al medesimo gruppo bancario e, per finanziarlo, aveva contratto, il giorno precedente, un prestito di pari importo con la società capogruppo, ma con interessi passivi più alti ed interamente dedotti dai redditi . 4.2.Gli indici sintomatici ai quali, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questo Giudice di legittimità, occorre attingere per la dimostrazione dell'abusività della condotta, non vanno ricercati nella causa funzione economico sociale o negli effetti giuridici del negozio o della complessa operazione negoziale diretti a disciplinare il regolamento di interessi voluto dalle parti ma devono essere ricercati nel limite imposto dalla convenienza economica dell'operazione, nel senso che, data la peculiare situazione economico patrimoniale ed il tipo di organizzazione aziendale o societaria del soggetto, rilevate ex ante rispetto alla operazione economica da compiere, detto limite è rispettato se la modifica di tale situazione -mediante l'attività negoziale posta in essere è rispondente a logiche di mercato ed in ultima analisi ai principi di economicità della gestione ove tali requisiti di economicità non siano, invece, rinvenibili nell'operazione realizzata, ma la fattispecie negoziale posta in essere consenta, comunque, di realizzare, mediante una diversa allocazione delle risorse economico-patrimoniali preesistenti, un trattamento fiscale più favorevole, allora la duplice combinazione di tali elementi carente giustificazione economica dell'operazione, realizzazione di un risparmio fiscale consente di pervenire a qualificare l'operazione come elusiva in quanto diretta esclusivamente ad impedire la verificazione del presupposto di imposta v.Cass.numero 26781/2013 21782/2011 1372/2011 12249/2010 . 4.3.Il Giudice di appello, con la sentenza impugnata, ha ritenuto di non avallare la ricostruzione dell'operazione come effettuata dall'Ufficio rilevando come l'Amministrazione finanziaria, con ragionamenti suoi propri, avesse cercato di mettere in mostra nei propri scritti il fatto che, nel caso de quo, non si sono ravvisate valide ragioni economiche per compiere tutto quello che è stato realizzato, tanto da non sostenere che il requisito delle valide ragioni economiche non va riferito alla validità legale dei negozi giuridici posti in essere, bensì alla loro apprezzabilità economica gestionale. La C.T.R. ha, così, ritenuto che i fatti economici riconducibili all'acquisizione di azioni societarie non possono essere ricondotte alla normativa antielusiva di cui all'articolo 37 bis del D.P.R. 600/1973 e che contrariamente a quanto sostenuto dall'Ufficio, con le operazioni poste in essere dalla Nutricia Italia quest'ultima ha dato esecuzione all'acquisto del 100% di Mellin con istituti giuridici del tutto leciti, tenuto conto che l'attuale Società appellata rappresentava il quarto operatore nel settore di prodotti alimentari dell'infanzia. La sentenza impugnata continua poi ad illustrare i vantaggi e le opportunità economiche che sono state raggiunte in quanto la Società ha eliminato un grosso concorrente, tenuto conto tra l'altro l'interesse economico all'acquisto della partecipazione totalitaria è stato raggiunto in modo trasparente per poi concludere che, in tale contesto, era logico ed economicamente conveniente che fosse la Società italiana a sostenere l'onere dell'indebitamento e che, con l'operazione conclusa le sinergie esistenti fra le due società hanno consentito di realizzare importanti risparmi di costi. 4.4.Tutto l'iter motivazionale seguito dal Giudice di appello, come sopra riportato -e che, sinteticamente può riassumersi nell'opinione che l'intera operazione di acquisizione del pacchetto della Mellin s.p.a., siccome attuata attraverso strumenti giuridici legittimi e integrante essa stessa la valida ragione economica sottostante fosse trasparente costituendo, altresì, l'operazione di finanziamento una obbligata scelta imprenditoriale e non l'aggiramento di un obbligo o divieto si pone in assoluto contrasto rispetto alla normativa di riferimento come interpretata da questa Corte e sopra illustrata. La C.T.R., infatti, da un canto, ha valorizzato la liceità e legittimità degli strumenti giuridici complessivamente utilizzati per pervenire all'acquisizione del pacchetto azionario della Mellin s.p.a., laddove, come sopra illustrato, l'utilizzo di strumenti e negozi leciti è una delle connotazioni tipiche delle operazioni elusive, ma soprattutto ha erroneamente rapportato l'esistenza di valide ragioni economiche agli effetti giuridici, quali diretti a disciplinare i pregressi regolamenti di interessi voluto dalle parti, della complessa operazione negoziale e non, come avrebbe dovuto, all'operazione infragruppo contestata, ovvero al finanziamento concesso dalla Nutricia International B.V., all'epoca titolare del 100% delle azioni Mellin per averle avute conferite da Numico sua controllante e della Nutricia Italia s.p.a., a quest'ultima Società e utilizzato per l'acquisto dell'intero pacchetto azionario Mellin dalla stessa finanziatrice, rispetto alla quale le ragioni evidenziate dalla controricorrente ovvero la mancanza di autonomia decisionale della controllata sono inidonee a rappresentare l'economicità della scelta imprenditoriale. 4.1.Procedendo all'esame del terzo motivo lo stesso può ritenersi assorbito dall'accoglimento del secondo. Ed invero, respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 8053/2014 che ha ritenuto applicabile le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all'articolo 54 del D.L. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. ed i limiti d'impugnazione della doppia conforme ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 348-ter cod. proc. civ. anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale e da questa Corte con le sentenze numero 26860 del 18/12/2014, numero 26774 del 22/12/2016 le quali hanno ribadito che la previsione d'inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all'articolo 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ., non si applica, agli effetti dell'articolo 54, comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all'11 settembre 2012 , laddove nell'odierna controversia l'appello è stato incoato con atto del 16 febbraio 2012, l'omesso esame del fatto storico costituito dalla circostanza che la Mellin non fosse un concorrente in quanto appartenente allo stesso gruppo in quanto integralmente posseduta da Nutricia International BV detentrice dell'intero pacchetto azionario , a fronte dell'accoglimento del secondo motivo, non costituisce fatto decisivo ai sensi dell'articolo 360, I comma, numero 5 cod.proc.civ. 6. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti essendo i fatti, per come sopra esposto, incontestati tra le parti , la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente. 7.La controricorrente, soccombente, va, pertanto, condannata alle spese del giudizio di legittimità, come liquidata in dispositivo, mentre le peculiarità della fattispecie inducono a compensare integralmente tra le parti le spese processuali dei gradi di merito. P.Q.M. In accoglimento del secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo e assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di giudizio di merito e condanna la ricorrente alla refusione in favore dell'Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 15.000 oltre spese prenotate a debito.