Il danno non patrimoniale da inadempimento del contratto preliminare

Il danno morale, causato dall’incertezza derivante dall’inadempimento contrattuale, deve essere inteso come sofferenza soggettiva rientrante nelle categorie di danno non patrimoniale. La sussistenza di tale danno, però, deve essere debitamente provata dal richiedente il risarcimento.

Così la Cassazione con ordinanza numero 19101/18 depositata il 18 luglio. La vicenda. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda di recesso di un contratto preliminare di compravendita immobiliare promossa dalla società acquirente ed, in accoglimento della riconvenzionale avversaria dei venditori dichiarava risolto il preliminare per inadempimento grave della società attrice con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore dei convenuti. In parziale accoglimento del gravame proposto dalla società soccombente, la Corte d’Appello rigettava la domanda volta al risarcimento del danno non patrimoniale. Tanto premesso, gli originari venditori hanno proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione degli articolo 1225 Prevedibilità del danno e 1226 Valutazione equitativa del danno c.c. in relazione al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale conseguente dall’inadempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare. Gravità del danno da inadempimento del preliminare. Secondo i ricorrenti la decisione della Corte territoriale, contrariamente a quella di prime cure, aveva ritenuto erroneamente non dimostrato un danno apprezzabile che vada oltre la soglia di fastidio o mero disagio derivante dalla «prolungata situazione di incertezza originata dal comportamento inadempiente» della società acquirente. Per risolvere la questione la Cassazione ha osservato che la Corte territoriale nella sua decisione non si è discostata ai principi giurisprudenziali secondo i quali «il danno morale, inteso come sofferenza soggettiva, rappresenta una voce dell’ampia categoria del danno non patrimoniale e ben può derivare da un inadempimento contrattuale che pregiudichi un diritto involabile della persona». Infatti il Giudice di merito ha fatto corretta applicazione di detto principio ritenendo non provato da parte dei ricorrente che il disagio derivante dall’incertezza in seguito all’inadempimento della società fosse «di tale afflittività da costituire un pregiudizio per la salute e per altro diritto costituzionalmente garantito». Per queste ragioni la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo, e ritenendo infondata anche le restanti doglianze, ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 11 aprile – 18 luglio 2018 numero 19101 Presidente Frasca – Relatore Rubino Ragioni in fatto e in diritto della decisione I signori A.E. e P.G. propongono due motivi di ricorso per cassazione illustrati da memoria avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano numero 2979 del 2016, depositata il 14 luglio 2016, non notificata, nei confronti del Gruppo Antiope s.r.l L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., su proposta del relatore, in quanto ritenuto manifestamente infondato. Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, ritiene di condividere la soluzione proposta dal relatore. Questa la vicenda, per quanto qui interessa - nel 2009 il gruppo Antiope s.r.l. si impegnava con contratto preliminare ad acquistare dai ricorrenti la piena proprietà di un fabbricato in Comune di Milano. Il preliminare veniva trascritto. I ricorrenti intraprendevano le pratiche edilizie per il recupero e l’elevazione del sottotetto, come richiesto dai promittenti acquirenti, ma questi, adducendo a pretesto, nella ricostruzione dei ricorrenti, una lettera di un vicino che richiamava una clausola altius non tollendi contenuta in un precedente contratto del 1953, rifiutavano di concludere il definitivo - il gruppo Antiope s.r.l. conveniva in giudizio i ricorrenti, chiedendo si accertasse la legittimità del proprio recesso e la condanna dei ricorrenti alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, in subordine la risoluzione del preliminare per fatto e colpa dei ricorrenti - il Tribunale di Milano rigettava la domanda di recesso e dichiarava, in accoglimento della riconvenzionale avversaria, il preliminare risolto per grave inadempimento della società attrice, con condanna dei ricorrenti alla restituzione della caparra e condanna di Antiope al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale - la corte d’appello invece, in parziale accoglimento dell’appello di Antiope, rigettava la domanda dei ricorrenti volta al risarcimento del danno non patrimoniale e poneva a loro carico le spese del grado di appello, compensando al 50% quelle di primo grado. Con il primo motivo di ricorso, i signori A. e P. contestano la violazione degli articolo 1225 e 1226 c.c. in relazione al mancato riconoscimento dei danni non patrimoniali conseguenti all’inadempimento delle obbligazioni assunte col preliminare e alla mancata cancellazione della trascrizione del preliminare stesso. Contestano in particolare la decisione di appello laddove, contrariamente al primo grado, ha ritenuto non dimostrato, in capo ai ricorrenti, un danno apprezzabile, che vada al di sopra della soglia del fastidio o del mero disagio, connesso alla prolungata situazione di incertezza originata dal comportamento inadempiente di Antiope. Lamentano una violazione dei già affermati principi giurisprudenziali in base ai quali il danno non patrimoniale può essere provato per presunzioni, e anche ricorrendo al notorio, e per cui anche l’inadempienza contrattuale può essere fonte di pregiudizio ad un diritto inviolabile della persona. Il motivo è infondato. La corte d’appello non ha infatti inteso discostarsi dai consolidati principi in base ai quali il danno morale, inteso come sofferenza soggettiva, rappresenta una voce dell’ampia categoria del danno non patrimoniale e ben può derivare da un inadempimento contrattuale che pregiudichi un diritto inviolabile della persona nella specie, il diritto alla salute Cass. numero 21999 del 2011 ha ritenuto al contrario non provato da parte dei ricorrenti che il disagio sicuramente derivante dalla situazione di incertezza in cui si sono venuti a trovare a seguito dell’inadempimento di Antiope sia stato di tale afflittività da costituire un pregiudizio per la salute e per altro diritto costituzionalmente garantito. Con il secondo motivo, denunciano la violazione dell’articolo 112 c.p.c. per la mancata pronuncia sulla domanda di integrale risarcimento del danno patrimoniale. La corte d’appello non avrebbe infatti accolto la loro domanda laddove chiedevano che, ai fini del risarcimento del danno patrimoniale, si tenesse conto dell’intero importo del canone di locazione che avevano inutilmente assunto l’obbligo di pagare, nella prospettiva di dover liberare l’immobile, e di non aver liquidato loro il danno da perdita di chance per non aver potuto mettere in vendita l’immobile nel periodo della causa, anche in ragione della trascrizione del contratto preliminare. Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’articolo 366 primo comma numero 6 c.p.c., atteso che, per sostenere l’omessa pronuncia i ricorrenti avrebbero dovuto indicare, riproducendolo direttamente od indirettamente con precisazione della parte dell’appello incidentale in cui l’indiretta riproduzione troverebbe corrispondenza , il tenore del loro appello incidentale nel quale ponevano le richieste che il motivo elenca. Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede. Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza della ricorrente, la Corte, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.