La responsabile della villa non ha chiesto neanche la caparra e ha garantito la struttura per pranzo e cena. Ingenuità frutto della furbizia del futuro sposo, presentatosi come imprenditore di successo.
Matrimonio perfetto scenario affascinante, banchetto nuziale luculliano, ospiti soddisfatti e sposi felici. L’unica nota stonata è quella relativa al pagamento a distanza di mesi, difatti, la persona che gestisce la splendida villa che nelle Marche ha fatto da cornice alle nozze non ha ancora visto un euro. Logica la condanna dello sposo che ha concluso il contratto con la ristoratrice e che è ritenuto colpevole di truffa aggravata Cassazione, sentenza numero 27386, sez. II Penale, depositata oggi . Pagamento. Decisiva è la ricostruzione della trattativa tra la responsabile della struttura e il futuro sposo. Quest’ultimo ha chiesto di poter utilizzare la villa per la realizzazione «del pranzo e della cena in occasione del suo matrimonio», ma, allo stesso tempo, è riuscito ad ottenere di «non versare la caparra» e di pagare tutto il dovuto una volta concluso l’evento. Ingenuità della ristoratrice? No, perché ella ha fatto affidamento sulle «spontanee e infedeli garanzie di solvibilità» fornite dal futuro sposo, che si è presentato «come imprenditore affermato nel settore dell’arredamento di interni e nipote di un noto mobiliere» e ha assicurato che «avrebbe saldo il conto in un’unica soluzione» a festeggiamenti ultimati. Questo comportamento, sanciscono ora i Giudici della Cassazione confermando le valutazioni effettuate in Tribunale e in Corte d’appello, ha raggirato la responsabile della villa, che «si è determinata al contratto» pur «in assenza delle ordinarie cautele finanziarie». Irrilevante è il richiamo difensivo fatto dall’uomo a sue presunte «momentanee difficoltà economiche». Ciò che conta è l’integrale mancato pagamento della somma pattuita in occasione del contratto relativo all’utilizzo della villa per un’intera giornata. Definitiva quindi la condanna per lo sposo, sanzionato con un anno di reclusione e 300 euro di multa.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 aprile – 31 maggio 2017, numero 27386 Presidente Davigo – Relatore De Santis Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1.Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Ancona confermava quella resa il 23/7/2013 dal Tribunale di Pesaro che aveva riconosciuto Bo. Au. colpevole del delitto di truffa aggravata in danno di Ra. Ar. capo A , nonché di due episodi di insolvenza fraudolenta e, ritenuto il vincolo della continuazione ed esclusa la recidiva, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 300,00 di multa. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato personalmente, deducendo 2.1 Quanto al capo A l'estinzione dell'illecito per maturata prescrizione alla data del 25/3/2016 2.2 la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per difetto dell'elemento oggettivo del delitto di truffa. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale abbia confermato il giudizio di colpevolezza nonostante dalla stessa deposizione della p.o. risulti che il Bo. non pose in essere alcun artifizio o raggiro per indurre la controparte al contratto, viziando la sua capacità di autodeterminazione 2.3 l'erronea applicazione dell'articolo 61 numero 7 cod.penumero con riguardo alla ritenuta sussistenza del danno di rilevante gravità e conseguente improcedibilità dell'azione per tardività della querela, avendo la sentenza impugnata omesso di considerare ai fini della ricorrenza dell'aggravante che la p.o. è una società che gestisce oltre ad un ristorante un prestigioso hotel 2.4 la mancanza, ovvero la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alle condotte sub C e D della rubrica e, in particolare, alla pretesa dissimulazione dello stato di insolvenza , avendo il ricorrente rappresentato alle pp.oo. di versare in momentanea difficoltà economica. 3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza delle doglianze formulate. Infatti, il secondo e il terzo motivo s'appalesano meramente reiterativi delle censure introdotte in sede d'appello e motivatamente disattese dalla Corte territoriale con un apparato argomentativo che non presenta fratture logiche. La sentenza impugnata ha evidenziato come la p.o. Ra., gestrice del ristorante Villa Matarazzo, cui l'imputato si era rivolto per l'approntamento del pranzo e della cena in occasione delle nozze con la Palazzo, fosse stata indotta a soprassedere al versamento di una caparra e a erogare le prestazioni richieste dalle spontanee ed infedeli garanzie di solvibilità fornite dal ricorrente, il quale si era presentato come imprenditore affermato nel settore dell'arredamento d'interni e nipote di un noto mobiliere, assicurando che avrebbe saldato il dovuto in unica soluzione dopo la fruizione dei servizi , rimanendo invece inadempiente e rendendosi finanche irreperibile ai creditori. Trattasi di condotta lesiva della buona fede contrattuale in quanto accredita in maniera mendace la solvibilità dell'imputato attraverso l'evocazione di un'attività imprenditoriale florida e di consistenti mezzi economici idonei a far fronte alla richiesta di prestazioni di elevato standard qualitativo e, pertanto, direttamente incidente sulla volontà della p.o. che per l'effetto si è determinata al contratto in assenza delle ordinarie cautele finanziarie , rimanendo esposta all'integrale inadempimento del prevenuto, la cui condotta postfattuale depone in termini univoci per la ricorrenza del dolo postulato dalla fattispecie. 3.3 Quanto alla circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, la giurisprudenza con orientamento costante evidenzia che nel valutare l'applicabilità della circostanza può farsi riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono invece irrilevanti quando l'entità oggettiva del pregiudizio è tale da integrare di per sé un danno patrimoniale di rilevante gravità ex multis Sez. 2, numero 48734 del 06/10/2016 , Puricelli, Rv. 268446 . Nella specie, alla luce della natura delle prestazioni rese e delle dinamiche aziendali cui il danno inerisce deve riconoscersi alla somma fraudolentemente lucrata dal ricorrente il carattere di significativa rilevanza suscettibile di integrare la circostanza. 4. Con riguardo al quarto motivo e alla sub articolazione con i quali si denunziano vizi motivazionali in relazione alla ritenuta sussistenza della fattispecie di insolvenza fraudolenta in relazione ai capi C e D della rubrica, osserva la Corte che la prova della condizione di insolvenza dell'agente, al momento dell'assunzione dell'obbligazione, può essere legittimamente desunta dal comportamento precedente e successivo all'inadempimento Sez. 2, numero 39887 del 16/06/2015, St. e altri, Rv. 264514 numero 6847 del 21/01/2015 , Sp., Rv. 262570 , mediante legittima inferenza da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione, che fin dal momento della stipula del contratto fosse già maturo, nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi conseguenti Sez. 2, numero 39890 del 22/05/2009 , Cu., Rv. 245237 . Di detti principi la sentenza impugnata ha fatto corretto governo, dando conto del proprio apprezzamento pag. 8 con motivazione congrua. 5. Infine va ribadito in relazione all'eccezione di prescrizione di cui al primo motivo che l'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'articolo 129 cod. proc. penumero , ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità. Sez. 2, numero 28848 del 08/05/2013 , Ci., Rv. 256463 . 6.Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, ex articolo 616 cod.proc.penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni d'esonero. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento a favore della Cassa delle Ammende.